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martedì 23 dicembre 2014

Omaggio a Edwige Fenech

Oggi compie 66 anni Edwige Fenech, icona del cinema sexi italiano anni '70. Non è nelle nostre corde indulgere alla nostalgia, tuttavia come non cogliere l'incommensurabile distanza tra quella stagione, quella rappresentazione della sessualità e l'odierna egemonizzata dalla pornografia ? Sempre più specchio deformato delle passioni tristi. Nonostante la messe di studi e corsi universitari che ne decodificano i codici, il porno non riesce, e non può, emanciparsi da due fattori: uno sul fronte dell'offerta, l'altro su quello della domanda. Il primo è il dominio del denaro, niente altro che questo. Fatte salve tutte le penose elucubrazioni fintamente antilibertarie messe periodicamente in campo dalle varie dive del settore. Il secondo è la conseguenza della devastazione psichica e, quindi, sessuale innescata dallo schizocapitalismo oggi sovrano. Entrambi ne spiegano il travolgente successo. E allora servirebbe un piano  di fuga collettivo, verso la terra dove Edwige starà festeggiando il suo compleanno.

martedì 9 dicembre 2014

Atac, vade retro privato

Che la parola privato sia ancora un tabù  per alcuni a sinistra lo dimostra la notizia odierna riguardante l'Atac. Un gruppo cinese sarebbe interessato a vendere in leasing bus all'azienda di trasporti romana, primo passo di un possibile ingresso nel mercato italiano. I costi sarebbero circa la metà della concorrente Iveco, storica fornitrice Atac. Ma la notizia è un'altra. L'assessore alla mobilità Imprta si è subito affrettato a precisare che non è prevista alcun intervento sul capitale Atac che rimarrà interamente pubblico. Anzi, si promette (l'ennesimo) piano di risanamento finanziario. Insomma, vade retro il privato. Anche se ciò potrebbe mettere Atac in condizione di competere per le gare previste nel 2019 e favorire la necessaria liberalizzazione del settore. 

domenica 7 dicembre 2014

Roma: meno pubblico, meno corruzione

In "Per Roma" (saggi di Allegrezza, De Nicolò, De Lucia, Garano, Murtas, Paolinelli, Pettarin, Saggio, Tocci, 2012), parlavamo della necessità di affrontare il nodo pubblici servizi non escludendo decisioni estranee alla vulgata di sinistra. Leggi privatizzazioni. Decreto legislativo "Burlando" del '97, legge n.99/2009. Il primo impone l'affidamento dei pubblici servizi a gare pubbliche, la seconda consente deroghe prevedendo un periodo transitorio di dieci anni. Nel 2019, quindi largo alle gare.  Tra meno di cinque anni Atac e Ama dovrebbero essere in teoria in grado di partecipare alle gare, possibilità al momento più che remota considerando il profondo indebitamento di entrambe e la lontananza dagli standard europei e nazionali richiesti. Di là del giusto can can di queste ore sul commissariamento del comune o sull'azzeramento del tesseramento nel Pd, la vera emergenza per la politica è questa. Una volta messa in sicurezza l'amministrazione, si dovrà procedere al risanamento delle due aziende. Se necessario, vendendole a pezzi. E poi procedere alle gare. Tutto il resto è noia.

Per Roma. La sinistra e il governo della capitale. Idee per un progetto possibile

venerdì 5 dicembre 2014

Scrittori e popolo 50 anni dopo


    Lettura di "Scrittori e popolo" (1965), lacuna colmata e  piacere finale di vedere  tutto perfettamente in ordine. Ogni cosa al suo posto, Pratolini con Vittorini, il primo più rude e primitivo, Carlo Levi, Pavese e poi i minori come Oriani, Mastriani, la Viganò (chi ha letto L'Agnese va a morire?). Le giuste bastonature a Cassola e Pasolini, come poche pagine prima al Calvino del "Sentiero". Rimane solo un dubbio: ma se le stesse cose le avevano già scritte e dette (il convegno di Palermo è del '63) Guglielmi  e Giuliani, Barilli e Eco e prima ancora quelli del Verri, e se c'era un monumento vivente come Gadda ad incarnarle, il libro di Asor Rosa per dire al PCI che aveva puntato sui cavalli sbagliati? Non sarebbe stato meglio condividere, allora come oggi, la scelta per l'avanguardia piuttosto che puntare sulla celebrazione postuma del Calvino americano o su una voce tradizionale come la Mazzucco?

      venerdì 28 novembre 2014

      Giorgio Agamben


      Abbiamo scovato e proponiamo quest'ottima video intervista a Giorgio Agamben. Tanti i temi affrontati, segnaliamo la riflessione foucaultiana dei primi quindici minuti, sulla fede (30, sulla sinistra (45), su Marx (48), sulla destituzione del potere (107).


      martedì 25 novembre 2014

      Sull'affluenza: solite, inutili chiacchere

      Alcuni dati sull'affluenza al voto nelle democrazie occidentali: 
      nel 2012, presidenziali della rielezione di Obama, la partecipazione è stata del 62%, nelle ultime elezioni di mid term (2014) del 45%; alle ultime europee nel Regno Unito non ha superato il 35%; in Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia sia nelle elezioni europee 2009, sia in quelle 2014 il dato non ha mai superato il 45%. In Francia alle presidenziali 2012 l'affluenza è stata del 79%. L'affluenza italiana alle europee 2014 è stata del 57,22%. Di seguito i dati di partecipazione in Italia, elezioni europee (quelle con minore appeal). Facile vedere che quando si determina un forte grado di politicizzazione del voto, gli elettori vanno più volentieri alle urne ('94 e 2014). Per il resto tendono a votare in massa solo quando la posta in gioco è veramente alta. Basterà per prendere i commenti di queste ore e farne l'uso che meritano? 

       elezioni 200942.94
       elezioni 200445.47
       elezioni 199949.51
       elezioni 199456.67
       elezioni 198958.41
       elezioni 198458.98
      A elezioni 197961.99

      mercoledì 19 novembre 2014

      Il nomade

      "La coscienza nomade è affine a ciò che Foucault chiama contromemoria ; è una forma di resistenza all'assimilazione o all'omologazione alle modalità dominanti di rappresentazione dell'io (...) Il tempo del nomade è l'imperfetto: è attivo, continuo. Il nomade percorre la sua traiettoria a velocità controllata. Parla di transizioni e di paesaggi senza distinzioni predeterminate. Non rimpiange patrie perdute. Il nomade intrattiene un rapporto di attaccamento transitorio e di frequentazione ciclica con la terra. Antitesi del contadino, il nomade raccoglie, miete scambia ma non sfrutta." (Rosi Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, 2014)


      martedì 18 novembre 2014

      Un seminario de "Il Cantiere"



      L’associazione di cultura politica “il cantiere” si è lanciata in un graduale lavoro di conoscenza della Lingua italiana in generale e del lessico politico in particolare.
      A tal proposito, sabato 15 Novembre 2014, "il cantiere" ha svolto la prima sessione di un ciclo seminariale di studio e di approfondimento intitolato L’ABBECEDARIO DELLA POLITICA.

      Obiettivi degli incontri seminariali saranno le origini storiche della lingua italiana accompagnate da un lavoro di ricostruzione delle parole e di recupero del loro significato anche politico. A tutto questo, si aggiunge un’analisi precisa del ruolo di rappresentatività dell’identità nazionale ricoperto dall’italiano, con la conseguente ricaduta politica di tale premessa culturale. Inevitabile, quindi, sarà uno studio sulle caratteristiche del linguaggio della politica in Italia e l’analisi delle più recenti tendenze linguistiche dei politici, con uno sguardo particolarmente attento alle dinamiche dello slittamento semantico e della metaforizzazione.

      Si tratterà, insomma, di un viaggio alla scoperta delle origini e degli usi della nostra lingua nell’ambito dei messaggi politici, dell’etimologia delle parole chiave rilette in questo senso, dei meccanismi del cambiamento semantico, al fine di restituire alla politica i suoi termini nuovamente arricchiti partendo dal loro significato originario e reale. 

      In questa precisa direzione, “il cantiere” ha in animo di realizzare, appunto, con l’aiuto di esperti, l’ABBECEDARIO DELLA POLITICA. 

      L’ambizione, perciò, è quella di scrivere, insieme, un'opera collettiva, una sorta di abbecedario o dizionario, in cui le parole della politica italiana possano ritrovare il loro significato originario e riappropriarsi della pienezza del loro contenuto.       

      Temi del primo incontro, che si è tenuto a partire dalle ore 16.00 presso il Boscolo Hotel Aleph di Roma (Via di S. Basilio, 15), sono stati: l’origine dell’italiano, con l’intervento coinvolgente e accattivante della Prof.ssa Maria Carosella (Linguista – Univ. degli Studi di Bari “Aldo Moro”) dal titolo "Dal latino volgare al fiorentino. Appunti per la biografia dell’italiano", e l’italiano della politica, con l’intervento davvero magistrale del Prof. Lorenzo Renzi (Filologo – Univ. degli Studi di Padova) intitolato "il lessico politico italiano".
      Si sono uniti alla riflessione con domande e considerazioni anche gli iscritti de "il cantiere" che hanno animato l'intero pomeriggio con una partecipazione attenta e attiva fino alle ore 20. È intervenuta nel dibattito anche la prof.ssa Alessandra Serra, docente presso l'Università degli Studi di Viterbo "La Tuscia", relazionando sul linguaggio politico attraverso i media, la tv e i social-network soffermandosi anche sulla comunicazione utilizzata dall'attuale premier, Matteo Renzi. Si è trattata di una tavola rotonda di sicuro interesse per la qualità degli interventi e degli intervenuti. 
      Per chi avesse voglia e curiosità, alcuni momenti dell'incontro seminariale, organizzato dall'associazione "il cantiere", si possono rivedere e riascoltare su Liberi.tv, la web tv diretta da Gianni Colacione.

      Pier Paolo Segneri

      lunedì 10 novembre 2014

      Luigi Malerba (11-11-1927)

      L'11 novembre 1927 nasceva Luigi Malerba (+ 2008), scrittore ironico, spiazzante, ambiguo. Come suggeriscono alcuni suoi titoli: Il serpente, Salto mortale, Le Pietre volanti. Uno dei narratori di punta del Gruppo '63,  apparteneva  a quella generazione di scrittori (Lombardi, Manganelli, Arbasino) per i quali il linguaggio non era strumento di comunicazione, ma fattore costitutivo dell'operazione letteraria messa in atto. Oggi alcuni giovani temerari stanno raccogliendo quell'eredità. Ne riparleremo.




      sabato 8 novembre 2014

      Rodotà: il giurista vate

      Solito pezzo, nel senso che sono gli stessi argomenti da decenni, di Rodotà su "la Repubblica" di oggi (8-11). Dopo aver messo in guardia verso i pericoli plebiscitari incarnati da Renzi, il  quale vorrebbe addirittura cancellare i "mediatori sociali" (leggi sindacati)  ed evocato parentele con l'altro noto aspirante caudillo degli anni '80 (Craxi), ripropone la solita minestra. Con qualche piccola variante, scaturita dalla recente elaborazione sui beni comuni.

