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domenica 20 settembre 2015

Sulla letteratura italiana contemporanea (2).


Vent'anni fa la comparsa della generazione cannibale aprì un varco nella tendenza al disincanto che fino a quel momento aveva dominato la scena letteraria in Italia. Arte e letteratura avevano seguito percorsi simili: mentre la transavanguardia ('79) recuperava la figurazione e la citazione come allusione alla fine della storia, il romanzo, riscopriva la trama e celebrava il piacere del gioco (Il nome della rosa, '80). Anche il Calvino oulipista  (Se una notte d'inverno un viaggiatore '79) si muoveva su quel versante, ma entro una strada sperimentale meno in sintonia con i tempi e destinata a non avere seguito.  Il corrispettivo di questa operazione in poesia fu la tendenza neo orfica avversaria della lunga stagione d'avanguardia; ma in quel caso le poetiche del disincanto  trovarono una valida resistenza nella presenza attiva di alcuni vecchi leoni del Gruppo '63 (Sanguineti, in primis) e di una nuova generazione di poeti e critici (Pontiggia - Di Mauro, 1978, Bettini, Di Marco 1993).  Sul fronte della narrativa la risposta fu più tardiva e, soprattuto, meno efficace. Il decennio '90  conobbe, oltre alle proliferazione delle scritture di genere,  l'affermazione di un intimismo pensoso, distillatore di perle di saggezza di cui la Tamaro, Baricco, i più recenti Mazzantini, Ferrante, Avallone, sono esempio. In entrambi in casi  il ritorno al romanzo tradizionale, alla trama, allo stile medio come garanzia di leggibilità, di rapporto pacificato con il mondo.  Nel '96 l'uscita di "Gioventù cannibale" sembrò indicare una strada alternativa all'intimismo e alla scrittura di genere, in specie noir, che nel frattempo stava proliferando. Gli anni zero hanno visto la comparsa di alcuni autori che hanno scelto di praticare poetiche della distopia, della malattia, della degradazione. Assenza di idillio e rifiuto delle pratiche confortevoli del gioco, hanno accomunato voci anche assai diverse fra loro come Raimo, Pincio, Vasta, Santacroce, Falco, Pugno, Policastro. Nessun gruppo, nessuna poetica comune, semmai uno sguardo non pacificato sul reale, è tutto ciò che li accomuna. Dentro questa nuova ondata Giuseppe Genna si segnala come uno scrittore importante. Rispetto ai suoi coetanei si caratterizza per due motivi: la vastità della produzione (quindici romanzi, racconti, tre saggi tra il '99 e il 2015) la varietà delle soluzioni narrative: dalla ricostruzione storica, al poliziesco, al romanzo. La scrittura di Genna può essere studiata partendo da ciò che non è. Non è auto fiction. Prendiamo Italia De profundis (2008),  costruito su tre blocchi narrativi corrispondenti a tre momenti autobiografici: Milano, teatro della lunga agonia dell'amato padre, Venezia ed il racconto dell'esperienza di giurato alla festa del cinema, Cefalù, nel cui villaggio turistico si svolge una tragicomica esperienza vacanziera. Pur scrivendo di sé stesso e facendo di sé il motore della narrazione, l'io è tutt'altro che protagonista. Protagonista è la realtà, il mondo straziato nel quale siamo immersi. Luogo inospitale segnato da malattia, degrado, corruzione, disfacimento psichico. Il narratore attraversa questo deserto affidandosi alla ripetizione di topoi consueti che innescano quel regresso infantile costituente il fulcro dall'esperienza del soggetto nella post modernità (Virno, 2002, p. 27). Milano, Calvairate, la figura del padre, gli psicofarmaci, la cupa storia familiare, gli amori falliti, la droga, la nostalgia per figure di un mondo intellettuale milanese ormai archiviato (Primo Moroni, Gianni Sassi, Antonio Porta), costituiscono una personale cartografia dello spaesamento. Dell'angoscia provocata  da un contesto nel quale la dimensione, affettiva, collettiva, prima che politica si è irrimediabilmente consumata. Non c'è probabilmente scrittore italiano più efficace di Genna nel rappresentare dal di dentro il vuoto in cui è immerso il soggetto post moderno. Il trattamento narrativo si traduce nel sabotaggio del romanzo tradizionale, secondo la pratica dell'auto denudamento, di cui Aldo Busi è maestro (Bello Minciacchi, 2015). Non solo. L'io narrante è sottoposto ad un trattamento che ne occulta le pretese di onniscenza confuso com'è tra descrizioni, micro blocchi narrativi, inserti (anche per interi capitoli) di storie, lunghe divagazioni filosofiche. Come nel quinto capitolo (World wide west) di Assalto ad un tempo devastato e vile (2001) in cui si passa dal racconto di una solitaria cena presso un Mac Donald's, al dialogo semi demenziale tra due ragazzi sul gioco alla play station, alla riflessione sullo struggimento (la via di fuga suscitata dal ricordo confortante di un passato anche solo in parte vissuto) e sullo sdegno (il rifiuto irato del presente). Così in Dies irae (2006), anch'esso costruito su blocchi narrativi aperti da una vicenda simbolo della recente storia italiana: il delirio mediatico scaturito dalla lunga agonia del piccolo Alfredo Rampi. Un bambino protagonista involontario di uno psicoramma mediatico tanto potente da occultare le ragioni di un delitto altamente probabile. La vicenda di Vermicino, posta all'inizio del romanzo, diviene una sorta di incunabolo, nel lontano '81, dell'orrore italiano dei decenni successivi. Un orrore ormai conclamato nell'Italia berlusconizzata. Memorabile la lunga sequenza della visita alla struttura psichiatrica cui il giovane scrittore è invitato ad assistere ad uno spettacolo di beneficenza di malati psichici in qualità di ospite d'onore. L'incontro con le due giovani donne organizzatrici dell'evento è disastroso: lo spettacolo si è rivelato patetico e lo scrittore non manca di rilevarlo, ma il prosieguo della serata è ancora peggiore: un campionario