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mercoledì 30 maggio 2012

Cartoline eretiche

Geltrude Maria Cordovana, terziaria benedettina. Ignazio Barbieri, frate agostiniano. Furono gli ultimi due eretici mandati al rogo dall'inquisizione, il 6 aprile 1724. Come Giordano Bruno, furono bruciati vivi sulla pubblica piazza. Erano accusati di quietismo, dottrina dichiarata eretica da Innocenzo XI nel 1687. I quietisti non negavano dogmi, né l'autorità della Chiesa. Non credevano, però, nella liturgia e nelle ritualità della religione ufficiale. Tanto bastò per condannarli. I due sventurati sono citati nell'ultimo saggio di Vito Mancuso, "Obbedienza e libertà" (Fazi, 2012).


sabato 26 maggio 2012

Quer pasticciaccio de nome Acea

Ora abbiamo la conferma di quello che già sapevamo. Il comune di Roma non è obbligato a cedere il 51% di Acea, lo ribadisce un parere del governo chiamato a pronunciarsi da un un'interrogazione parlamentare proposta dal Pd, Marco Causi. Giubilo a sinistra e commenti stizziti sul fronte Alemanno. E così tutto sembra improvvisamente rimettersi a posto secondo i consolidati schemi della politica italiota, con la sinistra che fa il suo mestiere di difensore ad oltranza del pubblico e la destra che spiana la strada ai soliti noti. Ma è ciò che conviene ai cittadini romani? È lecito dubitarne. Acea, come abbiamo già scritto, è titolare di un colossale debito: 2,29 milioni al 2010 che gravano sulle disastrate finanze comunali (in totale 12,4 miliardi). Se l'azienda fosse messa in vendita ora, il comune ne ricaverebbe una cifra molto modesta: circa 190 milioni di euro. La ragione sta nella bassa capitalizzazione di borsa, in questa fase di crisi economica inferiore al miliardo di euro. Il che si tradurrebbe in  un regalo per i compratori, Caltagirone ed eventuale compagnia, beneficiati da un grande affare. L'alternativa proposta dal Pd è non vendere nulla e procedere alla liberalizzazione del servizio di illuminazione pubblica. Una gara cui Acea potrebbe parteciapre e magari vincere. Perdendo, però, gli attuali contratti dati in affidamento diretto che in caso di mantenimento del 51% pubblico le sarebbero revocati. Da ricordare 1) che il servizio di illuminazione pubblica romana pesa per un 2% sul fatturato complessivo dell'azienda che in questi anni ha pensato bene di andare ad investire a Santo Domingo e in Colombia 2) che il consiglio di amministrazione è rigidamente lottizzato, il Pd ha in quota il dalemiano Andrea Peruzy. In sintesi, una volta allontanato lo spettro della privatizzazione nulla impedirebbe di continuare con l'attuale regime. Che dire? Tra lo scivolamento statalista del Pd e il liberismo alle volgole della destra non sembra proprio esserci spazio per un'alternativa veramente riformatrice. Privatizzazione integrale senza svendita e liberalizzazione con il comune restituito al ruolo che gli compete: garante e non gestore.

giovedì 24 maggio 2012

La bellezza delle api (e la politica)

Pubblichiamo un intervento di Fausto Russo che rimanda ad un precedente articolo, sempre su questo blog, di Pier Paolo Segneri sulla "scomparsa delle api".