      1)  La sinistra non Pd dovrebbe finalmente unirsi e misurarsi con la ridefinizione dei significati di libertà, uguaglianza, solidarietà (una cosetta da niente), senza curarsi degli svariati fallimenti di questi anni. Sfidando la storia. R. non è sfiorato dal sospetto che se da Democrazia proletaria, ai Verdi, a Rifondazione, a Italia dei Valori, a Sel, ai popoli arancione e viola non si è concluso nulla negli ultimi trent'anni una ragione dovrà pur esserci.

      2) Varare una nuova politica costituzionale che, ispirandosi alla carta più bella del mondo (l'italiana, naturalmente), cancelli la "controrivoluzione economica" affermatasi in Europa in questi anni. Solo qui risiede, a suo parere, "non solo il compito di una opposizione di sinistra, ma il fondamento essenziale di un governo democratico". Come dire, applichiamo la Carta nella sua splendida, prima parte e tutto si risolverà. 

      Napolitano dovrebbe dare le dimissioni nel corso del 2015.


      venerdì 7 novembre 2014

      Lester Bowie (8/11/99)

         
      L'otto novembre 1999 ci lasciava Lester Bowie ('41), una delle voci più creative e coerenti del jazz contemporaneo. Fondatore dell'Art Ensemble of Chicago, ha sempre ribadito il legame tra ricerca e critica del presente. Un ricordo  dell'indimenticabile "dottore", scritto da Chiris Kelsey.


      It is hard to express our collective loss in Lester Bowie's passing. He had an impact that will survive through his contemporaries and their recordings. Here is an excerpt from a published biography.
      From the 1970s, Lester Bowie has been the preeminent trumpeter of the jazz avant-garde -- one of the few trumpet players of his generation to successfully and completely adopt the techniques of free jazz. Indeed, Bowie has been the most successful in translating the expressive demands of the music -- so well-suited to the tonally pliant saxophone -- to the more difficult-to-manipulate brass instrument. Like a saxophonist such as David Murray or Eric Dolphy, Bowie invests his sound with a variety of timbral effects; his work has a more vocal quality, compared with that of most contemporary trumpeters. In a sense, he's a throwback to the pre-modern jazz of Cootie Williams or Bubber Miley, though Bowie is by no means a revivalist. Though he's certainly not afraid to appropriate the growls, whinnies, slurs, and slides of the early jazzers, it's always in the service of a thoroughly modern sensibility. And Bowie has chops; his style is quirky, to be sure, but grounded in fundamental jazz concepts of melody, harmony, and rhythm.
      Bowie grew up in St. Louis, playing in local jazz and rhythm & blues bands, including those led by Little Milton and Albert King. Bowie moved to Chicago in 1965, where he became musical director for singer Fontella Bass. There Bowie met most of the musicians with whom he would go on to make his name -- saxophonists Joseph Jarman and Roscoe Mitchell and drummer Jack DeJohnette among them. He is member of the Association for the Advancement of Creative Musicians and (in 1969) the Art Ensemble of Chicago.
      Bowie's various bands have included From the Root to the Source -- a sort of gospel/jazz/rock fusion group -- and Brass Fantasy, an all-brass, post-modern big band that's become his most popular vehicle. Bowie's catholic tastes are evidenced by the band's repertoire; on albums, they have covered a nutty assortment of tunes, ranging from Jimmy Lunceford's "Siesta for the Fiesta" to Michael Jackson's "Black and White."
      Besides his work as a leader and with the Art Ensemble, Bowie has recorded as a sideman with DeJohnette, percussionist Kahil El'zabar, composer Kip Hanrahan, and saxophonist David Murray. He was also a member of the mid-'80s all-star cooperative the Leaders. Bowie's music occasionally leans too heavily on parody and aural slapstick to be truly affecting, but at its best, a Bowie-led ensemble can open the mind and move the feet in equal measure. 

       https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGlOMTC7oA_DBVGLtBHfZD4_c2zVgtpEd5J8pOAx5dzPCNjXB1BVomJ9nT0_9bnQBz_sJX7aLzozoJV-GkQsTL3uShG6F_DLFafDByx5BFsLD5hC1jLKRFiEj76iqIMUbwvuPftBZR9iw/s1600/bowie1.jpg



      giovedì 6 novembre 2014

      (7/11/17), Rivoluzione russa

      Il 7 Novembre 1917 aveva iniziò la Rivoluzione russa (in realtà il 25 ottobre). L'11 agosto 1918 Lenin ordinava ai comunisti di Penza il primo massacro di cento kulaki. Nei giorni successivi le vittime saranno ventimila. Era solo l'inizio. I regimi comunisti nel mondo uccideranno circa 100 milioni di persone (Le Livre noir du communisme: Crimes, terreur, répression, a cura di S. Courtois, 1997). Ma la cifra non comprende Cambogia e Corea del nord. Saluti a chi parla ancora oggi di rifondazione del comunismo.

      http://media.polisblog.it/p/pci/pci-via-delle-botteghe-oscure-4-roma/27879703.gif

      mercoledì 5 novembre 2014

      Robert Musil

      Il 6 novembre 1880 nasceva Robert Musil. Il brano che segue è l'incipit de "I turbamenti del giovane Torless".

      “Noi togliamo stranamente valore alle cose non appena le pronunciamo. Crediamo d’esser scesi sul fondo degli abissi, e quando ne riemergiamo la goccia d’acqua che stilla dalla punta sbiancata delle nostre dita non somiglia più al mare da cui viene. Ci illudiamo d’aver scoperto una massa di meravigliosi tesori, e quando torniamo alla luce non abbiamo portato con noi che pietre false e pezzetti di vetro. Eppure, nell’oscurità il tesoro conserva immutato il suo luccichio…”.


      martedì 4 novembre 2014

      Se Obama ha fallito non ha colpe

      Il 5 novembre 2008, Barack Obama era eletto alla Casa Bianca. Riportiamo integralmente il discorso di insediamento. Se a pochi giorni dalle elezioni di mid term che lo manderanno in minoranza anche al Senato, possiamo affermare che la sua è stata una presidenza deludente. La causa non sta nei suoi, pur innegabili, errori in politica estera o nell'implementazione della riforma sanitaria. E' il sistema costituzionale americano che non funziona più da molti anni. Almeno dalla rivoluzione reaganiana che ha trasformato il Partito repubblicano in un partito estremista. Da allora l'equilibrio dei poteri fondato fondato su presidenzialismo e federalismo produce immobilismo e presidenze mediocri.


      Vice presidente Biden, signor giudice capo, membri del congresso degli Stati Uniti, distinti ospiti, concittadini.
      Ogni volta che ci riuniamo per investire un presidente, testimoniamo la forza duratura della nostra Costituzione. Noi affermiamo la promessa della nostra democrazia. Noi ricordiamo che ciò che tiene unita questa nazione non è il colore della nostra pelle o i principi della nostra fede o le origini dei nostri nomi. Ciò che ci rende eccezionali – ciò che ci rende americani – è il nostro legame con un’idea, articolata in una dichiarazione fatta più di due secoli fa:

      “Noi riteniamo queste verità evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro creatore di inalienabili diritti: questi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità”

      Oggi noi continuiamo un viaggio senza fine, per collegare il significato di quelle parole con le realtà del nostro tempo. La storia ci insegna che se da un lato queste verità possono essere evidenti, dall’altro non sono mai state messe in pratica. Mentre la libertà è un dono di Dio, essa va protetta dalle Sue persone qui sulla Terra. I patrioti del 1776 non hanno combattuto per rimpiazzare la tirannia di un re con privilegi per pochi o con l’anarchia. Loro ci diedero una Repubblica, un governo fatto da e per le persone, incaricando ogni generazione di tenere fede al nostro credo fondante.

      Per più di duecento anni, noi l’abbiamo fatto.

      Attraverso il sangue versato dalla frusta e quello versato dalla spada, noi abbiamo imparato che nessuna unione fondata sui principi di libertà ed uguaglianza può sopravvivere semi-schiava e semi-libera. Noi siamo pronti di nuovo ad andare avanti insieme.

      Insieme, abbiamo determinato che una moderna economia richiede ferrovie ed autostrade per velocizzare i viaggi ed il commercio; scuole ed università per istruire i nostri futuri lavoratori.

      Insieme, abbiamo capito che un libero mercato è prospero quando ci sono delle regole che assicurino la competizione ed il fair-play.

      Insieme, abbiamo capito che una grande nazione deve fare attenzione alle vulnerabilità, e proteggere i suoi cittadini dai peggiori pericoli e le sventure della vita.

      Dopo tutto ciò, noi non abbiamo mai abbandonato lo scetticismo sull’autorità centrale, né mai abbiamo ceduto alla finzione che tutti i mali della società possano essere curati dal solo governo. La nostra celebrazione dell’iniziativa e dell’impresa; il nostro insistere sul duro lavoro e sulla responsabilità personale, sono costanti nel nostro carattere.

      Ma noi abbiamo sempre capito che quando i tempi cambiano, anche noi dobbiamo cambiare; la fedeltà nei nostri principi fondativi richiede nuove risposte a nuove sfide; preservare le nostre libertà individuali, in definitiva, richiede un’azione collettiva. Per le persone americane non si possono più affrontare le sfide del mondo d’oggi agendo da soli come i soldati americani avrebbero potuto affrontare le forze del fascismo o del comunismo con moschetti e milizie. Nessuna singola persona può formare tutte le insegnanti di matematica e scienze di cui noi avremo bisogno per educare i nostri figli per il futuro, per costruire le strade le reti e i laboratori di ricerca che porteranno nuovi posti di lavoro e business alle nostre terre. Adesso, più che mai, noi dobbiamo fare queste cose assieme, come una sola nazione, e come un’unica persona.

      Questa generazione di americani è stata testata dalla crisi che ha offuscato le nostre convinzioni e provato la nostra resistenza. Dieci anni di guerra stanno ora terminando. Una ripresa economica è cominciata. Le possibilità dell’America sono senza fine, noi abbiamo tutte le qualità che questo mondo senza confini richiede: giovinezza ed impulso, diversità e accoglienza, un’infinita capacità di rischiare e di sapersi reinventare. Miei cari concittadini americani, noi siamo fatti per questo momento, e noi lo supereremo – e lo supereremo insieme.

      Il popolo capisce che il nostro paese non può avere successo quando una stringente minoranza ha di più e un numero crescente di persone ce la fa appena. Noi crediamo che la prosperità dell’America debba stare sulle ampie spalle di una crescente classe media. Noi sappiamo che l’America cresce quando ogni persona può trovare indipendenza e orgoglio per il proprio lavoro; quando gli stipendi dei lavoratori onesti liberano le famiglie dal ciglio del disagio. Noi siamo sinceri col nostro credo quando una bambina nata nella più cupa povertà ha le stesse possibilità di aver successo di qualsiasi altra, perché lei è americana, lei è libera, lei è eguale, non solo agli occhi di Dio ma anche ai nostri.

