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lunedì 31 dicembre 2012

Dalla fattoria sociale dell’isola-carcere di Gorgona la Carta dei diritti degli animali

Dopo “Il respiro di Gorgona”, straordinario reportage di un’esperienza singolare in un’isola con un carcere – l’ultima in Italia - dove i detenuti svolgono attività di coltivazione e allevamento (link della recensione: http://www.teatronaturale.it/tracce/societa/7124-gorgona-un-carcere-aperto-dalla-forte-impronta-rurale.htm), Marco Verdone ha dato alle stampe una nuova opera: “Ogni specie di libertà. Il sogno di un mondo migliore per tutti i viventi” (Edizioni Altraeconomia, 2012). L’autore è un medico veterinario omeopata che da oltre vent’anni collabora con l’amministrazione penitenziaria e affianca i detenuti nelle attività zootecniche. Un professionista e, al tempo stesso, un pensatore, che da un punto di osservazione e di partenza insolito come l’isola di Gorgona, ha elaborato una “Carta dei diritti degli animali”, un pro-memoria di riflessioni su quello che – dal nostro punto di vista umano e, dunque, limitato, di parte e non privo di contraddizioni - sarebbe giusto per gli animali. Non è scevro di significato il fatto che la “Carta” sia stata elaborata in un luogo dove i destini reciproci dei reclusi umani e quelli dei reclusi non umani s’intrecciano in modo singolare e profondo. Un luogo dove il lavoro con la terra e gli animali è un laboratorio a cielo aperto di “dignità nella carcerazione”, dove il provare sensazioni ed emozioni si fa più intenso, dove gli animali svolgono a volte un ruolo decisivo per il recupero di persone che potrebbero altrimenti lasciarsi andare e perdersi, dove una persona che ha sbagliato riesce a ridare un senso alla propria vita. La “Carta” nasce in un contesto istituzionale che vede sempre più l’idea di benessere animale entrare nelle normative e nei codici bioetici. Il Trattato di Lisbona, in vigore dal 2009, ha imposto all’Unione europea e a tutti gli Stati membri di “tenere pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”. E’ pertanto in atto un processo di revisione di tutte le normative comunitarie di settore. In Italia, il Comitato nazionale per la bioetica ha, d’altro canto, elaborato recentemente il Parere “Alimentazione umana e benessere animale”, in cui sono recepiti i nuovi indirizzi emersi dal dibattito internazionale in tema di bioetica animale: da un lato gli orientamenti che valorizzano l’approccio della cura, e quindi della peculiare responsabilità che l’uomo deve avvertire nei confronti degli esseri senzienti su cui esercita potere e di cui si avvale per realizzare propri fini, dall’altro quelli che si rifanno all’approccio neoaristotelico delle capacità, introdotto da Martha C. Nussbaum, e che ritengono possibile applicare tale idea anche al mondo animale, vedendo in questa estensione una nuova frontiera del principio di giustizia. Quest’ultimo documento fa propria l’etica della biocultura, un settore della bioetica che si occupa dei problemi morali relativi al rapporto di gestione da parte dell’uomo di altri esseri non umani e che intende rinnovare il contratto implicito operante per millenni tra umani e animali, spezzato con l’avvento della zootecnia moderna. Uno dei punti fondamentali dell’etica della biocultura è costituito dal legame tra potere e responsabilità. Se alleviamo animali per usare prodotti da loro derivati o i loro corpi, la nostra responsabilità nei loro confronti non solo non diminuisce ma, anzi, aumenta. Riconoscere che questi animali ci rendono dei “servizi”, che li usiamo e che quindi viviamo su di loro e di loro, dovrebbe farci sentire la responsabilità del loro benessere, da assicurare attraverso un trattamento “adeguato” ai servizi da essi resi. Si tratta, dunque, di passare – secondo siffatta visione - da una prospettiva puramente economica a una prospettiva anche morale. In questo quadro, gli animali non costituiscono mere risorse da sfruttare, merce da amministrare razionalmente, ma appaiono come esseri senzienti dotati di propri interessi e bisogni, e meritevoli di tutela e di cura. Come si può facilmente notare, nell’etica della biocultura prevale ancora un approccio utilitaristico, focalizzato cioè soltanto sulla capacità degli animali di “sentire” senza attribuire ad essi alcun diritto alla vita, a meno che l’interesse a continuare a vivere sia uno dei loro interessi coscienti. L’utilitarismo ha avuto il merito di mettere in luce taluni aspetti rilevanti della questione animale, come i maltrattamenti, ma non va oltre l’esigenza di comparare gli interessi animali con quelli umani per misurarne le compatibilità a vantaggio di questi ultimi. Se si passasse all’approccio delle capacità, forse si potrebbe meglio rendere giustizia della complessità della vita degli animali e dei loro sforzi per la fioritura, indipendentemente dagli interessi umani di tipo particolaristico. Il dibattito, assai complesso, è in pieno svolgimento. La “Carta” di Gorgona rappresenta, dunque, un contributo importante per riconoscere il diritto degli animali alla non sofferenza e alla conservazione della vita, espressa nel miglior modo possibile. L’incipit è chiaro e solenne: “Gli animali non sono cose, né sono macchine”. E mette ben in risalto le questioni più controverse che restano aperte. Come si conciliano tali diritti – ad esempio -con la stabulazione degli animali di allevamento e la loro macellazione a fini alimentari, con la caccia e la pesca? Sono questioni che andrebbero affrontate per definire un’etica condivisa che superi la distinzione netta tra animali d’affezione e animali da reddito e stabilisca nuove e più articolate classificazioni. Si tratta, inoltre, di introdurre l’uso di metodi ecologici per contenere gli animali sinantropici: piccioni, roditori, invertebrati vari che rappresentano anche importanti indicatori ambientali. Il volume raccoglie pure i contributi di autorevoli filosofi, esperti di bioetica animale, teologi, sociologi, che hanno partecipato ai dibattiti per la formulazione della “Carta”, e fornisce infine un ampio repertorio giuridico della materia. Verdone e la comunità di Gorgona ci indicano un metodo che a me pare essenziale: per affrontare correttamente la questione animale in una visione globale della giustizia sociale, dovremmo entrare più profondamente in relazione con loro, imparare a comprenderne le emozioni e il pensiero e ad assumere comportamenti di responsabilità e di cura nei loro confronti. Ci vorrebbero politiche che favoriscano un’educazione al rapporto paritario con gli animali come una componente costante della nostra formazione e della qualità delle nostre vite. Forse, in tal modo, capiremmo meglio anche il senso da dare alla libertà individuale in un mondo che ci vede legati gli uni agli altri, al di là della specie, in forme sempre più accentuate di interdipendenza tra la salute delle persone, degli animali e delle piante. Per rendere sostenibile la modernità, il mondo contemporaneo non può non affrontare la questione animale. Lo squilibrio crescente tra popolazione e risorse rende obbligata la strada di ridurre progressivamente i consumi carnei. Per ogni chilogrammo di carne bovina che mangiamo vengono, infatti, consumati 20 mila litri d’acqua. E le terre destinate all’allevamento del bestiame costituiscono il 30 per cento delle terre emerse non ricoperte da ghiacci del pianeta. Riflettendo su queste cose, alcuni pensatori hanno previsto che, fra qualche tempo, l’idea di mangiare carne animale susciterà non meno orrore di quel che oggi ne provochi l’esperienza della schiavitù. Ridurre, pertanto, la produzione e il consumo di proteine animali significa non solo garantire la disponibilità di cibo ad un maggior numero di persone, ma anticipare in qualche modo anche comportamenti alimentari che saranno propri delle generazioni future. Non si tratta di diventare, d’un colpo, tutti vegetariani ma di introdurre nelle nostre scelte alimentari anche gli aspetti etici come un dovere civico. E’ un modo efficace per partecipare al dibattito pubblico sulla questione animale e contribuire, direttamente e individualmente, a rendere sostenibile lo sviluppo, nonché a incivilire il mercato e il sistema economico. Link dove richiedere il libro: http://www.altreconomia.it/site/ec_articolo_dettaglio.php?intId=194 Alfonso Pascale