Ho letto qui, in queste pagine del web, un articolo che mi ha spinto a scrivere alcune ulteriori riflessioni. E a tornare sull’argomento. Dopo Pier Paolo Pasolini, infatti, pronto a barattare l’intera Montedison per una sola lucciola, ecco il linguaggio evocativo espresso da Segneri nell’articolo intitolato “La scomparsa delle api”, in cui l’autore, con il ritorno delle api, vorrebbe salutare il ritorno dello “stato di diritto”.
La funzione delle api nel ciclo biologico-naturalistico, pressoché fondamentale per l’impollinazione dei fiori, e dunque per la vita delle piante, ci conduce al concetto che anche  la vita degli umani richiede impollinazioni. Cioè, scambio e travaso dinamico di saperi, di relazioni, di stili di vita, di sogni  e di regole.
Nel suo millenario evolversi, la civiltà ha potuto svilupparsi grazie al contatto ed  agli scambi con nuovi mondi e dunque alle contaminazioni ed alle ibridazioni.
I detrattori di questo concetto hanno sempre opposto l’idea, spesso in malafede, che contaminazione voglia significare allontanamento insopportabile dallo stato di purezza. Uno stato di confusione, dunque, dietro il quale può essere comodo nascondersi per sottrarsi alle proprie  responsabilità: massificarsi con gli altri per non emergere con la propria individualità.
In realtà, il fatto che le specie animali e vegetali, se sottoposte  ad incroci o ad innesti, diventino più resistenti alle ingiurie del tempo, dimostra in che direzione vada l’evoluzione.
L’altro, dunque, rappresenta una risorsa insostituibile, quanto più all’altro ci si dispone ad avvicinarsi. Ed avvicinarsi all’altro vuole dire non tanto includere l’altro nel proprio progetto di vita o venire inclusi dal progetto dell’altro, ma piuttosto contribuire tutti insieme alla costruzione di un globale e grande progetto di vita rivolto all’Universo. Ad un Universo che è unico, nel senso che contiene un unico progetto evolutivo. A questo progetto, ogni individuo deve necessariamente  apportare le infinite declinazioni delle proprie personali diversità. Come avviene in un organismo biologico, che è tanto più ricco quanto più ogni sua singola parte componente si è andata a specializzare in funzioni le une diverse dalle altre e complementari le une con le altre.
In questo modo, può esaltarsi la vera ricchezza delle persone, che sono le diversità. L’armonizzazione dialettica delle diversità, rivolta a fare mondo, rappresenta il vero e proprio statuto esistenziale dell’essere umano.
Tali concettualizzazioni valgono a Pier Paolo Segneri la costruzione di un suo personale pensiero, che diventa progetto politico articolato quando immediatamente si prefigge la creazione di uno spazio  di discussione e di incontro, un campo dove ognuno sia messo in condizione di portarvi il suo contributo irrinunciabile. L’individuo, così, si dispone al dialogo con l’altro, in forte reciprocità con gli altri.
Sono queste le basi, ed al tempo stesso i contenuti del suo progetto di costituente liberale e democratica.
Dove la libertà esiste perché esiste la possibilità della discussione, della critica, la possibilità di tentare e di sbagliare, senza ritenere di possedere verità in tasca o ricette prestabilite, ma, come osservava Luigi Einaudi, andando alla ricerca delle verità, al plurale, rinnovando ogni giorno le proprie domande ai quesiti ancora irrisolti. “E anche a quelli di cui già si sa o si ha la risposta. Valutando se tale risposta è ancora valida: se ha retto al passaggio del tempo, al mutare dei costumi e delle situazioni”.    

F.R.

martedì 22 maggio 2012

Non violenza e sinistra

Nel link che segue lo splendido dialogo tra il Dalai Lama e Vito Mancuso sulla non violenza e l'amorevole compassione. Temi che hanno una dimensione politica, come hanno dimostrato l'esperienza di Gandhi e della rivoluzione sudafricana. Ma come declinare nella politica italiana la non violenza ? Come far sì che la disobbedienza civile possa divenire patrimonio comune a tutti coloro che lottano per la libertà e la giustizia ? Da qui una chiave possibile per riscrivere la politica del futuro.