      Noi comprendiamo che i soliti programmi sono inadeguati ai bisogni di oggi. Noi dobbiamo sfruttare nuove idee e tecnologie per rifondare il nostro governo, rimodernare il nostro fisco, riformare le nostre scuole, e dare ai nostri cittadini quelle competenze di cui hanno bisogno per lavorare di più, imparare di più e raggiungere il punto più alto. Mentre i mezzi cambieranno, i nostri sforzi saranno duraturi: una nazione che salvaguardi gli sforzi e la determinazione di ogni singolo americano. Questo è ciò che questo momento richiede. Questo è ciò che darà reale significato alla nostra filosofia.

      Noi continuiamo a credere che ogni cittadino abbia bisogno di una misura basica di dignità e sicurezza. Noi dobbiamo fare le più difficili scelte per ridurre il costo dell’assistenza sanitaria e la misura del nostro deficit. Ma noi rifiutiamo la convinzione per cui l’America deve scegliere tra l’attenzione per la generazione che sta costruendo questo paese e gli investimenti per la generazione che costruirà il suo futuro. Noi ricordiamo le lezioni del nostro passato, quando gli anni del crepuscolo vennero spesi in povertà, e i genitori dei bambini con disabilità non avevano nessuno a cui appellarsi. Noi riconosciamo che non importa quanto responsabilmente noi viviamo le nostre vite, ognuno di noi, in qualsiasi momento, può affrontare la disoccupazione, o un’improvvisa malattia, o una casa portata via da un terribile uragano. Gli impegni che noi assumiamo – attraverso Medicare, e Medicaid, e la Sicurezza sociale – queste cose non minano la nostra iniziativa. Esse la rafforzano. Non fanno di noi una nazione di acquirenti. Esse ci rendono liberi di rischiare per far diventare questo paese grande.

      Noi, crediamo che i nostri compiti come americani non sono validi sono per noi, ma per tutte le future generazioni. Noi risponderemo alla sfida del cambiamento climatico, sapendo che un fallimento non potrà che tradire i nostri figli. Qualcuno potrà rinnegare il travolgente giudizio della scienza, ma nessuno potrà abolire il devastante impatto di furiosi incendi, della siccità paralizzante o di altri forti uragani. La strada verso fonti di energia sostenibile sarà lunga e talvolta difficile. Ma l’America non può opporsi a questo cambiamento; noi dobbiamo condurlo. Noi non possiamo cedere ad altre nazioni la tecnologia che darà forza a nuovo lavoro e nuove industrie – noi dobbiamo rivendicare questa promessa. Sarà così che noi manterremo la nostra vitalità economica e il nostro patrimonio nazionale – le nostre foreste e le nostre vie d’acqua; i nostri terreni agricoli e le nostre montagne innevate. Sarà così che preserveremo il nostro pianeta, portato alla nostra salute da Dio. Così daremo significato al credo che una volta dichiararono i nostri padri.

      Noi crediamo ancora che una sicurezza e una pace durature non richiedano guerre perpetue. I nostri uomini e le nostre donne coraggiosi in uniforme, temperati dalle fiamme della battaglia, sono impareggiabili per abilità e coraggio. I nostri cittadini affetti dalla memoria di quelli che abbiamo perso, conoscono troppo bene il prezzo che è si paga per la libertà. La conoscenza del loro sacrificio ci terrà per sempre vigili contro coloro che ci vorranno danneggiare. Ma noi siamo anche eredi di coloro che vinsero la pace e non solo la guerra, coloro che si trasformarono da giurati nemici nei più sicuri amici, noi oggi dobbiamo ricordare anche queste lezioni.

      Noi difenderemo la nostra gente e sosterremo i nostri valori attraverso la forza e le regole della legge. Noi mostreremo il coraggio per provare a risolvere le nostre divergenze con le altre nazioni pacificamente – non perché noi siamo ingenui nei confronti del pericolo che affrontiamo, ma perché gli accordi possono eliminare sospetto e paura più a lungo. Gli Stati Uniti rimarranno l’ancora delle forti alleanze in ogni angolo del pianeta; e noi rinnoveremo quelle istituzioni che estendono la nostra capacità di gestire le crisi all’estero; nessuno ha più grande interesse a mantenere un mondo pacifico che la sua più grande nazione. Noi supporteremo la democrazia dall’Africa all’Asia; dalle Americhe al Medio Oriente perché il nostro interesse e la nostra coscienza ci obbligano ad agire affianco a coloro che ricercano la libertà. E noi dobbiamo essere risorsa di speranza per i poveri, gli ammalati, i marginalizzati le vittime del pregiudizio – non per mera carità, ma perché la pace oggi richiede la costante avanzata di quei principi che il nostro comune credo descrive: tolleranza ed opportunità; dignità umana e giustizia.

      Noi dichiariamo oggi che la più evidente delle verità – che tutti gli uomini sono creati uguali – è ancora la stella che ci guida; proprio come essa guidò i nostri antenati attraverso le cascate Seneca, e Selma, e Stonewall; proprio come essa guidò tutti quegli uomini e quelle donne, celebrati e non, che lasciarono le impronte presso il grande Mall, per sentire il predicatore dire che noi non possiamo camminare soli. Per sentire un Re proclamare che la nostra libertà individuale è inestricabilmente legata a quella di ogni anima sulla Terra.

      È ora compito della nostra generazione portare avanti ciò che i nostri padri iniziarono. Il nostro viaggio non sarà completo finché le nostre mogli, le nostre madri, e le nostre figlie non riusciranno a ottenere una vita pari ai loro sforzi. Il nostro compito non sarà ultimato finché i nostri fratelli e sorelle gay saranno trattati come qualsiasi altro sotto la legge – se noi siamo veramente stati creati uguali, poi sicuramente anche l’amore verso gli altri sarà equo. Il nostro compito non sarà completo finché nessun cittadino sarà forzato ad attendere per ore di poter esercitare il diritto di voto. Il nostro compito non sarà completo finché non troveremo un miglior modo per accogliere l’impegno di immigranti senza speranza che continuano a vedere l’America come terra di opportunità; finché brillanti giovani studenti ed ingegneri saranno arruolati nella nostra forza lavoro invece di essere espulsi dal nostro paese. Il nostro compito non sarà completato finché tutti i nostri bambini, dalle strade di Detroit alle colline dell’Appalachia ai tranquilli vicoli di Newtown, consci che essi siano curati e amati, saranno sempre al sicuro dal male.

      Questo è il compito della nostra generazione – rendere queste parole, questi diritti, questi valori – di vita, di libertà e di ricerca della felicità – reali per ogni americano. Essenre fedeli ai nostri documenti fondanti non richiede che noi siamo d’accordo su ogni aspetto della vita; non significa che noi tutti definiremo la libertà nello stesso modo, o che seguiremo lo stesso preciso sentiero per la felicità. Il progresso non ci obbliga a liquidare dibattiti centenari riguardo il ruolo del governo per sempre – ma esso ci richiede di agire ora.

      Ora le decisioni stanno a noi, non possiamo permetterci ritardi. Noi non possiamo scambiare l’assolutismo per principio, o sostituire lo spettacolo con la politica, o trattare gli insulti come ragionevole dibattito. Dobbiamo agire, sapendo che il nostro lavoro sarà imperfetto. Dobbiamo agire sapendo che le vittorie di oggi saranno solamente parziali, e che sarà compito di quelle persone che staranno qui per quattro anni, e quarant’anni, e quattrocento anni far avanzare lo spirito infinito un tempo conferito a noi in una libera sala di Philadelphia.

      Miei cari americani il giuramento che ho svolto davanti a voi oggi, come quello recitato da altri che hanno servito in questo Campidoglio, è un discorso a Dio e alla nazione, non di parte o fazioso – e noi lo eseguiremo fedelmente durante il periodo del nostro mandato. Ma le parole che ho pronunciato oggi non sono molto diverse dal giuramento che è ripetuto ogni volta da un soldato che si arruola per dovere o da un immigrato che realizza il suo sogno. Il mio giuramento non è così diverso dall’impegno che noi tutti facciamo alla bandiera che sventola qui sopra e che riempie i nostri cuori di orgoglio.

      Queste sono parole dei cittadini, e rappresentano la nostra più grande speranza.

      Voi ed io, come cittadini, abbiamo il potere di definire il corso di questa nazione.

      Voi ed io, come cittadini, abbiamo l’obbligo di plasmare i dibattiti del nostro tempo – non solo con i voti che otteniamo, ma con le voci che sentiamo in difesa dei nostri più antichi valori e ideali duraturi.

      Che ciascuno di noi ora abbracci, con solenne dovere e incredibile gioia, quella che è la nostra primogenitura. Con comune sforzo e comune proposta, con passione e dedizione, permettici di rispondere alla chiamata della storia, e di portare in un incerto futuro quella preziosa luce della libertà.

      Grazie, Dio vi benedica, e possa lui per sempre benedire questi Stati Uniti D’America.

      lunedì 3 novembre 2014

      Urlo (A. Ginsberg). Per il 4 novembre


      Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla
      follia, affamate isteriche nude,
      trascinarsi nei quartieri negri all'alba
      in cerca di un sollievo astioso,
      alternativi dalle teste d'angelo in fiamme per l'antica celeste
      connessione con la dinamo stellata nel meccanismo
      della notte,

      che in povertà e stracci e occhi vuoti e fatti sedevano
      fumando nell'oscurità soprannaturale di
      appartamenti con acqua fredda galleggianti tra le cime delle città
      contemplando il jazz,
      che esponevano i cervelli al Cielo sotto l'El e
      vedevano angeli maomettani barcollare illuminati su tetti
      condominiali,
      che attraversavano università con freddi occhi splendenti
      allucinando l'Arkansas e la tragedia della Blake-light
      fra gli studiosi della guerra,
      che venivano espulsi dalle accademie per estremismo &
      pubblicazione di odi oscene sulle finestre del
      cranio,
      che si annidavano in stanze non sbarbate in mutande, bruciando
      i loro soldi in cestini dei rifiuti e ascoltando
      il Terrore attraverso il muro,
      che venivano perquisiti nelle barbe pubiche tornando via
      Laredo con una cintura di marijuana per New York,
      che mangiavano fuoco in alberghi riverniciati o bevevano trementina a
      Parco Paradiso, morte, o purgatoriavano i propri
      busti notte dopo notte
      con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti,
      alcol e cazzo e palle infinite,
      incomparabili vicoli ciechi di nuvola vibrante e
      fulmine nella mente scagliata verso i poli di
      Canada & Paterson, che illumina tutto l'im-
      moto mondo del Tempo in mezzo,
      solidità di Peyote di saloni, albe di cimitero dell'albero verde del
      cortile, ubriachezza di vino sui tetti,
      borghi commerciali di giretto da fumati semaforo lampeggiante
      al neon, vibrazioni di sole e luna
      e albero nelle ruggenti foschie invernali di Brooklin,
      proclami Ashcan e luce mentale di re gentile,
      che si incatenavano a metropolitane per l'interminabile
      corsa da Battery al benedetto Bronx sotto benzedrina
      finché il rumore di ruote e bambini li faceva scendere
      tremanti con la bocca convulsa e abbattuti il cervello inaridito
      tutti drenati di splendore nella sconfortante luce di Zoo,
      che si immergevano tutta la notte in luce sottomarina di Blickford's
      emergevano e sedevano a smaltire la birra svaporata dopo
      mezzogiorno in un desolato Fugazzi's, ascoltando il frastuono
      d'inferno dal jukebox a idrogeno,
      che parlavano senza interruzione settanta ore da parco a
      casa a bar a Bellevue a museo al Ponte
      di Brooklin,