sabato 29 dicembre 2012

LA CRISI E LA PAURA: UN COMMENTO DI PAOLINELLI

Ho l'impressione che nelle analisi della crisi manchi la consapevolezza di un dato sociale fondamentale: la paura.
Per rilanciare un'economia ci vorrebbe entusiasmo, pulsione creativa verso il futuro. E' la sola condizione perché tanti accettino il rischio di intraprendere, quindi creare lavoro, sviluppo, crescita. Ma non accade. Nonostante i finanziamenti di ogni tipo si chiudono le imprese esistenti e non se ne aprono di nuove. Le condizioni in Italia sono difficili, è vero, chi ha voglia di fare è martoriato da burocrazia, professionisti, fisico. Ma è sempre stato così e nonostante ciò le imprese si facevano. Oggi c'è qualcosa di più, c'è la paura. Ed è comprensibile, infatti, l'età media degli abitanti aumenta, le incertezze aumentano, la diffidenza aumenta, la stanchezza aumenta.
Sono dominate dalla paura tutte le categorie sociali, gli occupati, i pensionati, i professionisti, i politici, gli imprenditori assistiti, tutti terrorizzati dal perdere le piccole o grandi sicurezze che hanno.    
Il nostro, come forse anche altri, è, di conseguenza, un paese in stato di paralisi emotiva e culturale, e non sono le sfumature di una o dell'altra politica che potranno sovvertire questo dato. Infatti per la tanto invocata crescita il problema non è più il come, ma il chi.
Come ho detto in altre occasioni, per superare questa condizione è necessario prenderne atto. Solo sapendo da dove parte qualcuno potrà avere il coraggio di ricominciare.
 
f.p.

martedì 25 dicembre 2012

DAVERIO SUPERSTAR

Il secolo lungo della modernità di Philippe Daverio è un libro imperdibile. Da leggere, assaporare, ripercorrere nelle bellissime tavole e nel testo. Fino ad ora pensavamo che la cifra di Daverio fosse la divulgazione, ma ci dobbiamo ricredere. In questo libro dà prova di un talento critico non comune. Il plot origina dal topos del museo immaginato, già sperimentato nel precedente, fortunato volume del 2002. Ma si tratta solo di un pretesto, la chiave del libro sta nel perseguimento di un doppio obiettivo: dimostrare che non si può fare critica d'arte (ma non vale per la critica tout court?) senza praticare robustamente la comparazione, demistificare i luoghi comuni derivanti dai prima e dopo, inizio e fine di correnti e movimenti, in una parola fare piazza pulita della pedanteria scaturita dalle periodizzazioni a scatola chiusa. Metodo erudito e allo stesso anti scolastico: per un verso viene in mente il Praz degli studi sulla letteratura inglese, per un altro certa saggistica anglo sassone capace di conciliare rigore e brillantezza. In realtà, Daverio una sua periodizzazione la propone ed è quella descritta da Hobsbawm nel suo secolo breve. La modernità inizia con la rivoluzione francese e termina con lo scoppio della prima guerra mondiale. Ma se si vuole capire il lavoro degli artisti è necessario mischiare le carte, avere il coraggio di accostamenti apparentemente improbabili. Così per comprendere Manet e l'impressionismo può essere utile andare a rivedere un dimenticato come Telemaco Signorini o la rappresentazione della natura di Turner. Siamo in entrambi i casi più di vent'anni prima dell'esplosione impressionista, ma i prodromi di un nuovo sguardo ci sono già tutti. Oppure svelare il legame tra il Picasso di Gernica ('37) e due artisti lontani nel tempo come Meissonier e Bocklin che a fine '800 rappresentano la devastazione della guerra. Il punto è che le tracce del secolo lungo sono dure a morire nel secolo nuovo. E gli artisti guardano, studiano, rubano (Picasso lo rivendicava senza timore) più di quanto si possa immaginare.

venerdì 21 dicembre 2012

Mahmoud Mohamed Taha, teologo islamico

Un augurio di buon Natale nel segno della religione aperta, universale, aconfessionale. Mahmoud Mohamed Taha (1909 - 1985) è stato un teologo islamico, politico e architetto sudanese. Fondatore di un movimento politico democratico, sostenne la separazione tra religione e stato. Fu impiccato dal regime militare di Jafar al- Nimeiry. Predicava il ritorno all'islam delle origini, aperto all'incontro con le altre religioni. Sono questi uomini di religione colti e pragmatici il peggiore nemico dell'autoritarismo clericale. I teologi della liberazione per Wojtyla o i tanti esploratori dello spirito repressi dalla Congregazione per la dottrina della fede diretta da Ratzinger. 


 
          

martedì 18 dicembre 2012

ANTOLOGIA 2009-2012. 4 ANNI DI MATERIALI MAGAZINE

Materiali magazine nasce nel 2009 come giornale on line. La sinistra che riecheggia su queste pagine è lontana da quella ufficiale, ha i tratti di una forza libertaria, laica, riformatrice. Non di sola "politica" vive questo libro: scuola, università, scenari urbani, nuove forme della socialità, libri visti e letti, religione aperta, maestri, tra Gandhi, Aldo Capitini, Danilo Dolci, don Lorenzo Milani, Bruno Zevi. Di là dell'eterogeneità dei temi e dei gusti dei vari interventi, è possibile individuare un filo conduttore che giustifica la stesura stessa di questa antologia: la ricerca di un senso, di un nuovo pensiero della giustizia e della libertà finalmente fuori dalle nebbie del secolo scorso. Un pensiero che si produce in luoghi aperti e stravaganti, nel confronto quotidiano con il reale e le sue sconcertanti evoluzioni, e che trova la sua sede nella dimensione rapsodica della rete. Un'esperienza in fieri di cui questo libro vuole dare, seppur parziale, testimonianza.
Il libro è stato curato da paolo allegrezza e p.e. cretoni, è disponibile a colori, bianco e nero, ebook.  
 PER ORDINARE


Materiali magazine. Antologia 2009 - 2012

lunedì 17 dicembre 2012

IN NOME DEL DIRITTO



mercoledì 5 dicembre 2012

Marchini: occorrono risposte

Alfio Marchini potrà essere il nuovo Sindaco di Roma? E potrà esserlo realizzando una vera alternativa al deserto attuale? Una parziale risposta è venuta dall'intervista concessa a Lucia Annunziata. Eccone i punti salienti.

1) Fondazione di un movimento civico metropolitano in grado di rivolgersi ad elettori non rappresentabili da un PD ancorato alla vecchia politica.

2) Roma appartiene ad una macro area che si dovrà connettere ai grandi flussi commerciali e turistici prodotti dalla globalizzazione.

3) No all'espansione edilizia indifferenziata.

4) Gestione efficiente delle municipalizzate riducendo il loro impatto sul bilancio comunale.

Tutto troppo generico per capire se ci troviamo ad un candidato in grado di contrastare efficacemente lo scenario sconfortante (Gasbarra, Gentiloni, Marroni, e compagnia) che si prepara a sinistra per il post - Alemanno. Chi vorrà essere alternativo ai partiti attuali dovrà farlo partendo da un nuovo modello di amministrazione. Urgono, quindi, risposte chiare su alcune questioni.