mercoledì 16 maggio 2012

Le Api e la Repubblica: democrazia e non democrazia in Italia

La storia della Repubblica italiana, dal 1947 fino ad oggi,  si può dividere in diverse fasi, come se si trattasse dei vari atti di uno stesso dramma teatrale. Ciascun atto ha la durata di quindici anni. Perché quello è il tempo del bioritmo, ciclico e politico, della storia dei nostri ultimi sessantacinque anni. Dalla primavera del 1947, infatti, l’Italia ha conosciuto un percorso storico-politico assai travagliato e incapace di porre fine all’emergenza di una “transizione infinita” che, dalle macerie del regime fascista, non è riuscita a condurci ad una democrazia liberale. Si è come rimasti chiusi in un limbo, dove il sistema partitocratico, corporativo, monopolistico, burocratico e ideologico ha impedito il superamento dì quei tratti non democratici e illiberali ereditati dal regime precedente. La prima fase della nostra storia repubblicana va dal 1947 al 1962, cui segue la fase di “crisi” del 1963 e, poi, si ha una risoluzione nel 1964. La seconda fase va dal 1964 al 1977, con la fine del quindicennio precedente rappresentata dal 1978 e con la risoluzione simbolicamente identificata nel 1979. Il terzo tempo va dal 1979 al 1992. Il quarto atto della Storia della nostra Repubblica va dal 1994 al 2008. Il 2009, perciò, rappresenta l’inizio dell’ennesima fase di transizione che apre un’ulteriore capitolo. In altre parole, il conflitto tra democrazia e non-democrazia ha radici lontane, ma dura tuttora. Da qualche anno a questa parte, forse proprio a segnare l’ultimo di questi confini temporali, per via della enorme diffusione di pesticidi in agricoltura, si sta verificando un fenomeno preoccupante: la scomparsa delle api. A tal proposito, il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, lo scorso aprile, ha presentato  a Roma, in una conferenza stampa, i risultati di un importante progetto di ricerca sui meccanismi che causano la mortalità delle colonie di api sul territorio nazionale. Lo studio è stato condotto con  una innovativa metodologia di monitoraggio “sul campo”. La mortalità degli alveari italiani è un “qualcosa” che fa tornare alla mente l’articolo di Pier Paolo Pasolini intitolato “Il vuoto del potere in Italia” e meglio conosciuto come “L’articolo delle lucciole”, pubblicato il 1° febbraio 1975 sul Corriere della Sera. La mortalità degli alveari nel nostro Paese rappresenta una grave minaccia ecologica ed economica: si stima che, tramite l’impollinazione, le api sostengano la vita dell’84% delle piante e del 75% di quelle di interesse alimentare. Per questo è particolarmente importante capire quali sono le cause e gli effetti di questo fenomeno. Si è visto, infatti, che le interazioni genotipo-ambiente, i cambiamenti climatici ed altri diversi fenomeni possono influire sul livello di resistenza degli insetti. I dati dimostrano – ha spiegato il direttore del CRA-API di Bologna Marco Lodesani  “che diversi agenti di stress, interferendo con il sistema immunitario dell’ape, possono, indirettamente, facilitare esplosioni virali che rischiano, rapidamente, di condurre a morte le colonie. Un tale modello - ha aggiunto Lodesani - può consentire l’interpretazione di una serie di fenomeni collegati con la salute delle api e, dunque, indirettamente, con le produzione delle api stesse e più in generale con le produzioni agrarie”.
Pier Paolo Segneri
membro della Giunta esecutiva 
di Radicali Italiani

martedì 15 maggio 2012

Acquedotto pugliese: bacchettate da Corte Costituzionale e Corte dei Conti

Le ultime vicende riguardanti l'Acquedotto pugliese dimostrano quanto lo stato di fatto prodotto dal referendum sull'acqua del giugno scorso abbia prodotto una situazione a dir poco confusa.
 Una recente relazione della Corte dei Conti aiuta a vederci più chiaro. La Regione Puglia, con l.r. 20 giugno 2011, n. 11 ha stabilito che «il servizio idrico integrato della Puglia è affidato a un’azienda pubblica regionale che realizza la parte prevalente della propria attività con l’ente pubblico che la controlla, anche per beneficiare delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento del servizio e con l’obbligo del reinvestimento nel servizio di almeno l’80 per cento degli avanzi netti di gestione». In sintesi, acqua pubblica gestita da una società interamente pubblica. Non solo, i dipendenti della ex s.p.a. Acquedotto pugliese transiterebbero ipso facto nell'organico della neo costituita azienda regionale. Ma si può fare ? Sembrerebbe di no, almeno a parere della corte costituzionale che, con sentenza 21 marzo 2012, dietro ricorso della presidenza del Consiglio, ha affarmato l'incostituzionalità tanto del primo che del secondo punto.
1) «La disciplina dell’affidamento della gestione del SII attiene, come più volte affermato da questa Corte, alle materie tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente, riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. 2) «La normativa impugnata dispone un generale ed automatico transito del personale di una persona giuridica di diritto privato, la S.p.A. Acquedotto pugliese, nell’organico di un soggetto pubblico regionale, l’Azienda pubblica regionale denominata AQP, senza il previo espletamento di alcuna procedura selettiva». Insomma, la tutela della concorrenza non è materia regionale e non si può transitare nella p.a. senza concorso. Elementari principi liberali che mal si attagliano al vento statalista che sembra unire l'intera compagnia di Vasto. Della vicenda, a quanto ci risulta, nessun giornale ha parlato.

venerdì 11 maggio 2012

CONTRO CROCE

Edmondo Marcucci fu pacifista, vegetariano, sodale di Capitini nella scelta non violenta. Qui riportiamo un suo commento su Croce in cui emerge come non sempre i liberali siano libertari.