      battaglione disperso di conversazionalisti platonici che saltavano
      fuori da scalinate da uscite di sicurezza da davanzali
      dall'Empire State dalla luna,
      chiacchiericciando strillando vomitando sussurrando fatti
      e ricordi e aneddoti e pugni nell'occhio
      e traumi di ospedali e carceri e guerre,
      interi intelletti degurgitati in flusso di coscienza per sette giorni
      e notti con occhi brillanti, carne per la
      Sinagoga gettata sul pavimento,
      che svanivano nel nulla Zen New Jersey lasciando una
      pista di ambigue cartoline illustrate dell'Atlantic
      City Hall,
      soffrendo calure orientali e artriti Tangerine
      e emicranie della Cina durante astinenze da roba
      in una camera squallidamente arredata di Newark,
      che giravano e giravano a mezzanotte nello
      spiazzo della ferrovia domandandosi dove andare, e andavano,
      senza spezzare nessun cuore,
      che accendevano sigarette a camionate camionate camionate arrancando
      nella neve verso fattorie solitarie nella notte
      del nonno,
      che studiavano Plotino Poe San Giovanni della Croce telepatia
      e bebop cabbala perche il cosmo vibro'
      istintivamente ai loro piedi in Kansas,
      che si aggiravano solitari per le strade dell'Idaho cercando
      angeli indiani visionari che fossero angeli indiani
      visionari,
      che pensavano di essere solo pazzi quando Baltimora
      risplendette in estasi soprannaturale,
      che saltavano in limousine con il Cinese dell'Oklahoma
      ispirati dalla pioggia invernale di semaforo di paesino
      a mezzanotte,
      che si aggiravano affamati e soli per Houston
      cercando jazz o sesso o zuppa, e seguirono lo
      spagnolo brillante per conversare sull'America
      e l'Eternità, un'impresa disperata, e cosi' si
      imbarcarono per l'Africa,
      che sparivano nei vulcani del Messico lasciando
      dietro di sè nient'altro che l'ombra dei jeans
      e la lampada lava e cenere di poesia sparpagliata nel
      camino Chicago,
      che riapparivano nel West investigando
      sull'FBI in barbe e pantaloncini e grandi occhi
      pacifisti sexy con la loro pelle abbronzata mentre
      distribuivano incomprensibili volantini,
      che si procuravano bruciature di sigarette sulle braccia per protesta
      contro foschia narcotica di tabacco del Capitalismo,
      che distribuivano pamphlet Supercomunisti a Union
      Square piangendo e spogliandosi mentre le sirene
      di Los Alamos li lamentavano via, e lamentavano
      via Wall, e il traghetto di Staten Island pure
      si lamentava,
      che scoppiavano in lacrime nella palestra bianca nudi e
      tremanti di fronte al meccanismo di altri
      scheletri,
      che mordevano ispettori sul collo e strillavano con gioia
      in macchine della polizia per non aver commesso alcun crimine salvo
      la propria pederastia in selvaggia ebollizione e intossicazione,
      che ululavano in ginocchio nella metropolitana e venivano
      trascinati via dal tetto agitando genitali e
      manoscritti,
      che si lasciavano fottere in culo da motociclisti
      santi, e urlavano di gioia,
      che pompavano e venivano pompati da quei serafini umani,
      i marinai, carezze dell'Atlantico e amore
      Caraibico,
      che scopavano la mattina la sera in giardini
      di rose ed erba di parchi pubblici e
      cimiteri spargendo il loro seme liberamente per
      chiunque volesse venire,
      che singhiozzarono all'infinito provando a ridacchiare ma se la cavarono
      con un gemito dietro un separè di un bagno turco
      quando il biondo & nudo angelo venne a infilzarli
      con la spada,
      che perdevano i ragazzi per le tre vecchie maledizioni del destino
      la maledizione con un occhio solo del dollaro eterosessuale
      la maledizione con un occhio solo che ammicca dall'utero
      e la maledizione con un occhio solo che non fa nient'altro che
      star seduta tutto il giorno a tagliare i fili d'oro
      intellettuali del telaio dell'artigiano,
      che copulavano estatici e insaziabili con una bottiglia di
      birra un fidanzatino un pacchetto di sigarette una
      candela e cadevano giù dal letto, e continuavano sul
      pavimento e nel soggiorno e finivano collassati
      sul muro con una visione di troiaggine perfetta e orgasmo
      che eludeva l'ultimo sprazzo di coscienza,
      che addolcivano le fiche di un milione di ragazze tremanti
      al tramonto, e avevano gli occhi rossi la mattina
      ma erano preparati ad addolcire la fica del sole
      nascente, chiappe balenanti nei fienili e nude
      al lago,
      che andavano a puttane per il Colorado in una miriade
      di auto civette rubate, N.C., eroe segreto di questi
      versi, amatore e Adone di gioia-di-Denver
      alla memoria delle sue innumerevoli trombate di ragazze
      in parcheggi vuoti e retri di tavole calde, sedili traballanti
      di cinema, su cime di montagne in grotte o con
      cameriere ossute in sollevamenti di sottane solitarie
      ai bordi di strade familiari & specialmente solipsismi segreti
      di gabinetti di stazioni di servizio & pure parchi di paese natio,
      che sfumavano via in vasti film sordidi, erano sostituiti
      nei sogni, si svegliavano a un inatteso manhattan, e
      si tiravano fuori da sottoscala intossicati
      di tocai senza cuore e orrori di sogni di ferro
      da Terza Strada & vagavano verso uffici di
      disoccupazione,
      che camminavano tutta la notte con le scarpe piene di sangue sulle
      banchine di neve aspettando che una porta dell'East
      River si aprisse su una stanza piena di vapore
      e oppio,
      che creavano grandi drammi suicidi sui cornicioni
      d'appartamento dell'Hudson sotto il riflettore blu
      da coprifuoco della luna & le loro teste saranno
      incoronate con l'alloro nell'oblio,
      che mangiavano lo stufato d'agnello dell'immaginazione o digerivano
      il granchio sul fondo fangoso dei fiumi di
      Bowery,
      che piangevano per la dolcezza delle strade spingendo carrelli
      pieni di cipolle e cattiva musica,
      che sedevano in scatole respirando nell'oscurità sotto il
      ponte, e si alzavano per costruire clavicembali nelle
      loro stanze,
      che tossivano al sesto piano di Harlem coronata di fiamme
      sotto il cielo tubercoloso circondati
      da casse arancioni di teologia,
      che scribacchiavano tutta la notte completamente esaltati per sublimi
      incantesimi che nel giallo mattino erano
      strofe di spazzatura,
      che cucinavano animali fradici polmoni cuore zampe coda borsht
      & tortillas sognando il puro regno
      vegetale,
      che si infilavano sotto camion della carne in cerca di
      un uovo,
      che lanciavano gli orologi giù dal tetto per esprimere il proprio voto
      per un Eternità al di fuori del Tempo, & delle sveglie
      gli caddero sulla testa ogni giorno per il decennio successivo,
      che si tagliarono i polsi per tre volte in successione senza
      successo, ci rinunciarono e furono costretti ad aprire negozi
      di antichità dove credettero di stare
      invecchiando e piangevano,
      che furono bruciati vivi nei loro innocenti completi di flanella
      su Madison Avenue fra esplosioni di versi plumbei
      & il clangore corazzato dei reggimenti
      della moda & gli squittii alla nitroglicerina delle
      fatine della pubblicità & il gas tossico di sinistri
      editori intelligenti, o furono investiti dai
      tassisti ubriachi della Realtà Assoluta,
      che saltarono giù dal Ponte di Brooklin questo è successo
      veramente e se ne andarono via ignoti e dimenticati
      nel labirinto spettrale della zuppa di vicoli di
      Chinatown & camion dei pompieri, nemmeno una birra gratis,
      che cantavano dalle finestre disperati, cadevano dal
      finestrino della metropolitana, saltavano sul lurido Passaic,
      scavalcavano negri, gridavano per tutta la strada,
      danzavano su bicchieri di vino rotti a piedi scalzi frantumavano
      dischi fonografici di jazz tedesco dei nostalgici
      anni '30 europei finivano il whisky e
      vomitavano rumorosamente nella maledetta tazza del cesso, gemiti
      nelle orecchie e l'esplosione di colossali fischi di
      vapore,
      che sfrecciavano sulle autostrade del passato viaggiando
      verso la fuoriserie-Golgota dell'altro veglia in solitudine di
      prigione o incarnazione jazz di Birmingham,
      che guidavano per i campi settantadue ore per scoprire
      se io ho avuto una visione o tu hai avuto una visione o lui ha
      avuto una visione per scoprire l'Eternità,
      che visitarono Denver, che morirono a Denver, che
      tornarono da Denver & aspettarono invano, che
      si occuparono di Denver & incubarono & furono soli a
      Denver e infine se ne andarono per scoprire il
      Tempo, & ora a Denver mancano molto i suoi eroi,
      che caddero in ginocchio in cattedrali irrecuperabili pregando
      per la salvezza dell'altro e luce e tette,
      finché l'anima si illuminava il pelo per un secondo,
      che si spaccavano la testa in prigione aspettando
      criminali impossibili con teste d'oro e il
      fascino della realtà nei cuori che cantassero
      dolci blues di Alcatraz,
      che si ritirarono in Messico per coltivare un vizio, o sulle Montagne
      Rocciose per intenerire Budda o a Tangeri per i ragazzi
      o nel Sud del Pacifico per la locomotiva nera o
      a Harvard per Narciso a Woodlawn alla
      collana di margherite o alla tomba,
      che esigevano test sanitari accusando la radio di
      ipnotismo & restavano con la loro demenza & le loro
      mani & la corte divisa,
      che lanciavano insalata di patate ai relatori del CCNY sul Dadaismo
      e succesivamente si presentavano sui
      gradini di granito del manicomio con teste rasate
      e discorsi carnevaleschi di suicidio, richiedendo
      lobotomia immediata,
      e che ricevevano invece il vuoto solido dell'insulina
      Metrazolo elettricità idroterapia psico-
      terapia terapia occupazionale pingpong &
      amnesia,
      che per seria protesta capovolsero simbolicamente un unico
      tavolo da pingpong, riposando brevemente in catatonia,
      ritornando anni dopo veramente calvi a parte una parrucca di
      sangue, e lacrime e dita, al destino visibile di pazzo delle guardie
      delle città manicomio dell'Est,
      le fetide sale del Pilgrim State, di Rockland e di Greystone,
      bisticciandosi con gli echi dell'anima,
      scatenandosi nella solitudine-panca-dolmen-impero
      dell'amore a mezzanotte, sogno di vita un incubo,
      corpi mutati in pietra pesanti come la
      luna,
      con mamma finalmente *******, e l'ultimo fantastico libro
      lanciato fuori dalla finestra del locale, e l'ultima
      porta chiusa alle 4 AM e l'ultimo telefono
      sbattuto contro il muro per risposta e l'ultima stanza
      arredata svuotata fino all'ultimo
      mobile mentale, una rosa gialla di carta arrotolata
      su una gruccia di fil di ferro nell'armadio, e persino
      quella immaginaria, niente altro che uno speranzoso pezzettino
      di allucinazione
      ah, Carl, finché non sei al sicuro neanch'io sono al sicuro, e
      ora sei proprio nel completo brodo animale del
      tempo
      e chi dunque corse per le strade ghiacciate ossessionato
      da un improvviso balenio dell'alchimia dell'uso
      dell'ellissi il catalogo il metro & il piano
      vibrante,
      che sogno' e realizzo' brecce umanizzate in Tempo & Spazio
      grazie a immagini giustapposte, e intrappolo'
      l'arcangelo dell'anima tra due immagini visive
      e unifico' i verbi elementari e concilio' il nome
      e l'insorgere della coscienza saltando
      con la sensazione di Pater Omnipotens Aeterna
      Deus
      per ricreare la sintassi e la misura della povera prosa
      umana e apparire davanti a te muto e intelligente e
      tremante di vergogna, respinto eppure
      confessandosi l'anima per conformarla ai ritmi
      del pensiero nella sua nuda testa infinita,
      il barbone matto e battito d'angelo nel Tempo, sconosciuto,
      eppure mettendo giù qui quanto potrebbe rimanere da dire
      nel tempo dopo la morte,
      e sorse reincarnato nei panni spettrali del jazz nell'ombra
      di corno dorato della banda e soffio' le
      sofferenze d'amore della nuda mente dell'America in
      un eli eli lamma lamma sabachtani grido di sassofono che
      fece rabbrividire le città fino all'ultima radio
      con il cuore assoluto del poema della vita macellato
      dai loro stessi corpi buono da mangiare per mille
      anni.