1) Liberalizzazione tramite gara pubblica per l'affidamento dei servizi di pubblica utilità.

2) Privatizzazione, laddove le condizioni di mercato lo consentano senza svendite, delle ex municipalizzate. Scelta in favore di modello di governance a rete che preveda per il pubblico un ruolo di indirizzo e controllo; da pensare anche al varo di partnership board di cittadini in periodica interlocuzione con il gestore e con il soggetto pubblico, secondo consolidate esperienze di municipalità inglesi.

3) Uno stop chiaro al consumo di suolo ponendo un limite, una linea rossa come dice De Lucia, oltre la quale non sia consentito costruire. Ponendo la questione dei diritti di edificazione pregressi e della loro revoca in nome dell'interesse pubblico.

4) Riduzione del traffico veicolare puntando sulle forme di mobilità alternativa quali car sharing, piste ciclabili, tramvie. Ampia pedonalizzazione del centro storico e rinuncia a futuri, ultra costosi programmi di linee metropolitane.

5) Raccolta differenziata porta a porta da estendere progressivamente a tutta la città.

6) Spending review sul bilancio comunale, in particolare abolendo i consigli di amministrazione delle società interamente partecipate dal comune di Roma.  Destinazione delle risorse individuate alla manutenzione stradale.

7)  Una politica culturale che prescinda dai grandi eventi (la mediocre festa del cinema) e privilegi le tante realtà che operano in città nel campo della musica, delle arti visive, del teatro, della multimedialità. 

8)  Una authority di controllo sui servizi pubblici comunali con poteri regolativi e sanzionatori.

9) Libertà di scelta sui servizi alla persona con sistema di buoni erogabili direttamente alle famiglie (Comitato Roma si muove)

10) Diritti civili: parità di diritti per le famiglie di fatto nell'accesso ai servizi, istituzione del registro del testamento biologico (Comitato Roma si muove).
 





sabato 1 dicembre 2012

Maestri della religione aperta: Willigis Jaeger

Il testo che segue è tratto dall'introduzione di Willigis Jaeger a L’Onda è il Mare spiritualità e Mistica per il Terzo Millennio, La parola, 2008.
 Jaeger è monaco benedettino e maestro Zen, costretto al silenzio dal 2000, dalla Congregazione della dottrina della fede guidata dall'attuale papa. Dal 2002 ha rinunciato all'esercizio della sua attività sacerdotale. Dal 1975 ha intrapreso il percorso della mistica zen, fino a divenirne maestro. E' una delle voci più alte della ricerca spirituale contemporanea, speranza in chi crede in una religione aperta, a confessionale, anti dogmatica. Scaturita dall'esperienza diretta con il divino.


Durante la mia lunga permanenza in Giappone, mi sono fatto un’idea della concezione orientale del mondo ed ho avuto modo di osservare dall’esterno la nostra struttura religiosa cristiana. Ho constatato che le religioni sono dei modelli, in base ai quali l’uomo tenta di interpretare se stesso ed il mondo. modelli non sono la realtà. Spesso si basano su postulati che vengono soltanto
ripetuti, ma non più messi in discussione. Quando la scienza costruisce un modello per spiegare dei fenomeni complessi, sa di aver creato un modello che
non è la cosa stessa, ma ne costituisce soltanto un’esemplificazione. Tale modello viene modificato non appena emergono nuove conoscenze. Le religioni sono dei modelli. Ogni volta che cambia la concezione del mondo, anche le religioni dovrebbero avere il coraggio di creare nuovi modelli o di reinterpretare i vecchi, perché questi, altrimenti, rischiano di bloccare gli uomini, piuttosto che aprire loro una via. Ci sono persone profondamente religiose che non si sentono legate ad una confessione. Questi colloqui sono dedicati soprattutto a loro. Sono consapevole del fatto che i pensieri espressi in questo libro possono fare paura a qualcuno, forse anche provocare una presa di posizione. È proprio per questo che possono condurre ad un confronto sulla religione e sulla mistica. Niente viene qui posto in termini assoluti. Non si deve convincere nessuno. Le idee religiose esistenti non vengono svalutate. Semplicemente cerco di vedere le vecchie verità in un’altra luce.






martedì 27 novembre 2012

Ricerca Parson - Economist sulla scuola: antidoto alle ideologie

Nella città inglese di Guilford nel 2011 ogni studente della locale Royal Grammar school (la nostra scuola secondaria) ha conseguito una tripla A, il livello più alto della corrispondente classificazione, negli esami fi fine anno. Nella stessa città solo il 69% degli studenti del Kings College for the Arts and Technology è riuscito a raggiungere il massimo del punteggio. E' uno dei dati contenuti nel rapporto sui sistemi d'istruzione di circa quaranta paesi utilizzando i dati Pisa-Ocse. Stessa città, stesso sistema di rilevazione (in Inghilterra i test di accertamento dei livelli di profitto si fanno per tutti i gradi di scuola, provenienti dall'esterno), un'utenza assimilabile, ma risultati diversi. Il tutto, si badi bene, in un sistema d'istruzione d'eccellenza quale l'inglese, posizionato al 6° posto della graduatoria mondiale dominata da Finlandia (1°) e Corea del sud (2°). Noi siamo al 24°, in una posizione intermedia, inferiore alla Germania (15°) ma sopra la Francia. Il rapporto, presentato oggi a Londra e redatto in collaborazione con l'Economist, contiene una notevole quantità di dati, un antidoto prezioso alle rappresentazioni ideologiche. Sottolinea come non esistano ricette magiche per la qualità di un sistema d'istruzione, ma individua le componenti indispensabili per un suo buon funzionamento. 
Alto livello di qualificazione dei docenti, flessibilità organizzativa e piena autonomia per gli istituti, possibilità ampia di informazione e scelta per le famiglie,  concorrenza, verifiche periodiche dei livelli di apprendimento,  coinvolgimento delle famiglie, legame fra la scuola e il contesto socio - economico in cui opera.  
Insomma, ogni scuola dovrebbe fare i suoi stati generali ed interrogarsi, partendo da dati certi, sulle cose da migliorare e sulle strategie da adottare. Altro che 24 ore e birignao vari sull'attacco alla scuola pubblica.

 



giovedì 22 novembre 2012

Per una riforma che liberi la scuola italiana


Nell'attuale dibattito sulla scuola italiana pesa un gigantesco equivoco. Che la causa della sua crisi, contraddetta dai dati pluriennali sulla dispersione e dai Pisa - test, sia da addebitare alla riduzione dei finanziamenti. La scuola italiana è in crisi da decenni e fornisce un servizio largamente carente da molto tempo. Le rilevazioni sui livelli di apprendimento e l'inevitabile confronto con l'esterno prodotto dall'internazionalizzazione dell'economia, ci hanno costretto a farvi brutalmente i conti. Sgombriamo il campo dagli equivoci: al sistema italiano dell'istruzione non va più sottratto un euro. Ma non ne va dato neanche uno in più, fino a quando non sarà  sottoposto ad una riforma ispirata a criteri di merito, verificabilità dei risultati, autonomia piena degli istituti. Di seguito alcune proposte.

1) Autonomia piena degli istituti sugli immobili e sulla loro gestione. Pensiamo solo ai risparmi che  potrebbero derivare da una gestione efficiente dei consumi elettrici ed energetici, dalla possibilità di stipulare contratti per la pulizia e per la fornitura dei servizi amministrativi.

2) L'organo di amministrazione della scuola diviene un consiglio di gestione, in cui vi siano rappresentanze dei genitori, degli studenti, dei docenti, delle realtà economiche e sociali interessate.