della "antropologia dell'oggi", sgradevole e malato. Alla fine della lunga sequenza il marcio di ognuno, io narrante incluso, sarà portato alla luce. La digressione, l'invettiva, le storie che si accavallano, creano un continuum incalzante, frenetico. La predilezione per la paratassi, l'asindeto, la scelta di una lingua basica, sono elementi funzionali al flusso incessante che non consente alla macchina testuale alcun rallentamento. Genna ama procedere per accumulazione di blocchi secondo un andamento circolare, come se fin dall'inizio sia scontata l'assenza di una via d'uscita. Da questo punto di vista si potrebbe dire che segue una traiettoria opposta a quella di un altro grande visionario della sua generazione: Tommaso Pincio. Niente da scoprire nel tempo devastato, l'autore mette fin dall'inizio le carte sul tavolo, né c'è da inoltrarsi in un labirinto entro cui carotare la ricerca della miseria del mondo. Come nell'amato Borroughs ciò che conta è il montaggio. Una ripresa del cut up caro ai dadaisti  e a Borroughs ? Solo in parte, le singole parti mantengono una loro coerenza, ad essere depotenziato è l'effetto rassicurante della trama. L'affabulazione, tutt'altro che dissolta, si disperde in molteplici macro sequenze che fanno svanire la trama, pur senza rinunciare al romanzesco. Una scelta coerente con l'attraversamento nomadico del presente che non attiva, però, alcuna metamorfosi; contrariamente al divenire animale del personaggio di cui parlavano Deleuze e Guattari  a proposito di Kafka (Nazione indiana, 2009). Prevale la distopia, l'assenza di vie di fuga, l'invettiva. Unica pratica possibile per il soggetto non pacificato nell'era della post modernità. Nasce da qui, da questa ira che deflagra la scrittura eccessiva di Genna, lo scrivere "troppo", la ridondanza che talvolta gli è stata rimproverata (Savettieri, 2008). Il viaggio dentro il male e l'insensatezza del reale lo si può compiere attraverso la lente parossistica del futuro prossimo de umanizzato; come in Infinite Jest, romanzo sulla dipendenza,  sul controllo ormai totale da parte del bio potere di ciò che rimane della società (la casa per il recupero delle dipendenze), sulla  spoliazione del tempo umano a favore delle aziende (il calendario mercificato imposto dall' Onan). Oppure raccontarlo a partire dall'io, un io imploso, inattendibile, partecipe del degrado, punto di attraversamento di eventi segnati dall'insignificanza. Presenti e passati. Per questo compare spesso, a schegge, la storia italiana recente, soprattutto in Italia De profundis e nei romanzi della serie di Lopez: il Pci, la guerra fredda attraverso la vicenda di un amore oltrecortina, oltre che segreto, del padre comunista, le illusioni perdute dei '70, la Milano da bere. Eventi che hanno creato una coltre tossica cui non sono esenti le responsabilità individuali, all'insegna del nessuno è innocente. La manipolazione della forma romanzo si conferma nella produzione giallistica, dove è messa in scena, in forma apparentemente riconciliata con il genere, una vera galleria dell'orrore: massonerie globali praticanti rituali pedofili (Nel nome di Ismahel), commerci di organi (Non toccare la pelle del drago), servizi segreti che si comportano come sette sataniche (Le teste), organizzazioni terroristiche deliranti (Grande madre rossa). Né basta il profilo decadente,  chandleriano, del poliziotto Guido Lopez a giustificare il rientro nei canoni. La presa di distanza è confermata dall'inserto di parti che congelano il tempo narrativo e interpolano nel flusso della trama il monologo, il rapporto  burocratico, la visione. Nella sua fase finale la post modernità ha perso, se mai li ha avuti, le sembianze giocose degli esordi; il post umano nel quale siamo immersi, popola le pagine di Genna di corpi in disfacimento, mozzati, triturati, congelati, alterati da farmaci e droghe, ormai privi di integrità. Organi senza corpo, nemesi del deleuziano corpo senza organi liberato dall'obbligo della produzione sociale (Braidotti, 2014, p. 98), annuncianti la vittoria postuma di Hitler; la non persona divenuta modello  nell'era del dominio finanziario globale. Ne La vita umana sul pianeta terra, il nazista bianco Anders Breving Breivik, torna a rimettere in moto l'antico male sedimentato nella pelle dell'occidente. Che riaffiora a Berlino nei "delitti del kebab", di cui fu effettivamente responsabile una cellula nazista già in contatto con lo stragista norvegese. L'Occidente nel cui ventre nasce una umanità di nuova specie, modellata su retoriche identitarie, di razza, inveramento dei micro fascismi. Breivik è espressione estrema di un impazzimento sociale, non leggibile secondo la lente psicanalitica; è un malessere diffuso  non riconducibile all'eccezione criminale, che  non risparmia nessuno. Come nel capitolo sull'happening scaturito dall'occupazione della Torre Galfa,  in cui il narratore compie una sua "salita" agli inferi che restituisce uno sguardo straniato sul  vuoto che ingoia Milano. La vita umana sul pianeta terra, apre lo sguardo sulla realtà mortifera del tecno capitalismo laddove si è compiuta la dissociazione tra i corpi ed al loro interagire si sono sovrapposti il farmaco, la protesi, l'agente chimico. Breivik, imbottito di psico farmaci prima del massacro di Utoya, utilizza fertilizzante acquistato in rete per ricavarne esplosivo, si sottopone a plastiche facciali per migliorare il suo volto, incontra una giovane ucraina conosciuta su un sito di incontri, spedisce le sue mille pagine di delirio nazista ad una mailing list. E' il volto torbido che il post umano rischia definitivamente di assumere. Qui risiede il valore della scrittura di Genna. In questa autopsia del presente, contributo che la letteratura può dare ché si inizi ad immaginare un'uscita dal garbuglio.