      II

      Quale sfinge di cemento e alluminio gli ha spaccato il cranio e ha mangiato
      i loro cervelli e la loro immaginazione?
      Moloch! Solitudine! Sporco! Bruttezza! Ashcan e dollari irraggiungibili!
      Bambini urlanti sotto trombe delle scale! Ragazzi che gemono negli eserciti!
      Vecchi che piangono nei parchi!
      Moloch! Moloch! Incubo di Moloch! Moloch il senza amore! Moloch
      Mentale! Moloch il grande giudicatore di uomini!
      Moloch il carcere incomprensibile! Moloch prigione senz'anima ossa in croce
      e Congresso di dolori! Moloch i cui edifici sono sentenze!
      Moloch la vasta pietra della guerra! Moloch i governi
      stupefatti!
      Moloch la cui mente è puro meccanismo! Moloch il cui sangue è denaro
      che corre! Moloch le cui dita sono dieci eserciti! Moloch il cui petto
      è una dinamo cannibale! Moloch il cui orecchio è una tomba fumante!
      Moloch i cui occhi sono mille finestre schermate! Moloch i cui grattacieli
      si ergono nelle lunghe strade come innumerevoli Geova! Moloch le cui
      fabbriche sognano e stridono nella nebbia! Moloch i cui fumaioli e
      antenne coronano le città!
      Moloch il cui amore è infinito olio e pietra! Moloch la cui anima è elettricità
      e banche! Moloch la cui povertà è lo spettro del genio! Moloch
      il cui destino è una nuvola di idrogeno asessuato! Moloch il cui nome è la
      Mente!
      Moloch nel quale siedo solitario! Moloch nel quale sogno Angeli! Pazzia nel
      Moloch! Bocchinaro nel Moloch! Senzamore e senzauomo nel Moloch!
      Moloch che è penetrato presto nella mia anima! Moloch nel quale sono coscienza
      senza corpo! Moloch che mi ha terrorizzato via dalla mia estasi
      naturale! Moloch che io abbandono! Svegliati Moloch! Luce che urla dal
      cielo!
      Moloch! Moloch! Appartamenti robot! sobborghi invisibili! tesori di sheletri!
      capitali cieche! manifatture diaboliche! nazioni spettrali! manicomi
      invincibili! cazzi di granito! bombe mostruose!
      Si sono rotti la schiena per sollevare Moloch al Cielo! Pavimenti, alberi, radio,
      tonnellate! sollevando la città al Cielo che esiste ed è dappertutto attorno
      a noi!
      Visioni! presagi! allucinazioni! miracoli! estasi! portati via dal fiume
      americano!
      Sogni! adorazioni! illuminazioni! religioni! l'intero bastimento di stronzate
      emotive!
      Cambiamenti radicali! al fiume! capriole e crocifissioni! via con la corrente!
      Esaltazioni! Epifanie! Disperazioni! Suicidi e grida di animali di dieci
      anni! Menti! Nuovi amori! Generazione ribelle! giù sugli scogli del
      Tempo!
      La benedetta risata autentica nel fiume! L'hanno vista tutti! gli occhi selvatici! le benedette grida!
      Hanno dato l'addio! Sono saltati dal tetto! nella solitudine! facendo ciao!
      portando fiori! Giù nel fiume! nella strada!


      III

      Carl Solomon! Sono con te a Rockland
      dove sei più pazzo di me
      Sono con te a Rockland
      dove dovrai sentirti ben strano
      Sono con te a Rockland
      dove imiti l'ombra di mia madre
      Sono con te a Rockland
      dove hai assassinato le tue dodici segretarie
      Sono con te a Rockland
      dove ridi per questo umorismo invisibile
      Sono con te a Rockland
      dove siamo grandi scrittori sulla stessa orribile macchina da scrivere
      Sono con te a Rockland
      dove la tua condizione è diventata seria e lo riporta la radio
      Sono con te a Rockland
      dove le facoltà del cranio non tollerano più i vermi dei
      sensi
      Sono con te a Rockland
      dove bevi il tè dal seno delle zitelle di Utica
      Sono con te a Rockland
      dove fai battute sul fisico delle tue infermiere le arpie del Bronx
      Sono con te a Rockland
      dove gridi in camicia di forza che stai perdendo la partita
      dell'autentico pingpong degli abissi
      Sono con te a Rockland
      dove pesti sul pianoforte catatonico l'anima è innocente e
      immortale non dovrebbe morire mai empiamente in un manicomio armato
      Sono con te a Rockland
      dove cinquanta altri shock non restituiranno mai più la tua anima al corpo
      dal suo pellegrinaggio verso una croce nel nulla
      Sono con te a Rockland
      dove accusi i dottori di demenza e trami la rivoluzione
      ebrea socialista contro il Golgota nazionale fascista
      Sono con te a Rockland
      dove separerai i cieli di Long Island e farai risorgere il tuo
      vivente Gesù umano dalla tomba sovrumana
      Sono con te a Rockland
      dove ci sono venticinquemila compagni rabbiosi che cantano tutti assieme
      le strofe finali dell'Internazionale
      Sono con te a Rockland
      dove abbracciamo e baciamo gli Stati Uniti sotto le lenzuola gli
      Stati Uniti che tossisce tutta la notte e non ci lascia dormire
      Sono con te a Rockland
      dove ci svegliamo elettrificati dal coma per gli aeroplani delle
      nostre anime che rombano sul tetto sono venuti a sganciare bombe angeliche
      l'ospedale si illumina mura immaginarie franano O smunte legioni
      correte fuori O scossa di grazia a stelle e strisce la guerra
      eterna è giunta O vittoria lascia perdere le mutande siamo liberi
      Sono con te a Rockland
      nei miei sogni cammini gocciolando da un viaggio di mare sull'autostrada
      attraverso l'America in lacrime verso la porta della mia villetta nella notte
      dell'Occidente

       http://d.gr-assets.com/authors/1206649831p5/4261.jpg

      domenica 2 novembre 2014

      Pasolini. Il canto popolare


      PPP, 5/3/1922 - 2/11/1975

      Improvviso il mille novecento
      cinquanta due passa sull'Italia:
      solo il popolo ne ha un sentimento
      vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
      la modernità, benché sempre il più
      moderno sia esso, il popolo, spanto
      in borghi, in rioni, con gioventù
      sempre nuove - nuove al vecchio canto -
      a ripetere ingenuo quello che fu.

      Scotta il primo sole dolce dell'anno
      sopra i portici delle cittadine
      di provincia, sui paesi che sanno
      ancora di nevi, sulle appenniniche
      greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
      i nuovi colori delle tele, i nuovi
      vestiti come in limpidi roghi
      dicono quanto oggi si rinnovi
      il mondo, che diverse gioie sfoghi...

      Ah, noi che viviamo in una sola
      generazione ogni generazione
      vissuta qui, in queste terre ora
      umiliate, non abbiamo nozione
      vera di chi è partecipe alla storia
      solo per orale, magica esperienza;
      e vive puro, non oltre la memoria
      della generazione in cui presenza
      della vita è la sua vita perentoria.

      Nella vita che è vita perché assunta
      nella nostra ragione e costruita
      per il nostro passaggio - e ora giunta
      a essere altra, oltre il nostro accanito
      difenderla - aspetta - cantando supino,
      accampato nei nostri quartieri
      a lui sconosciuti, e pronto fino
      dalle più fresche e inanimate ère -
      il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

      E se ci rivolgiamo a quel passato
      ch'è nostro privilegio, altre fiumane
      di popolo ecco cantare: recuperato
      è il nostro moto fin dalle cristiane
      origini, ma resta indietro, immobile,
      quel canto. Si ripete uguale.
      Nelle sere non più torce ma globi
      di luce, e la periferia non pare
      altra, non altri i ragazzi nuovi...

      Tra gli orti cupi, al pigro solicello
      Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
      d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
      di Toscana, con strilli di rondinini:
      Hor atorno fratt Helya! La santa
      violenza sui rozzi cuori il clero
      calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
      feroce nel feudo provinciale l'Impero
      da Iddio imposto: e il popolo canta.

      Un grande concerto di scalpelli
      sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
      sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
      suona, giganteggiando il travertino
      nel nuovo spazio in cui s'affranca
      l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
      jersera... ripete con l'anima spanta
      nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
      resta nel popolo. E il popolo canta.

      Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
      e trepidi nel vento napoleonico,
      all'Inno dell'Albero della Libertà,
      tremano i nuovi colori delle nazioni.
      Ma, cane affamato, difende il bracciante
      i suoi padroni, ne canta la ferocia,
      Guagliune 'e mala vita! in branchi
      feroci. La libertà non ha voce
      per il popolo cane. E il popolo canta.

      Ragazzo del popolo che canti,
      qui a Rebibbia sulla misera riva
      dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
      è vero, cantando, l'antica, la festiva
      leggerezza dei semplici. Ma quale
      dura certezza tu sollevi insieme
      d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
      tuguri e grattacieli, allegro seme
      in cuore al triste mondo popolare.

      Nella tua incoscienza è la coscienza
      che in te la storia vuole, questa storia
      il cui Uomo non ha più che la violenza
      delle memorie, non la libera memoria...
      E ormai, forse, altra scelta non ha
      che dare alla sua ansia di giustizia
      la forza della tua felicità,
      e alla luce di un tempo che inizia
      la luce di chi è ciò che non sa.

      sabato 1 novembre 2014

      Spazio liscio, spazio striato

      Quel che ci interessa nelle operazioni di striatura, di lisciatura sono i passaggi e le combinazioni. Come lo spazio continui ad essere striato sotto la pressione di forze che si esercitano in esso, ma anche come sviluppi altre forze e secerna nuovi spazi lisci attraverso la striatura. Anche la città più striata secerne spazi lisci. Abitare la città da nomade o da troglodita. A volte bastano dei movimenti, di velocità o di lentezza per rifare uno spazio liscio. Certo, gli spazi lisci non sono in sé liberatori. Ma in essi la lotta cambia, si sposta, e la vita ricostituisce le sue poste in gioco, affronta nuovi ostacoli, investe nuove andature, modifica gli avversari. Non credere mai che uno spazio liscio sia sufficiente per salvarci. (G. Deleuze - F. Guattari, Millepiani, brano finale).

      http://libreriarizzoli.corriere.it/is-bin/intershop.static/WFS/RCS-RCS_PhysicalShops-Site/RCS/it_IT/LibreriaRizzoli/big/978/8/8/7/9788876155123g.jpg

      venerdì 31 ottobre 2014

      Materia inerte

      L'esaurimento dei significati è simile ad un bolo di cibo, rimasticato fino all'estrema spremitura, fino ad averne ricavata ogni particola di nutrimento. Come pura materia inerte "la società spettacolare" è un'espressione sulla bocca di tutti, pronunciata da tutti perché nessun orecchio ne avverta più il significato. nella grande colonizzazione dell'umano che è in atto, possedere significa questo. dimenticare, non accorgersi della presenza di un oggetto mentre l'oggetto è presente. 

      (G. Genna, Assalto a un tempo devastato e vile 3.0, Minimum fax, 2001)

      lunedì 6 ottobre 2014

      "Innamorarsi a Buenos Aires", film deleuziano

      Un film deleuziano. Che celebra la vita e le sue possibilità raccontando il dolore dei corpi immersi nel labirinto dell'infosfera. Raccontare il vuoto partendo dal pieno troppo pieno degli edifici improbabili che affollano il paesaggio di Buenos Aires. Ma potrebbe trattarsi di qualsiasi altra metropoli globale. La successione mefitica di cemento, di una disarmonia volgare che fa male  narcotizza la brutta vita di questi tempi connessi. La macchina informatica, prodiga di gratificazioni a buon mercato, ha assorbito in toto i due giovani protagonisti, trentenni abitanti sullo stesso pianerottolo ma destinati ad incontrarsi solo nell'ultima scena del film. Il desiderio non fuoriesce dai due miniappartamenti, destinato ad essere sublimato in chat o videogiochi. Ma c'è una via di fuga. La possibilità di evadere dal palazzo del mago Atlante, dove il desiderio è un simulacro immutabile, per entrare nella vita, nella connessione dei corpi, nel loro calore. E in questo risvolto deleuziano, chissà quanto inconsapevole, la salvezza dei personaggi. Lei esce di casa attirata dal colore della maglia di lui che ha visto dall'alto della sua finestra. Lo raggiunge, sfugge alla nevrosi incombente e si apre al piacere della relazione. E il video finale su you tube dei due che ballano felici non è che il trionfo della macchina possibile. Vitalizzata da una nuova soggettività attiva, nomade, non rassegnata.

      Medianeras - Innamorarsi a Buenos Aires - recensione - Cinema

      martedì 23 settembre 2014

      Il Manifesto accelerazionista

      Proseguiamo la cartografia di quanto si muove sotto il cielo del pensiero politico, e non solo. Il Manifesto accelerazionista è l'ultimo prodotto della feconda matrice post operaista, l'unica in grado di innovazione teorica nel contesto piuttosto povero della sinistra radicale. Gli autori propongono il superamento del tradizionale pregiudizio anti tecnologico in favore di un nuovo paradigma in cui l'accelerazione, virtù primaria del capitale, sia pensata nella prospettiva del suo superamento. Non si esce dai cieli della teoria, né si vedono obiettivi chiari, definiti, misurabili. Chiara, invece, la riproposizione del caro, vecchio, mantra operaista: il rifiuto del lavoro. Francamente, poco. 



      di ALEX WILLIAMS e NICK SRNICEK.
      01. INTRODUZIONE: Sulla congiuntura 
      1. All’inizio della seconda decade del ventunesimo secolo, la civilizzazione globale si trova ad affrontare una nuova progenie di cataclismi. Imminenti apocalissi appaiono ridicolizzare le norme e le strutture organizzative delle politica che furono forgiate alla nascita degli stati-nazione, agli albori del capitalismo e in un ventesimo secolo contrassegnato da guerre senza precedenti.
      2. Il più significativo è il collasso del sistema climatico del pianeta, che col tempo minaccia la sopravvivenza della stessa popolazione umana globale. Nonostante questa sia la minaccia più grave che l’umanità si trovi ad affrontare, esistono al suo fianco una serie di problemi non meno destabilizzanti che con essa interagiscono. L’esaurimento terminale delle risorse, in particolare di quelle idriche ed energetiche, indica l’imminente possibilità di carestie di massa, la crisi di interi paradigmi economici e nuove guerre calde e fredde. La continua crisi finanziaria ha indotto i governi ad abbracciare la spirale paralizzante e mortale delle politiche di austerità, che ha comportato privatizzazione dei servizi pubblici, disoccupazione di massa e stagnazione dei salari. La crescente automazione dei processi produttivi — incluso il “lavoro intellettuale” — è la prova della crisi secolare del capitalismo, che presto renderà impossibile mantenere anche gli standard di vita delle ex-classi medie del nord del mondo.
      3. In contrasto con queste catastrofi che continuano ad accelerare, la politica di oggi è afflitta dall’incapacità di generare nuove idee e nuovi modi di organizzazione necessari per trasformare le nostre società e affrontare e risolvere tali imminenti devastazioni. Mentre la crisi prende forza e velocità, la politica langue e indietreggia. In questa paralisi dell’immaginario politico, il futuro è stato cancellato.
      4. Fin dal 1979 in tutto il mondo l’ideologia politica egemonica è stata il neoliberismo, di cui ritroviamo varianti nelle principali potenze economiche. Nonostante le profonde sfide strutturali che i nuovi problemi globali presentano — soprattuto le crisi creditizia, finanziaria e fiscale cominciate negli anni 2007/2008 —  i programmi neoliberali si sono evoluti solo nella direzione di una loro intensificazione. L’estensione del progetto neoliberale, o neoliberalismo 2.0, ha iniziato un nuovo ciclo di aggiustamenti strutturali, in particolare incoraggiando nuove ed aggressive incursioni del settore privato in ciò che rimane delle istituzioni e dei servizi del welfare state. Questo nonostante tali politiche abbiano comportato nell’immediato effetti sociali ed economici negativi, e nonostante le nuove crisi globali abbiamo posto profonde barriere a lungo termine.
      5. Che le forze di destra governative, non-governative e delle multinazionali siano state capaci di promuovere il neoliberalismo in questo modo è, almeno in parte, un risultato della continua paralisi e della natura inconcludente di buona parte di quello che rimane della sinistra. Trent’anni di neoliberismo hanno reso la maggior parte dei partiti politici di sinistra spogliati di pensiero radicale, del tutto svuotati e senza un mandato popolare. Nel migliore dei casi essi hanno risposto alle crisi attuali con appelli per un ritorno ad una economia keynesiana; a dispetto dell’evidenza che non esistano più le condizioni che resero possibile la socialdemocrazia del dopoguerra. Nè  per decreto, né in qualunque altro modo, possiamo ritornare ai tempi del lavoro di massa industriale e fordista. Anche i regimi neosocialisti della Rivoluzione Bolivariana sudamericana, seppure rincuorano nella loro capacità di resistere ai dogmi del capitalismo contemporaneo, rimangono, in maniera deludente, incapaci di avanzare un’alternativa che vada aldilà delle forme del socialismo della metà del ventesimo secolo. Le organizzazioni del lavoro, sistematicamente indebolite dalle modifiche introdotte dal progetto neoliberista, sono sclerotizzate a livello istituzionale e, alla meglio, capaci di mitigare solo leggermente i nuovi aggiustamenti strutturali. Ma senza un approccio sistematico alla costruzione di una nuova economia, e senza una solidarietà strutturale attraverso la quale promuovere tali cambiamenti, per ora il lavoro rimane relativamente impotente. I nuovi movimenti sociali che sono emersi dopo la fine della guerra fredda, e che hanno visto una rinascita dopo il 2008, sono stati analogamente incapaci di elaborare una nuova visione ideologico-politica. Al contrarioessi  investono considerevoli energie nei processi interni di democrazia diretta, nell’autovalorizzazione affettiva al di là di ogni efficacia strategica e spesso propongono una variante di localismo neo-primitivista, quasi come se fosse sufficiente la fragile ed effimera “autenticità” dell’immediatezza comunitaria per contrastare la violenza astratta del capitale globalizzato.
      6. In assenza di una visione sociale, politica, organizzativa ed economica radicalmente nuova, le potenze egemoniche di destra continueranno ad essere in grado di portare avanti il loro gretto immaginario a dispetto di ogni evidenza. Nel migliore dei casi la sinistra sarà in grado di resistere solo in parte e solo per un certo tempo alle peggiori incursioni. Ma questo sarà ben poco contro un’ondata finale che si annuncia inesorabile. Generare una nuova egemonia globale della sinistra significa il recupero dei futuri possibili che sembrano andati perduti, significa anzi il recupero del futuro in quanto tale.