3) Il controllo sull'utilizzo del budget di cui la scuola può disporre deve essere affidato in via preventiva ad una società di certificazione esterna o alla corte dei conti. I bilanci degli istituti devono essere consultabili on line.

4) Il consiglio di gestione, in base a parametri vincolanti (laurea conseguita in determinate facoltà, precedenti esperienze nel campo della formazione e manageriali, referenze, appartenenza ad un eventuale albo) individua il manager scolastico cui affidare il mandato sulla scorta di obiettivi individuati. Il mandato ha durata triennale e può essere rinnovato.

5) Il manager provvede alla scelta del direttore amministrativo, della dotazione e del personale amministrativo, previa approvazione del consiglio di gestione.

6) La scuola svolge una verifica obbligatoria annuale dei risultati di apprendimento, a cura di una società esterna, e li presenta in una conferenza dedicata alla riflessione sulle problematiche emerse e le eventuali strategie da adottare. I test di valutazione non potranno che essere quelli internazionalmente riconosciuti nel modello Pisa.

7) Abolizione del valore legale della laurea. È l'unico modo per far emergere le qualità e penalizzare le università scadenti. Secondo il criterio: chi comprerebbe una macchina che abbia dei difetti di fabbricazione? La mancata possibilità di accesso a concorsi pubblici da parte di chi proviene da università - esamifici potrebbe essere prodromico alla loro chiusura con conseguente risparmio di fondi pubblici. Aumento delle tasse universitarie in base al reddito famigliare per evitare l'attuale fenomeno dell'università dei ricchi pagata dai poveri (fiscalità generale). Da questa riforma anche le scuole potrebbero trarre benefici perché renderebbe conveniente l'impegno al miglioramento della propria offerta.

8) Abolizione dei concorsi pubblici per l'accesso alla docenza, al loro posto un albo degli abilitati cui gli istituti potranno attingere valutando i curricula e avvalersi della piena libertà contrattuale. Se una scuola vuole assumere un giovane e brillante laureato lo potrà fare, proponendogli uno stipendio adeguato.

9) Dotazione di fondi statali non a pioggia, ma sulla scorta delle effettive esigenze degli istituti. Se si mira a diminuire il livello di dispersione a Scampia si deve poter contare su risorse diverse da quelle di una scuola del centro di Roma, sia in termini di strutture, sia di investimento sui docenti. Le scuole devono poter disporre anche della dotazione dei docenti: più le realtà sono difficili, maggiore deve essere il numero dei docenti disponibili. Come dimostra l'esperienza eccellente della scuola primaria, i risultati migliori vi sono laddove funzionano tempo pieno e modulo (fondato sulle compresenze).

10) Possibilità per le scuole di scegliere i curricula. Fatte salve le materie base, ciascuna scuola può decidere di inserire una materia o un'altra, aumentare o diminuirne il carico orario valutando le esigenze della propria utenza.

paolo allegrezza, paolo emilio cretoni

giovedì 15 novembre 2012

Barca è l'uomo giusto

In un precedente intervento avevamo segnalato la nostra contrarietà ad una staffetta per Campidoglio e Regione: un cattolico sul colle, un laico alla Pisana. Ieri le cronache cittadine dei maggiori quotidiani parlavano delle reazioni ad un possibile patto Udc-Pd per portare Andrea Riccardi alla guida del Comune di Roma. I motivi riguardavano sia il metodo scelto, sia il profilo del possibile candidato, poco adatto ad affrontare partite impegnative come il nuovo assetto delle partecipate, la liberalizzazione dei servizi, l'emergenza finanziaria. Non indicavamo un nome alternativo che, nel frattempo, sembra essere spuntato. Si tratta di Fabrizio Barca, attuale ministro per la coesione del governo Monti e già direttore generale al ministero del bilancio per lunghi anni. Economista di vaglia, ex Banca d'Italia, Un Ciampi boy dal profilo tecnico inattaccabile, protagonista nei primi anni '90 dell'unico, serio tentativo di politica economica per il mezzogiorno: la programmazione negoziata. Un'idea giusta per un paese sbagliato, nel senso che la promozione dello sviluppo dal basso che vedeva protagoniste le comunità locali avrebbe dovuto essere sostenuta da una p.a e da istituzioni locali all'altezza del compito. Cosa che, come noto, in Italia non è data. Ma l'idea era giusta e, laddove ha camminato su gambe in grado di sostenerla, ha prodotto buoni risultati. Sarebbe interessante un bilancio della programmazione negoziata con i fondi europei nelle varie aree del mezzogiorno, si potrebbe verificare allora la presenza di realtà virtuose ed altre molto meno. Barca è l'uomo giusto per Roma perché unisce capacità di visione e di governance, è un laico in grado di tenere la schiena dritta sulle note questioni, può tenere insieme uno schieramento eterogeneo il che, quando si parla di elezioni locali, è un pregio.

lunedì 12 novembre 2012

Roma dopo il diluvio: un dossier di mondoperaio


Nel numero attualmente in distribuzione, Mondoperaio propone un dossier su Roma con articoli di Paolo Allegrezza (di cui proponiano un estratto), Marco Causi, Paolo Berdini, Gerardo Labellarte.

Nei giorni scorsi sul Corriere della sera si è svolto un garba botta e risposta tra costituzionalisti. Valerio Onida, in risposta ad un pezzo di Michele Ainis in cui si sottolineavano i limiti dell’impalcatura costituzionale italiana e le si addebitava una cospicua parte di responsabilità nel degrado emerso nello scandalo alla Regione Lazio, segnalava il pericolo di fagocitare le istituzioni nel baratro in cui sembra sprofondato il ceto politico. La crisi cui stiamo assistendo è colpa di un micidiale mix tra mancate riforme, riforme sbagliate (Titolo V) e degenerazione della politica?  -->

 

giovedì 8 novembre 2012

Il Colorado è vicino

Oggi la notizia non è soltanto la rielezione di Obama, ma il voto dei cittadini di Colorado (con il 53%) che ha permesso la legalizzazione della cannabis anche per scopi non terapeutici. Il risultato del referendum prevede che sia legale il possesso personale (a partire dai 21 anni di età) di 28,5 grammi di sostanza. La cannabis potrà essere venduta, e sottoposta a tassa, in negozi con apposita licenza statale, un sistema che si usa già per l'alcol in diversi stati americani. Si aprirà un conflitto con il governo federale che sul tema ha una posizione diversa, ma intanto il dado è tratto. Per la prima volta la legalizzazione si afferma in uno stato Usa che, particolare non irrilevante, conta una popolazione superiore a 5 milioni. Altri 18 stati americani, invece, ne prevedono già l'utilizzo a scopi terapeutici. E ora veniamo all'Italia,partendo da dati (tratti da Antigone) che ci descrivono la condizione gravissima in cui versa il nostro sistema giudiziario e carcerario a causa del sovraffollamento dei nostri istituti di pena. Sovraffollamento che, come vedremo, è in larga parte conseguenza dell'affermazione onnicomprensiva del "penale" in tema di droghe. 1) detenuti presenti al 30 settembre 2011: 67.428; 2)capienza regolamentare al 30 settembre 2011: 45.817; 3)detenuti in eccesso al 30 settembre 2011: 21.611; 4)stranieri presenti al 30 settembre 2011: 24.401; 5)detenuti in attesa di primo giudizio al 30 settembre 2011: 14.639; 6)totale detenuti imputati al 30 settembre 2011: 28.564; 7)detenuti con condanna definitiva al 30 settembre 2011: 37.213; 8)dei 37.376 detenuti con condanna definitiva al 30 giugno 2011 il 6,7% è in carcere per condanne fino ad un anno, il 28,5% fino a tre anni; 9)dei 37.376 detenuti con condanna definitiva al 30 giugno 2011 il 26,9% ha un residuo pena fino ad un anno, il 61,5% fino a tre anni; 10) Secondo i dati di SPACE I il 1 settembre 2009 gli stranieri nelle carceri francesi erano il 18,1%, in quelle tedesche il 26,4%, in quelle spagnole il 34,6%, in quelle britanniche il 12,6%, mentre in Italia erano il 37%. 11) Altro dato che rende uniche in Europa le nostre carceri è la percentuale di persone condannate per reati previsti dalla legge sulle droghe. Al 1 settembre 2009 tra i definitivi in Francia questa percentuale era del 14,5%, in Germania del 15,1%, in Spagna del 26,2%, nel Regno Unito del 15,4%. Alla stessa data questa percentuale in Italia era del 36,9%. Il Dipartimento politiche antidroga del Ministero dell'Interno indica in 22.413 i detenuti tossicodipendenti, pari al 29% del totale. Da precisare che in Italia non esistono detenuti per uso di cannabis, ma soltanto per traffico, spaccio o coltivazione non autorizzata. Per il consumo sono previste solo sanzioni amministrative. Quanto avvenuto in Colorado è, tuttavia, importante perché apre ad un punto di vista diverso sulla questione droghe che può afferma il principio che il consumo di cannabis fa male alla salute ma non alla società. Il vero salto non è però questo, ma sottrarre per sempre i tossicodipendenti al carcere.