Spesso si fa il nome di Benedetto Croce come quello di un grande intellettuale oppositore del fascismo che con la sua rivista "La Critica" e la casa editrice Laterza costituì un propugnacolo di libertà. Ciò rispoden alla verità fino a un certo punto. Nel senso che prima del fascismo Croce non si dimostrò un umanitario, un apcifista, un democratico, almeno nei suoi numerosi scritti. Con il suo "storicismo" (apparentato ad una filosofia idealistica riecheggiante Hegel), Croce derise con la sua caustica penna le correnti umanitarie, pacifiste, morlaistiche e libertarie della sua epoca, bollandole di astratti relitti illuministici e massonici, idee d'uomini in ritardo con la storia. Nella sua "Filosofia della pratica" scrisse che la guerra "é intrinseca alla realtà", "insita alla vita" e quest'affermazione la ripetè anche nel 1945 e nel 1946. Giustificò persino l'inquisizione cattolica chiamandola "veramente santa", avversò il socialismo, il modernismo cattolico.
(Sotto il segno della pace, 1983, p. 38)

sabato 5 maggio 2012

ACEA PUBBLICA ? PESSIMO AFFARE


Il Pd a Roma è in piena sindrome statalista. Sulla questione Acea è in prima fila per salvare la città dall'arrivo dei barbari privati. E così giù manifesti sul tradimento del referendum e condivisione piena della retorica movimentista. Che poi Acea sia sprofondata in una voragine finanziaria di cui non si vede soluzione, che strapaghi i suoi manager nonostante i risultati disastrosi, che si sia lanciata in operazioni improbabili all'estero (Santo Domingo e Colombia) che sia da anni terra di conquista di manager collocati dalla politica, cosa importa? L' importante è brandire la bandierina della salvaguardia del pubblico costi quel che costi. Ma vediamo qualche numero.
Azienda quotata in borsa, è detenuta da Caltagirone per un 15% e da Suez - Gaz de France per il 12,5%. Il resto è di proprietà del comune di Roma. Ha debiti per 2,29 miliardi a fronte di 6822 dipendenti, con un incremento tra 2010 e 2008 (gli anni di Alemanno) di 435 unità. Nel bilancio 2011 approvato in questi giorni registra un calo dell'utile netto del 6,5%, coerente con un quasi imezzamento del valore negli ultimi quattro anni. Sempre di questi giorni la polemica sui dirigenti strapagati: il direttore generale percepisce 756 mila euro annui più benefit per 86 mila euro, il consigliere delegato Staderini (uomo di Casini) 350 mila più bonus di 126 mila, il presidente 408 totali, il direttore del personale (fratello del medico personale di Berlusconi) 320 mila con casa pagata in centro. Per le aziende quotate, si sa non vale il tetto imposto dal governo alle remunerazioni dei manager pubblici, ma fuori dell'ala protettiva dei partiti certe performance difficilmente sarebbero passate inosservate (e impunite). Che fare? Privatizzazione totale, alienando anche il 30% eventualmente residuo, e affidare al pubblico il compito di regolare i servizi idrico e di illuminazione ovviamente salvaguardando l'interesse degli utenti. La privatizzazione, pur parziale, è sollecitata da Governo e antitrust, non da perfidi speculatori. La soluzione proposta, invece, da chi è contrario alla privatizzazione prevede la gara per l'appalto dell'illuminazione pubblica (vale il 2% del fatturato di Acea) lasciando il comune proprietario del 51%. Insomma, partiti padroni assoluti ora e sempre e avanti con i debiti.

giovedì 3 maggio 2012

Il novecento di Leo Valiani

E' uscito nel numero di aprile di Mondoperaio un articolo, di cui anticipiamo uno stralcio,  di Paolo Allegrezza su Leo Valiani, costituente e riformista senza partito nel corso della prima repubblica.

Antifascismo, militanza comunista, adesione a Giustizia e
Libertà (giugno ’40), Resistenza, Costituente, questione
giuliana: il lungo e scomodo viaggio nell’Italia repubblicana.
Politico, storico, giornalista, la biografia di Valiani descrive un
percorso complesso, non semplificabile in “fasi” rigide (Ricciardi,
2007, pp. 214-221). Ricostruendo il suo ruolo nel dibattito
precedente alle elezioni del 18 aprile ’48, è possibile riconsiderare
alcuni passaggi cruciali delle vicende riguardanti
la sinistra non comunista. E dei motivi per cui non solo la rivoluzione
democratica prefigurata dagli azionisti rimase un sogno,
ma la democrazia italiana fu sempre più condizionata dal
suo “blocco”, fino alla lunga crisi iniziata negli anni ’70. Quanto
su questo esito abbia pesato la scomposizione del patrimonio
di competenze e ideali riconducibile all’azionismo, è possibile
verificarlo ripercorrendo gli interventi sulla politica
economica svolti da Valiani alla Costituente. Vi è poi l’analista
della crisi repubblicana degli anni ’70 che dalle colonne del
Corriere della sera denuncia il pericolo di un nuovo collasso
della democrazia.