      02. INTERREGNO: Sugli accelerazionismi 
      1. Se alcun sistema che è stato mai associato all’idea di accelerazione, questo è il capitalismo. Il metabolismo essenziale del capitalismo richiede una costante crescita economica, con una competizione tra le singole entità capitaliste che mette in moto una crescente evoluzione tecnologica per ottenere vantaggi competitivi, il tutto accompagnato da crescenti disuguaglianze sociali. Nella sua forma neoliberista, la sua propria auto-narrazione ideologica è quella di liberare le forze della ‘creazione distruttiva’ per spianare la strada ad innovazioni tecnologiche e sociali in costante accelerazione.
      2. Il filosofo Nick Land ha colto questo fenomeno acutamente, sebbene con la miope e quasi ipnotica convinzione che la velocità capitalista possa generare una transizione globale verso una singolarità tecnologica senza precedenti. In questa visione del capitale, gli esseri umani possono essere eventualmente eliminati come semplice zavorra di una astratta intelligenza planetaria che si costruisce rapidamente con i frammenti delle civilizzazioni del passato. Ad ogni modo il neoliberismo di Land confonde velocità con accelerazione. Se possiamo muoverci velocemente, è solo dentro una ben definita serie di parametri capitalistici che mai vacillano. Sperimentiamo in questo modo solo la velocità crescente di un orizzonte locale, una disperata corsa ad encefalogramma piatto piuttosto che un’accelerazione che sia anche ‘navigazionale’, processo sperimentale di scoperta all’interno di uno spazio di possibilità universale. È questa ultima modalità di accelerazione quella che noi riteniamo essenziale.
      3. E quel che è peggio, come già Deleuze e Guattari rilevarono, è che fin dal principio quello che la velocità capitalista deterritorializza con una mano, riterritorializza con l’altra. Il progresso viene costretto all’interno del quadro del plusvalore, dell’esercito di riserva del lavoro e di un capitale liberamente fluttuante. La modernità è ridotta a misure statistiche di crescita economica e l’innovazione sociale è incrostata dai ricordi kitsch del nostro passato comunitario e collettivo. La deregolamentazione thatcheriana-reaganiana siede comodamente a fianco dei valori religiosi e familiari del ‘ritorno alle origini’ vittoriano.
      4. Una tensione più profonda si trova all’interno del neoliberismo anche nella sua rappresentazione come veicolo della modernità, come sinonimo letterale della modernizzazione, mentre promette un futuro che è costitutivamente incapace di fornire. In effetti, lo sviluppo del neoliberismo, piuttosto che attivare la creatività degli individui, ha mostrato una tendenza verso l’eliminazione della invenzione cognitiva a favore di una linea di produzione affettiva fatta di interazioni codificate, accoppiata a filiere di distribuzione globali ed a una zona di produzione neo-fordista nell’estremo oriente. Un irrisorio cognitariato composto dall’élite dei lavoratori intellettuali si riduce ogni anno di più, mentre una crescente automazione algoritmica si fa strada attraverso le sfere del lavoro affettivo e intellettuale. Il neoliberismo, nonostante si sia presentato come sviluppo storico necessario, in realtà è stato un mezzo meramente contingente per scongiurare la crisi di valore emersa negli anni ‘70. Inevitabilmente si è trattato di una sublimazione della crisi piuttosto che un suo definitivo superamento.
      5. E’ Marx, insieme a Land, a rimanere il pensatore accelerationista paradigmatico. Contrariamente ad una critica già molto nota e all’atteggiamento di alcuni marxisti contemporanei, dobbiamo ricordare che lo stesso Marx utilizzò i dati empirici a lui disponibili e gli strumenti teorici più avanzati nel tentativo di comprendere appieno e trasformare il suo mondo. Non fu un pensatore che resisteva alla modernità, ma piuttosto un  pensatore che cercava di analizzarla e intervenire all’interno di essa, capendo che nonostante tutto lo sfruttamento e la corruzione, il capitalismo rimaneva il sistema economico più avanzato del tempo. I suoi vantaggi non dovevano essere invertiti, ma accelerati oltre le restrizioni della forma valore capitalista.
      6. Infatti, come anche Lenin scrisse nel testo del 1918 sull’infantilismo di sinistra: “Il socialismo è inconcepibile senza l’enorme macchina capitalista basata sui più recenti progressi della scienza moderna. Non è concepibile senza un’organizzazione statale che prevede di sottoporre decine di milioni di persone alla più rigorosa osservanza di un’unica norma di produzione e di distribuzione. Noi marxisti, questo lo abbiamo sempre detto, e non vale neanche la pena di perdere nemmeno due secondi a parlare con gente che non lo ha capito (anarchici e una buona metà dei rivoluzionari della sinistra socialista)”.
      7. Come Marx era ben consapevole, il capitalismo non può essere identificato come l’agente della vera accelerazione. Ma allo stesso modo valutare la politica di sinistra come antitetica all’accelerazione tecnosociale è, almeno in parte, una grave travisamento. Se davvero la sinistra vuole avere un futuro, deve essere quello in cui essa stessa abbracci al massimo la sua repressa tendenza accelerazionista.