venerdì 2 novembre 2012

Antispecismo non antiscentismo.

È nata l'associazione radicale antispecista  "Parte in causa". Nasce nel segno della non violenza gandhiana e capitiniana, non soltanto metodo di lotta politica ma chiave di lettura complessiva della realtà. Nello statuto sono opportunamente citati Capitini, Martinetti, Marcucci esponenti di quel filone laico e libertario, anche dell'antifascismo, spesso dimenticato. Questo ne fa qualcosa di diverso da una semplice associazione animalista. Rifiuto della logica del dominio e della violenza, iniziando dalla difesa di coloro che non hanno voce per eccellenza: gli animali. Aperto il confronto laico sulla questione della sperimentazione animale in sede scientifica. Sarà proprio sul piano delle argomentazioni scientifiche, oltre a quelle etiche, che la nuova associazione dovrà misurarsi. Per evitare guerre di religione e crociate, antico limite del mondo animalista.


 

domenica 28 ottobre 2012

Quindicenni italiani nei test PISA: si può fare di più

I dati 2009 del programma PISA (in attesa di quelli 2012 per la verifica dell'ultimo triennio) raffrontano i livelli degli studenti europei nella lingua madre, in matematica e in scienze. I nostri quindicenni mostrano un sensibile miglioramento rispetto al 2003 e un lieve progresso sul 2006. Tuttavia non si possono suonare metaforiche trombe. Infatti il recupero non colma il divario con gli altri paesi e non mostra il raggiungimento di livelli accettabili. Insomma ancora arranchiamo nella mediocrità. E dovremmo capire meglio come e dove sono stati ottenuti buoni margini di miglioramento per poter orientare nel modo migliore energie e risorse. 

Quelli citati sono dati del Programme for International Student Assessment of the OECD (in inglese su  http://www.oecd.org/pisa/pisaproducts/pisa2009/pisa2009keyfindings.htm, disponibili anche in italiano sul sito INVALSI)  ma segnaliamo un buon resoconto da un ottimo sito indipendente:

p.c.


giovedì 25 ottobre 2012

Scuola: altro che 24 ore

Le cifre dimostrano un fatto che a noi pare difficilmente contestabile:

il problema della scuola italiana non è la mancanza di risorse,  la spesa in istruzione del nostro paese è in linea con quanto spendono i paesi Ue (in percentuale sul Pil), 4,4 noi, 5% la media europea. Così pure il numero di studenti per insegnante (11.1.noi, 12.1 la media Ue). Sono dati Eurostat (Key data on education in Europe) pubblicati nel rapporto education at glance 2012,  eacea.ec.europa.eu/education/eurydice/.../key_data_series/134EN.pdf. 
Fanno riferimento a rilevazioni 2008 perché, come noto, la statistica non prevede rilevazioni in tempo reale.

Il punto è che l'efficacia di un servizio non può essere misurata sulla quantità di investimenti fatti. Ciò che bisogna considerare è l'effettiva ricaduta su chi ne fruisce. Se usiamo come indicatori i Pisa test e i livelli di dispersione non possiamo essre soddisfatti. E allora c'è da chiedersi se è utile mettere soldi in una macchina che non ne fa buon uso. Soldi che, peraltro, non ci sono e non ci saranno nei prossimi anni. Per questo non condividiamo la diffidenza verso i privati. Proprio perché mancano risorse, certo entro un quadro certo di regole, un impegno finanziario da parte delle aziende può essere auspicabile. Sarebbe da augurarsi che gli imprenditori italiani, piuttosto che pensare a guadagni speculativi, destinassero un po' di risorse alla scuola. Cosa vorranno in cambio? Non è difficile immaginare che un'azienda vorrà avere personale qualificato e formato per le sue esigenze. Avviene in tutto il mondo e anche nel nostro paese da anni e non risulta che la libertà d'insegnamento sia venuta meno.

Problemi complessi che, però, a nostro parere non vanno affrontati iniziando dall'orario di lavoro e dalle retribuzioni del personale. Compito della scuola non è il mantenimento del personale (stabile o precario) quanto offrire un servizio valido agli studenti.

Un buon punto di partenza sarebbe fare nostra la richiesta dell'abolizione del valore legale del titolo di studio che è all'origine dell'attuale omologazione fra istituti. Un altro chiedere l'aumento delle tasse universitarie in base al reddito visto che oggi sono i ceti medio-bassi (la fiscalità generale) a pagare gli studi dei ricchi.

Per questi motivi non condividiamo l'ultima evoluzione della protesta in corso.

Gli ulteriori dati nel link di seguito sono tratti da la voce.info, un sito di economia di autorevolezza indiscussa  http://www.lavoce.info/articoli/-scuola_universita/pagina1003345.html.

p.a., p.e.c.

 


martedì 23 ottobre 2012

Donne Italiane incontrano donne Libiche: con Emma Bonino, Marta Dassù, Elisabetta Belloni


Riceviamo e volentieri pubblichiamo.