Bibliografia

La parola innamorata. I poeti nuovi 1976-1978, a cura di G. Pontiggia e E. Di Mauro, Milano, Feltrinelli 1978; Terza Ondata, Il nuovo movimento della scrittura in Italia, a cura di F. Bettini e R. Di Marco, Bologna, Biblioteca Universale Synergon 1993.

I narratori degli anni zero, a cura di A. Cortellessa, Roma, Edizioni Ponte Sisto 2012; riedito con il titolo La terra della prosa. Narratori italiani degli anni zero (1999-2014),  Roma, L'orma 2014. In entrambe le edizioni Genna non è presente.

P. Virno, Grammatica della moltitudine. per un'analisi delle forme di vita contemporanee, Roma, Derive e approdi 2002.

C. Bello Minciacchi, Busi, autosputtanamento la più alta moralità, Il manifesto (Alias), 19 aprile 2015.

(http://www.nazioneindiana.com/2009/01/16/giuseppe-genna-il-de-profundis-dellantieroe/).

C. Savettieri, Giuseppe genna - Hitler, .allegoriaonline.it/index.php/raccolte-tremila-battute/allegoria-58/253-giuseppe-genna-qhitlerq.html

R. Braidotti,  Il post umano. La vita oltre l'individuo, oltre la specie, oltre la morte, Roma, Derive e approdi 2014.



paolo allegrezza  


(già pubblicato su mondoperaio 9/2015)





venerdì 4 settembre 2015

Laboratorio Grecia: prove di Esodo

La Grecia è un laboratorio politico, oltre che terra di devastazione prodotta dal micidiale tornado politico - finanziario che l'ha investita. Con un welfare ormai ridotto al minimo, le reti di protezione e solidarietà esistenti rimandano al protagonismo dei cittadini. I giovani, soprattutto, che hanno compreso la necessità dell'auto organizzazione. E' un laboratorio perché per la prima volta dalla seconda guerra mondiale un paese occidentale deve fronteggiare un radicale cambio di paradigma: dal benessere diffuso ad uno scenario nel quale le premesse del modello consumistico sono saltate. Una parte della società ha risposto attivando anticorpi sociali, un'altra è stata risucchiata nel circuito autodistruttivo, come dimostra l'incremento del consumo di droghe sintetiche.  Pedios to areos, il parco nel centro di Atene,  è il simbolo di queste contraddizioni: luogo di rifugio per i nuovi tossicodipendenti, nodo della solidarietà organizzata dagli ateniesi verso coloro che lì sono accampati. Né dalla politica può giungere alcuna soluzione. Dopo il fallimento del tentativo velleitario di Tzipras e le imminenti elezioni che apriranno le porte ad una grande coalizione cui affidare la gestione dell'austerità, la risposta può venire solo dall'auto produzione. Dalla capacità di quella parte della società greca in grado di dare vita ad esperienze di esodo dalla crisi e dalla disperazione sociale. Sperimentando soluzioni alloggiative, lavorative, educative, culturali, alimentari, culturali alternative al modello bio tecno consumista. Senza improbabili ritorni al passato, ma utilizzando tutte le soluzioni già disponibili (l'esperienza della Cooperativa generale di Catalogna, attiva non solo nel consumo ma anche nella produzione) e sperimentandone di nuove. Utilizzando a dovere gli stessi algoritmi con cui il capitale - sfruttando i bisogni di affettività, conoscenza, condivisione - estrae valore. Dalla Grecia può iniziare l'Esodo.