      03. MANIFESTO: Sul futuro 
      1. Crediamo che la distinzione più importante della sinistra di oggi si trovi tra coloro che si attengono ad una politica del senso comune [folk politics] basata su localismo, azione diretta ed inesauribile orizzontalismo e coloro che delineano ciò che deve dovrebbe chiamarsi una politica accelerazionista, a proprio agio con una modernità fatta di astrazione, complessità, globalità e tecnologia. I primi si ritengono soddisfatti con la creazione di piccoli spazi temporanei di relazioni sociali non capitalistiche, evitando i problemi reali connessi a nemici che sono intrinsecamente non locali, astratti, e profondamente radicati nelle infrastrutture di tutti i giorni. Il fallimento di tale politica è si trova fin dal principio costruito al suo interno. Al contrario, una politica accelerazionista cerca di preservare le conquiste del tardo capitalismo, e allo stesso tempo di andare oltre ciò che il suo sistema di valore, le sue strutture di governance e le sue patologie di massa permettano.
      2. Tutti noi vogliamo lavorare meno. Sarebbe interessante sapere perché il più importante economista del mondo del dopoguerra credeva che un capitalismo illuminato si sarebbe inevitabilmente evoluto con una radicale riduzione delle ore di lavoro. In Prospettive economiche per i nostri nipoti (scritto nel 1930), Keynes predisse un futuro capitalista in cui le persone avrebbero ottenuto un orario di lavoro ridotto a tre ore al giorno. Quello che è invece successo è una graduale eliminazione della separazione tra lavoro e vita, con il lavoro che arriva a permeare ogni aspetto della fabbrica sociale emergente.
      3. Il capitalismo ha iniziato a reprimere le forze produttive della tecnologia, o almeno, a dirigerle verso fini inutilmente limitati. Le guerre dei brevetti e la monopolizzazione delle idee sono fenomeni contemporanei che indicano sia il bisogno del capitale di superare la concorrenza, ma soprattutto l’approccio sempre più retrogrado del capitale alla tecnologia. Le conquiste propriamente accelerative del neoliberismo non hanno comportato meno lavoro e meno stress. E piuttosto che in un mondo di viaggi spaziali, choc futuristici e potenziale tecnologico rivoluzionario, viviamo in un tempo in cui l’unica cosa che si sviluppa sono gadgetper consumatori leggermente migliorati. Riproduzioni implacabili dello stesso prodotto di base sostengono la domanda marginale al consumo a scapito dell’accelerazione umana.
      4. Non vogliamo tornare al fordismo. Non ci può essere un ritorno al fordismo. L’età d’oro capitalista si basava sul paradigma di produzione dell’ordinato ambiente di fabbrica, dove il lavoratore (maschio) riceveva sicurezza e uno standard di vita minimo in cambio di noia mortificante e repressione sociale. Tale sistema si appoggiava ad una gerarchia internazionale fatta di colonie, imperi, e periferie sottosviluppate; una gerarchia nazionale di razzismo e sessismo; e una rigida gerarchia familiare di sottomissione femminile. Per tutta la nostalgia che molti possano provare, questo regime è tanto indesiderabile quanto il suo ritorno praticamente impossibile.
      5. Gli accelerazionisti intendono liberare le forze produttive latenti. In questo progetto, la piattaforma materiale del neoliberismo non ha bisogno di essere distrutta. Ha bisogno di essere riconvertita verso obiettivi comuni. L’infrastruttura esistente non è una fase del capitalismo da distruggere, ma un trampolino di lancio verso il post-capitalismo.
      6. Data la riduzione della tecnoscienza a schiava degli obiettivi capitalistici (specialmente a partire dalla fine degli anni ‘70), sicuramente non sappiamo ancora cosa un corpo tecnosociale moderno può. Chi tra di noi intravede quali potenzialità inutilizzate si nascondono nelle tecnologie già create? La nostra scommessa è che le vere potenzialità trasformative di molta della nostra ricerca tecnologica e scientifica rimangano inutilizzate e riempite di funzionalità attualmente ridondanti (opreadattamenti), le quali, se spostate oltre il miope socius capitalista, possono risultare decisive.
      7. Vogliamo accelerare il processo dell’evoluzione tecnologica. Ma ciò di cui argomentiamo non è tecno-utopismo. Mai credere che la tecnologia sia sufficiente a salvarci. Necessaria sì, ma mai sufficiente senza azione socio-politica. La tecnologia e il sociale sono intimamente legati l’uno all’altra, e il mutamento dell’uno potenzia e reinforza il mutamento dell’altra. Laddove i tecno-utopisti sostengono che l’accelerazione automaticamente eliminerà il conflitto sociale, la nostra posizione è che la tecnologia debba essere accelerata proprio perché necessaria per vincere i conflitti sociali stessi.
      8. Crediamo che qualsiasi post-capitalismo richieda una pianificazione post-capitalista. La fiducia nell’idea per cui, dopo la rivoluzione, la gente costituirà spontaneamente un nuovo sistema socioeconomico che non sarà un semplice ritorno al capitalismo, nel migliore dei casi è dettata da ingenuità e nel peggiore è dettata da ignoranza. Per superare questo problema, dobbiamo sviluppare sia una mappa cognitiva del sistema esistente, sia una immagine speculativa del futuro sistema economico.
      9. Per fare questo, la sinistra deve approfittare di ogni progresso tecnologico e scientifico reso possibile dalla società capitalista. Dichiariamo che la quantificazione in sé non è un male da eliminare, ma uno strumento da utilizzare nel modo più efficace possibile. La modellizzazione economica è, in poche parole, una necessità per rendere intelligibile un mondo complesso. La crisi finanziaria del 2008 rivela i rischi provenienti dall’aver accettato ciecamente e sulla fiducia alcuni modelli matematici, ma questo è un problema di autorità illegittima, non un problema della matematica stessa. Gli strumenti che si ritrovano nell’analisi dei social network, nei modelli agent-based, nell’analisi dei big data e nei modelli economi di non-equilibrio, sono necessari mediatori cognitivi per capire sistemi complessi come l’economia moderna. La sinistra accelerazionista deve educarsi e diventare erudita in questi campi tecnici.
      10. Qualsiasi trasformazione della società deve coinvolgere sperimentazione economica e sociale. Il progetto cileno Cybersyn è emblematico di un simile atteggiamento sperimentale, fondendo tecnologie cibernetiche avanzate con sofisticati modelli economici e una piattaforma democratica materializzata nella sua stessa infrastruttura tecnologica. Esperimenti simili furono condotti negli anni ’50 e ’60 anche nell’economia sovietica: la cibernetica e la programmazione lineare furono impiegate nel tentativo di superare i nuovi problemi affrontati della prima economia comunista. Che entrambi gli esperimenti non abbiano avuto successo si può ricondurre ai vincoli politici e tecnologici in cui questi pionieri cibernetici operavano.
      11. La sinistra deve sviluppare egemonia sociotecnologica: sia nella sfera delle idee, che nella sfera delle piattaforme materiali. Le piattaforme sono l’infrastruttura della società globale. Esse stabiliscono i parametri di base di ciò che è possibile: sia sul piano comportamentale che su quello ideologico. In questo senso, incarnano i trascendentali materiali della società: sono ciò che rende possibile un determinato insieme di azioni, relazioni e poteri. Nonostante gran parte dell’attuale piattaforma globale è orientata a favorire rapporti sociali capitalistici, questa necessità non è inevitabile. Le piattaforme materiali della produzione, della finanza, della logistica e del consumo possono e devono essere riprogrammate e riformattate verso fini post-capitalistici.
      12. Non crediamo che l’azione diretta sia sufficiente per raggiungere alcuno di questi obiettivi. Le abituali tattiche di manifestazione, come marciare e mostrare slogan, e la creazione di zone temporaneamente autonome, rischiano di diventare sostituti di comodo a successi effettivi. “Almeno abbiamo fatto qualcosa” è il grido di battaglia di coloro che privilegiano l’autostima piuttosto che una efficace azione. L’unico criterio che definisce una buona tattica è se con essa si ottiene o meno successo. Dobbiamo finirla con il feticismo di modi d’azione troppo particolari. La politica deve essere trattata come un insieme di sistemi dinamici attraversati dal conflitto, da adattamenti e contro-adattamenti, da strategiche corse agli armamenti. Questo significa che ogni forma di azione politica individuale perde la sua efficacia nel tempo, perché la controparte si adatta ad essa. Nessuna forma di azione politica è storicamente inviolabile. In realtà, col tempo, diventa sempre più necessario abbandonare tattiche di lotta tradizionali, perché le forze e le entità che si desidera sconfiggere imparano a difendersi e a contrattaccare in modo efficace. È nell’incapacità della sinistra contemporanea di operare in questo senso che si trova in parte il cuore del malessere contemporaneo.
      13. Il privilegio eccessivo dato alla “democrazia come processo” deve essere lasciato alle spalle. Il feticismo per l’apertura, l’orizzontalità e l’inclusione di molta della sinistra ‘radicale’ contemporanea ha posto le basi della sua inefficacia. Anche la segretezza, la verticalità e l’esclusione tutte hanno un loro posto in un’azione politica efficace (anche se, ovviamente, non in maniera esclusiva).
      14. La democrazia non può essere definita semplicemente dai suoi mezzi — ovvero tramite la pratica delle votazioni, del dibattito o delle assemblee generali. La vera democrazia deve essere definita dal suo obbiettivo: emancipazione collettiva e autogoverno. Questo è un progetto che deve allineare la politica con l’eredità dell’Illuminismo, nella misura in cui solo dalla nostra capacità di capire meglio noi stessi e il nostro mondo (sociale, tecnologico, economico, psicologico) potremo arrivare a governare noi stessi. Dobbiamo stabilire una autorità verticale legittima e collettivamente controllata insieme a modelli sociali orizzontali e distribuiti, per evitare di diventare schiavi di un centralismo totalitario e tirannico o, allo stesso modo, di un capriccioso ordine che emerge sfuggendo al nostro controllo. Il comando del Piano deve coniugarsi con l’ordine improvvisato dalla Rete.
      15. Non offriamo alcuna organizzazione specifica come mezzo ideale per incarnare questi vettori. Quello di cui si ha bisogno, e di cui si è sempre avuto bisogno, è una ecologia delle organizzazioni, un pluralismo di forze che entrino in risonanza e che producano feedback reciproci confrontando i propri punti di forza. Il settarismo è la condanna a morte della sinistra tanto quanto il centralismo, e in questo senso continuiamo a dare il benvenuto alla sperimentazione di tattiche diverse (anche di quelle con cui siamo in disaccordo).
      16. Abbiamo tre obiettivi concreti a medio termine. In primo luogo, dobbiamo costruire una infrastruttura intellettuale. Imitando la Mont Pelerin Society della rivoluzione neoliberale, il suo compito sarà quello di creare una nuova ideologia, nuovi modelli economici e sociali, ed una visione di ciò che è giusto per sostituire e superare gli ideali emaciati che governano il nostro mondo attuale. Stiamo parlando di una infrastruttura: ovvero costruire non solo idee, ma anche istituzioni e percorsi concreti che permettano di inculcare, incarnare e diffondere tali idee.
      17. Abbiamo bisogno di promuovere una riforma dei mezzi di comunicazione su larga scala. Nonostante l’apparente democratizzazione che offrono internet e le reti sociali, i mezzi di comunicazione tradizionali rimangono cruciali per selezionare e definire narrazioni, assieme al possesso delle risorse economiche necessarie per continuare a promuovere il giornalismo investigativo. Portare questi organi il più vicino possibile al controllo popolare è cruciale per disarticolare lo stato attuale delle cose.
      18. Infine, abbiamo bisogno di ricostituire varie forme di potere di classe. Tale ricostituzione deve andare oltre l’idea che un proletariato globale organicamente generato già esista. Si deve cercare invece di saldare assieme una serie di identità proletarie parziali, spesso incarnate nelle forme post-fordiste del lavoro precario.
      19. Alcuni gruppi e individui sono già al lavoro su questi obiettivi, ma ognuno in sé non è sufficiente. Ciò che è necessario è che i tre obiettivi producano feedback a vicenda, ciascuno modificando la congiunzione attuale in modo tale che gli altri siano sempre più efficaci — un ciclo positivo di feedback della trasformazione infrastrutturale, ideologica, sociale ed economica che generi una nuova egemonia complessa, una nuova piattaforma tecnosociale post-capitalista. La storia dimostra che è sempre stato un ampio assemblaggio di tattiche e organizzazioni a determinare un cambiamento del sistema; queste lezioni vanno apprese.
      20. Per raggiungere ognuno di questi obiettivi, a livello più pratico riteniamo che la sinistra accelerazionista debba pensare più seriamente ai flussi di risorse e denaro necessari alla costruzione di una nuova ed efficace infrastruttura politica. Al di là della formula del people power e dei corpi nelle strade, abbiamo bisogno di finanziamenti, sia da parte di governi che istituzioni, think tank, sindacati o singoli benefattori. Riteniamo che la localizzazione e l’indirizzamento di tali flussi di finanziamento sia essenziale per iniziare a ricostruire una efficace ecologia delle organizzazioni della sinistra accelerazionista.
      21. Dichiariamo che solo una politica prometeica che detenga la massima maestria sulla società e il suo ambiente sia in grado tanto di affrontare i problemi globali quanto di ottenere una vittoria sul capitale. Questa maestria deve essere distinta da quella amata dai pensatori dell’Illuminismo originario. L’universo meccanico di Laplace, così facilmente controllato date informazioni sufficienti, è scomparso dall’agenda della conoscenza scientifica seria. Ma non diciamo questo per allinearci con lo stanco residuo della postmodernità, denunciando l’idea di maestria [mastery] come proto-fascista o l’autorità come innatamente illegittima. Proponiamo invece che i problemi che affliggono il nostro pianeta e la nostra specie ci obblighino a rinnovare l’idea di maestria in una veste nuova e complessa; laddove non possiamo prevedere il risultato esatto delle nostre azioni, possiamo comunque probabilisticamente determinare degli intervalli di risultati probabili. Ciò che deve essere abbinato a tali analisi dei sistemi complessi è una nuova forma di azione: estemporanea e in grado di eseguire un disegno attraverso le contingenze che scopre solo nel corso della sua attuazione, in una politica di abilità geosociale e astuta razionalità. Una forma di sperimentazione abduttiva che cerchi i migliori mezzi per agire in un mondo complesso.
      22. Abbiamo bisogno di rilanciare la tesi che tradizionalmente si enuncia a proposito del post-capitalismo: non solo il capitalismo è un sistema ingiusto e perverso, ma è anche un sistema che trattiene il progresso. Il nostro sviluppo tecnologico è stato soppresso dal capitalismo tanto quanto è stato da esso scatenato. L’accelerazionismo è la convinzione di fondo che queste capacità possano e debbano essere liberate andando oltre i limiti imposti dalla società capitalista. Il movimento verso un superamento delle nostre attuali costrizioni deve includere più di una semplice lotta per una società globale più razionale. Crediamo sia necessario includere anche il recupero dei sogni che catturarono molti a partire dalla metà del diciannovesimo secolo fino agli albori dell’era neoliberista,  ovvero l’espansione dell’Homo Sapiensoltre i limiti della terra e delle nostre forme corporee immediate. Queste visioni sono oggi percepite come reliquie di una innocente era. Eppure diagnosticano la sconcertante mancanza di fantasia nel nostro tempo, e offrono la promessa di un futuro che è affettivamente rinvigorente oltre che intellettualmente stimolante. Dopo tutto, solo una società post-capitalista resa possibile da una politica accelerazionista sarà in grado di soddisfare le aspettative generate dai programmi spaziali della metà del ventesimo secolo e andare al di là di un mondo fatto di upgrade tecnici infinitesimali verso un cambiamento onnicomprensivo. Verso un’epoca di auto-maestria  [self-mastery] collettiva, e verso un futuro propriamente alieno che essa implica e rende possibile. Verso un completamento del progetto di autocritica e automaestria dell’Illuminismo, piuttosto che verso la sua eliminazione.
      23. La scelta che abbiamo di fronte è severa: o un post-capitalismo globalizzato o una lenta frammentazione verso il primitivismo, la crisi permanente e il collasso ecologico planetario.
      24. Il futuro ha bisogno di essere costruito. È stato demolito dal capitalismo neoliberista e ridotto ad una promessa al ribasso di maggiori disuguaglianze, conflitto e caos. Questa crisi dell’idea di futuro è sintomatica della situazione storica regressiva della nostra epoca, e non, come i cinici di tutto lo spettro politico vorrebbero farci credere, un segno di maturità scettica. Ciò che l’accelerazionismo  propone è un futuro più moderno — una modernità alternativa che il neoliberismo è intrinsecamente incapace di generare. Il futuro deve essere infranto e riaperto ancora una volta, sganciando i nostri orizzonti verso le universali possibilità del Fuori.