Si è svolta questa mattina, presso il Ministero degli Affari Esteri, la presentazione del progetto “Soggiorno formativo a Roma per 7 donne libiche imprenditrici”. Una settimana (21-28 ottobre) dedicata ai temi di pari opportunità e inclusione e  che vede protagoniste 7 donne libiche giunte a Roma dalle più significative realtà del loro Paese. Il progetto è stato organizzato dall’ Associazione Pari o Dispare, supportato e voluto dal Ministero degli Affari Esteri e ha potuto contare sul sostegno di eni s.p.a.
Tra gli altri presenti all’incontro, in cui si è discusso di diritti civili, inclusione delle donne nella società e nell’economia , anche Marta Dassù, Sottosegretario di Stato del Ministero degli Esteri; Emma Bonino, Vice Presidente del Senato della Repubblica; Elisabetta Belloni, Ministro Plenipotenziario e Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo.
“Spero che questa occasione non resti isolata, ma sia invece l'inizio di un dialogo costante che possa aiutare le donne libiche nel loro ambizioso percorso di affrancamento. Come europee, noi faremo tutto il possibile per sostenerle” ha esordito Emma Bonino a cui ha fatto eco Marta Dassù “Le donne, sempre più protagoniste dei processi di transizione socio-politica ed economica, rappresentano tutt’oggi una risorsa non ancora pienamente valorizzata e molto resta ancora da fare in termini di parità economica e affermazione in politica. E’ necessario rilanciare il ruolo delle donne nel cuore dei processi decisionali, a cominciare dalla diplomazia”.
Alaa Murabit, giovane attivista libanese fondatrice e presidente di una NGO che si occupa dello sviluppo della donna nel campo politico ed economico, ha invece sottolineato come le rivoluzioni arabe siano state occasione di integrazione per le donne la cui assenza, tutt’ora, in campo economico è causa di scarsa competitività. “La forza di lavoro delle donne in Libia è del 27%” ha dichiarato “ e tale instabilità è senz’altro un’opportunità ma anche un rischio di ulteriore marginalizzazione”.
Concentrandosi infine sulle questioni religiose, Alaa Murabit ha affermato “tante sono le cose che alle donne vengono impedite ma in cui la religione non c’entra e su cui la religione non si è mai pronunciata. Tutto è frutto di un pregiudizio sociale che va smantellato!”.
Difatti molte delle partecipanti hanno poi sottolineato come modello di riferimento per spiegare questa impostazione sia la campagna per le Mutilazioni Genitali Femminili che nel suo approdo all’ONU garantisce un importante passo in avanti per i diritti e la salute delle donne e che già vide l’impegno di attiviste e himam a chiarire come in verità tra la religione e questa barbara pratica non ci sia alcun legame.

mercoledì 17 ottobre 2012

Roma non si muove (per il Pd)


Un brutto, bruttissimo segno il mancato raggiungimento del 50 mila firme per i referendum consultivi promossi da "Roma si muove". Quegli 8 quesiti individuavano questioni cruciali per il futuro della capitale, prima fra tutti quella relativa al consumo di suolo. E individuavano parte consistente di un futuro programma elettorale in grado di qualificare la proposta politica di una futura giunta di sinistra. Rifiutiamo di proposito l'espressione centro- sinistra perché priva di senso sempre, ma a maggior ragione nella realtà romana ove gli eredi della Dc non sono altro che il volto perbenino, senza fasci littori, della destra. Come tutti sanno, a Roma la destra come soggetto ideale e progettuale non è mai esistita, il suo posto è stato sempre occupato da leader e personale politico ai limiti. Un Luparetta's style che non ha mai conosciuto soluzioni di continuità. È altrettanto noto come una malintesa idea della modernità abbia contagiato la sinistra. Niente  a che vedere con le imprese dell'altra parte, ma per anni è invalsa l'idea che bisognasse fare accordi, mediare, conciliare, giocare il ruolo degli affidabili. Il modello Roma, secondo una espressione fin troppo banale. La scelta del Pd di non impegnarsi per "Roma si muove", ne è una conseguenza. Come se temi come l'istituzione del registro dei testamenti biologici o il riconoscimento e il sostegno alle famiglie di fatto, potessero disturbare il manovratore. E come sperare che il Vaticano (ma avrà poi così tante divisioni?), non si metta contro ? Che Riccardi accetti la candidatura? Che i costruttori e la Camera di commercio non si bruttino a destra ? 

venerdì 5 ottobre 2012

Questa staffetta non ci piace

Nicola Zingaretti ha accettato la candidatura alla Regione Lazio. Si tratta di un gesto di responsabilità che può dare un suo contributo nel contrastare l'atmosfera da Weimar nella quale siamo immersi. Z. ha amministrato bene la provincia, non ha ombre e può ben farsi carico del cambiamento che nel caso delle Regioni non può che partire da una robusta cura dimagrante. Smantellamento della miriade di organi (società controllate, partecipate, agenzie) nelle quali si dirama la spesa regionale. Una robusta cura dimagrante per la quale sarebbe utile ingaggiare un Enrico Bondi, il mitico risanatore di Parmalat. E restituire per quanto possibile la Regione al ruolo che le compete: programmazione, indirizzo, piuttosto che gestione diretta. Tutto bene, allora ? Non proprio se la candidatura di Z. aprirà le porte ad uno scambio con l'Udc che porterà in Campidoglio l'attuale ministro della cooperazione, Andrea Riccardi. Una staffetta che garantirebbe al Vaticano un sindaco cattolico e metterebbe uno scambio delle parti che sa tanto di vecchia politica. Non solo perché a quel punto le tanto sbandierate primarie diverrebbero una mera esercitazione simili a quelle che incoronarono Prodi nel 2005, ma perché la sinistra giocherebbe ancora una volta la carta dell'accordo con i cattolici. Rifiutando di giocare in proprio la partita per la conquista del voto moderato, come giustamente reclama Matteo Renzi. Riccardi è uno storico, ha il grande merito di aver fondato la comunità di Sant'Egidio, ma non ha il profilo di innovatore del modello di amministrazione che è quel che servirebbe a Roma. La città non ha bisogno di sindaci icone come Argan (il modello di Riccardi), ma di amministratori coraggiosi disposti a sfidare le tante lobby che infestano questa città. Per non parlare del pacchetto diritti civili - Imu alla Chiesa cattolica che è facile immaginare quale fine farà con Riccardi sindaco. Per questo la staffetta non ci piace. Se le cose andranno così sarà necessaria una candidatura laica, riformatrice, liberalsocialista. Noi il nome l'abbiamo fatto da tempo, e risponde al profilo di un giovane segretario di partito serio, pragmatico, attento alle questioni amministrative che in questi giorni è impegnato nella raccolta degli 8 referendum per la campagna Roma si muove. Chi sarà ?

 


giovedì 27 settembre 2012

Roma non ha bisogno di icone

Deludente intervista oggi al Corriere di Andrea Riccardi, attuale ministro per la cooperazione e fondatore di Sant'Egidio. Alla domanda su chi sceglierebbe tra Alemanno e Zingaretti non ha trovato di meglio che dichiarare di non credere ai salvatori della patria e aggiungere lo stantio elogio della società civile contrapposta alla politica ("la Roma delle professioni è molto ricca"). Perché mai un candidato di destra o di sinistra debba essere considerato un salvatore della patria e non un semplice candidato da valutare sulla scorta dei programmi, è un mistero. Così come lascia il tempo che trova il richiamo al mondo delle professioni privo del conforto dei nomi. Unica eccezione indicata da Riccardi il procuratore generale Giuseppe Pignatone, magistrato illustre, ma estraneo alle vicende romane. Ma la considerazione che lascia più stupiti è un'altra. Dovendo citare un modello di Sindaco, Riccardi fa il nome di Gulio Carlo Argan, primo cittadino romano tra il 1976 e il 1979. Figura autorevole, certo. Ma non un campione per l'efficacia dell'azione amministrativa (in specie in campo urbanistico). È allora perché non ricordare Petroselli che la sua autorevolezza se la conquistò sul campo ? Basti ricordare Tor Bella Monaca, una delle poche operazioni edilizie non speculative mai compiute a Roma. Oggi ciò che serve non è un'icona intellettuale, ma un Sindaco, e una classe di governo, coraggiosi. In grado di dire no ai mille appetiti concentrati sull'agro e rendere almeno decenti i servizi pubblici individuando nuovi modelli di gestione alternativi al pubblico uber alles  caro a certa sinistra. E se proprio vogliamo giocare alle icone, nonne troviamo nessuna migliore del sindaco che per primo, e con successo, combatté la rendita fondiaria. Ernesto Nathan.


 





giovedì 20 settembre 2012

Regione Lazio: Marziani a Roma

Renata Polverini sembra arrivata da Marte: “Non sapevo quanti soldi erano a disposizione del consiglio e dei gruppi”. La partitocrazia sembra sbarcata da Marte. Ma i marziani necessitano degli uomini e della loro energia per poter sopravvivere e rigenerarsi. In più, certe volte, sembra di vivere nel mondo di Matrix. Un mondo all’apparenza reale, ma che è – invece – solo un paravento per nascondere le verità. Siamo sprofondati nel campo del verosimile. Sulla prima pagina del quotidiano l’Opinione di ieri, come titolo di apertura, si leggeva: “Pdl Lazio: e adesso tutti a casa!”. Una esclamazione forte che dovrebbe scuotere le coscienze dei dirigenti politici del centrodestra e gli eletti del Pdl. Quello che è accaduto alla Regione Lazio meriterebbe da una parte molti passi indietro, dall’altra moltissimi passi in avanti. Servirebbero soluzioni drastiche, senza infingimenti, senza ipocrisie ma, soprattutto, servirebbe che qualcuno del Pdl dimostrasse di avere un po’ di coscienza. Intanto, il danno più grave, provocato dall’intera vicenda della Pisana, è l’ormai totale sfiducia dei cittadini nei confronti di questa politica politicante, autoreferenziale, bugiarda, omissiva, bolsa, parassitaria. La questione che è emersa dentro e fuori il Pdl non appartiene alla sfera della politica, semmai dell’antipolitica! Si tratta del sistema marcio della partitocrazia. Un sistema denunciato, spesso in solitudine, dai Radicali e dal Gruppo consiliare della Lista Bonino-Pannella “Federalisti europei”. A tal proposito, il capogruppo dei Radicali in Regione Lazio, Giuseppe Rossodivita, intervenendo in Aula nella seduta straordinaria del Consiglio regionale del Lazio, lunedì scorso, si è rivolto alla Presidente Renata Polverini, esclamando: “Da due anni e mezzo cerchiamo di portare a casa risultati per i cittadini del Lazio. Questa situazione non consente più di andare avanti: si facciano i tagli e poi si vada alle elezioni! Il suo assessore Cetica ha sempre espresso parere negativo alle proposte di tagli!”. Intanto, i programmi televisivi e di approfondimento se ne guardano bene dall’ospitare in trasmissione il Radicale Giuseppe Rossodivita o il consigliere regionale Rocco Berardo della Lista Bonino-Pannella. Gli autori e i conduttori dei talk show preferiscono ingannare i cittadini raccontando la storia rivista e corretta dal regime partitocratico piuttosto che restituire agli elettori quell’oncia di informazione necessaria per capire come stanno davvero le cose. In questa situazione, la fantasia è divenuta una necessità. Allora ho pensato che, forse, gli extraterrestri sono davvero sbarcati a Roma, alla Pisana. Ed hanno un obiettivo: l’azione di annientamento del genere umano attraverso l’annientamento della politica, dello stato di diritto, della democrazia, delle libertà e della legalità. I marziani hanno preso il sopravvento dentro il Palazzo e siedono anche nell’aula del Consiglio regionale della Pisana. E così, le parole di Rossodivita sono state rilanciate dalle agenzie di stampa intergalattica, ma non si sono perse nell’etere. Parole chiare che hanno sferzato l’aula della Pisana: “Sia chiaro una volta per tutte, la Presidente Polverini, la sua Giunta, i Gruppi Consiliari di maggioranza, in alcune occasioni con il concorso dei gruppi consiliari di opposizione, Radicali esclusi - come per la vergognosa vicenda delle Commissioni Speciali che hanno fatto lievitare il numero complessivo fino a 20, per spartirsi poltrone, posti, denari ed auto blu - hanno fino ad oggi operato nel senso opposto a quanto ora vanno dichiarando nel disperato tentativo di salvare la loro immagine”.

Pier Paolo Segneri 



lunedì 17 settembre 2012

Matteo Renzi: il volto e la maschera

Tra gli attori entrati a pieno titolo nella scena politica nazionale vi è sicuramente Matteo Renzi. Un giovane. Con tanti meriti, diverse qualità politiche e un bel po’ di furbizia a dargli man forte. Una furbizia, però, che appartiene più ai vecchi metodi del sistema partitocratico che a quel nuovo Umanesimo liberale di cui avremmo bisogno. La furbizia non è una virtù, anche se in nel mondo guasto di oggi, soprattutto negli ultimi anni, pare si sia imposta come una qualità di riferimento per un gran numero di persone e dirigenti politici soppiantando l’intelligenza e l’umano sentire. La cifra principale di Renzi è la furbizia. Almeno questo appare dalla tv. Comunque, il sindaco di Firenze è sicuramente una presenza scomoda per la nomenclatura del Partito Democratico e per l’establishment che cerca di contrastarlo, non solo a sinistra. Ha avuto coraggio a sfidare i vecchi dirigenti, ma chi si occupa della città di Firenze mentre lui è impegnato con la testa e con il camper ad affrontare la campagna elettorale per le primarie del centrosinistra? Non è una scelta che infonde fiducia. E’ come se avesse sempre bisogno di stare in campagna elettorale, invece che affrontare a tempo pieno il difficile compito di governare un capoluogo di regione così importante. Sono troppi anni che vediamo, davanti ai nostri occhi, sfilare una classe dirigente di furbi, che accumulano incarichi di enorme responsabilità e sommano ad essi ulteriori impegni, coccarde e strapuntini. Questo “distrarsi”, infatti, rispetto alla fiducia ricevuta dagli elettori fiorentini non gioca a suo favore. Con una tale premessa, come possiamo fidarci? Insomma, Renzi è davvero una novità? Ad uno sguardo superficiale, sembrerebbe proprio di sì, eppure c’è qualcosa che traspare dalle sue presenze televisive che ci lascia alquanto perplessi. C’è una distonia tra quanto Matteo dice e quel che arriva allo spettatore tramite il suo sguardo. Come interpretasse un ruolo che non corrisponde al suo vero modo di essere. Eppure, è bravo: si esprime bene, sa fare le battute al momento giusto, avanza proposte interessanti. Anche se fa spesso leva sulla demagogia, come quando chiede il dimezzamento dei parlamentari senza rendersi conto che, così facendo, dimezza quel poco di democrazia rappresentativa che ancora ci rimane. E poi, soprattutto, ha scelto di stare nel campo unico e trasversale della partitocrazia. Ma si tratta, ormai, di un campo secco, desertificato, incoltivabile, non più edificabile perché colpito dal virus di quella “Peste italiana” di cui hanno scritto e parlato i Radicali e Marco Pannella. A mio parere, il cambiamento dell’attuale sistema, che tanto vorremmo mutare, potrebbe concretizzarsi soltanto attraverso una “rivoluzione copernicana”, cioè con un cambiamento dei metodi, che dovrebbero essere necessariamente liberali, e dei meccanismi, che dovrebbero essere democratici oltre che basati sulle attitudini e le qualità delle persone. Insomma, la strada liberal-democratica potrebbe essere quella che riuscisse a passare ad un campo “altro”: dall’attuale campo unico della partitocrazia al campo della Politica. Soltanto allora, forse, potremmo trovare un’alternativa al pantano trasversale del Potere fine a se stesso. Il candidato alle primarie del centrosinistra, lo sfidante di Pier Luigi Bersani, ha scelto di stare tutto dentro al campo partitocratico, quindi non può rappresentare una novità. Al massimo, si candida ad essere l’erede di questo vecchio sistema di Potere. Con la variante anagrafica di essere un giovane. Anche se, ad uno sguardo attento, appare già come un giovane-vecchio. Quando Matteo Renzi passa in tv, infatti, la telecamera ci trasferisce l’immagine di una personalità empatica, ma non simpatica. Mi riferisco a quanto si percepisce dalla tv. Appare come un furbo. Infatti, sul teleschermo, c’è una differenza tra simpatia ed empatia: i protagonisti sono simpatici perché, seppur tra mille peripezie ed eventuali travagli, anche quando sono detestati, ricercano l’affermarsi di qualcosa di positivo, mentre gli antagonisti possono essere empatici, cioè riescono a catturare l’attenzione del pubblico e si fanno seguire lungo la storia, con una intensa partecipazione, anche se perseguono un fine negativo e, speso, il loro obiettivo non è chiaro o non è dichiarato. In altre parole, quanto dice ed esprime Renzi in tv è spesso condivisibile, ma i sottotesti delle sue parole lasciano intendere che lui non sostiene quelle cose perché le vuole realizzare davvero, non crede in quello che dice. E’ come se fosse l’attore sbagliato per ricoprire quel ruolo o quella funzione narrativa o quel personaggio che si è cucito addosso. Matteo Renzi sarebbe più credibile se fosse se stesso, se dicesse davvero quello che lui sente e pensa, al di là della maschera che mette in scena. Insomma, se Renzi ha come dote personale la furbizia, come appare in tv, allora dovrebbe cambiare copione e difendere quel regime partitocratico che, ora, a parole, afferma di voler sconfiggere. In altri termini, la sceneggiatura che hanno scritto per Matteo Renzi è buona, ma l’attore è sbagliato per quel ruolo. Si capisce che è un giovane-vecchio. Il futuro di cui abbiamo bisogno è “altro”.

Pier Paolo Segneri

 



domenica 16 settembre 2012

Roma e l'euromediterraneo

Alberto Negri, su il Sole 24 ore di domenica 16 settembre, cita alcuni dati noti ma poco citati riguardanti l'area euro mediterraneo. Il Pil dei paesi che affacciano sul mediterraneo, esclusi quelli europei, equivale a 1444 miliardi di dollari, il 2,5% di quello mondiale. Dal 2005 è aumentato del 23%, il doppio della media mondiale. I 285 milioni che vi abitano possiedono una ricchezza superiore all'India (1,1 miliardi di abitanti) e alla Russia (140 milioni). Un ragionamento che un recente Documento prodotto dal Partito Radicale non violento, transnazionale, transpartito ha sviluppato al World Urban Forum svoltosi dal 1° al 7 settembre a Napoli. 
Dati che andrebbero ricordati  quando si ragiona del futuro delle nostre città affacciate sul mediterraneo: Roma fra tutte. Le sue possibilità di crescita e di creazione di ricchezza sono legate proprio a quanto avviene sull'altra sponda del mediterraneo. A patto che riesca ad essere polo di attrazione per i capitali e le giovani élites euromediterranee, dal Libano al Marocco. Essere città accogliente, il che vuol dire lavorare sul fronte dei servizi, della sostenibilità, dell'offerta culturale, delle opportunità abitative per gli studenti. Pensare, piuttosto che a nuove, disastrose espansioni edilizie come quella prospettata nel quadrante nord ovest (Fiumicino) a programmi di recupero dentro la città. E volare alto, magari attingendo al passato migliore di questa città: dal progetto di Cederna ai Fori, ad un'idea di produzione culturale dal basso sulle orme di Nicolini, ad interventi sulle periferie sull'esempio di Petroselli. Forse allora Roma diventerà città appetibile non solo per i tradizionali tre giorni venduti dai tour operator. E intercettare lo sviluppo dell'euromediterraneo. 

mercoledì 12 settembre 2012

Seminario della Fondazione socialismo.

Segnaliamo un ciclo di incontri di studio sulla questioni delle questioni al vaglio della politica nei regimi democratici: è possibile domare la bestia della speculazione ?
Venerdì 14 settembre, alle ore 17, presso l'Università di Roma Tre (ingresso di via Ostiense 139, Aula 4) Vito Gamberale introdurrà un seminario sul tema "Il governo della finanza privata". Il seminario fa parte di un ciclo organizzato dalla Fondazione Socialismo e dalla Fondazione europea di studi progressisti (Feps) sul tema "Sovranità, governabilità e crisi del debito" che si svolgerà nella stessa sede ogni venerdì con gli interventi di Luigi Capogrossi (21 settembre), Cesare Pinelli (28 settembre), Antonio Pedone (5 ottobre), Giuseppe Vitaletti (12 ottobre). Il 19 ottobre si terrà la tavola rotonda conclusiva con l'intervento di Gennaro Acquaviva, Piero Craveri, Giuseppe De Rita, Giuliano Ferrara ed Ernesto Galli della Loggia.


 

giovedì 6 settembre 2012

Carcere: quanti morti ancora ?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Alcune brevi notizie dal pianeta-giustizia: il 30 agosto si è tenuta la grande “battitura della speranza”, segno della ripresa della “campagna nonviolenta, in nome della legge e del popolo sovrano”. Sono parole di Marco Pannella, leader dei Radicali, che da anni porta avanti questa lotta politica e che, nei giorni scorsi, al Tg 5, ha dichiarato: “Venticinque milioni di cittadini sono oggi coinvolti da cinque milioni di processi penali e cinque milioni di cause e procedimenti civili, siamo condannati perché lo Stato si comporta in modo criminale”. Intanto, una notizia del luglio scorso riporta l’attenzione sulla difficile realtà del carcere di Reggio Calabria dove molti processi non si possono celebrare per mancanza di agenti penitenziari che possano essere impiegati al trasferimento dei detenuti dal carcere alle aule dei tribunali. Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e il segretario regionale dello stesso sindacato Damiano Bellucci, sulla situazione reggina dichiarano: “Nei penitenziari calabresi la situazione è dunque sempre difficile non solo per il sovraffollamento dei detenuti, che sono 3mila di cui 67 donne a fronte dei 1890 posti disponibili...” Sulla mancanza di personale delle carceri calabresi riferiscono numeri sconcertanti: “Agenti di Polizia Penitenziaria a Reggio, invece delle 199 unità previste sono presenti circa 175 agenti, a Locri l’organico prevede 94 unità ma i presenti sono solo 65...”.
In questi giorni, inoltre, si discute della presunta chiusura della Casa Circondariale di Marsala. A tal proposito, alla riapertura dei lavori della Camera l’on. Rita Bernardini ha depositato una mozione riguardante l’equiparazione degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria con quelli di altre forze di Polizia, mentre l’associazione “Detenuto Ignoto”, per iniziativa di Irene Testa, insiste nella petizione per chiedere al Governo l’introduzione del reato di tortura che in Italia ancora non c’è.
Pochi gli agenti e troppi i detenuti: 45mila posti per 67mila detenuti; 9 milioni di processi arretrati, 10 anni per una sentenza definitiva, 170mila processi che cadranno in prescrizione, il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio da mesi o anni e quel che è peggio è che di questi il 50% risulterà innocente. La Ministra Severino ha recentemente risposto con il numero di 11.573 nuovi posti in nuove carceri, il Presidente Giorgio Napolitano, invece, ha dichiarato: “E’ una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile, è una realtà non giustificabile in nome della sicurezza che ne viene più insidiata che garantita”, ma era il 28 Luglio 2011, più di un anno fa, durante un convegno dei Radicali.
Poco spazio a queste notizie, che ci arrivano quotidianamente dal pianeta-giustizia, e silenzio assoluto su tante altre come quella di uno sciopero della fame che, in questa calda estate, ha coinvolto oltre 30mila tra detenuti e personale carcerario per quattro giorni quattro. E’ soltanto un caso che, nelle carceri italiane, in quei quattro giorni, non ci sia stato alcun suicidio?
Sheyla Bobba