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sabato 26 maggio 2012

Quer pasticciaccio de nome Acea

Ora abbiamo la conferma di quello che già sapevamo. Il comune di Roma non è obbligato a cedere il 51% di Acea, lo ribadisce un parere del governo chiamato a pronunciarsi da un un'interrogazione parlamentare proposta dal Pd, Marco Causi. Giubilo a sinistra e commenti stizziti sul fronte Alemanno. E così tutto sembra improvvisamente rimettersi a posto secondo i consolidati schemi della politica italiota, con la sinistra che fa il suo mestiere di difensore ad oltranza del pubblico e la destra che spiana la strada ai soliti noti. Ma è ciò che conviene ai cittadini romani? È lecito dubitarne. Acea, come abbiamo già scritto, è titolare di un colossale debito: 2,29 milioni al 2010 che gravano sulle disastrate finanze comunali (in totale 12,4 miliardi). Se l'azienda fosse messa in vendita ora, il comune ne ricaverebbe una cifra molto modesta: circa 190 milioni di euro. La ragione sta nella bassa capitalizzazione di borsa, in questa fase di crisi economica inferiore al miliardo di euro. Il che si tradurrebbe in  un regalo per i compratori, Caltagirone ed eventuale compagnia, beneficiati da un grande affare. L'alternativa proposta dal Pd è non vendere nulla e procedere alla liberalizzazione del servizio di illuminazione pubblica. Una gara cui Acea potrebbe parteciapre e magari vincere. Perdendo, però, gli attuali contratti dati in affidamento diretto che in caso di mantenimento del 51% pubblico le sarebbero revocati. Da ricordare 1) che il servizio di illuminazione pubblica romana pesa per un 2% sul fatturato complessivo dell'azienda che in questi anni ha pensato bene di andare ad investire a Santo Domingo e in Colombia 2) che il consiglio di amministrazione è rigidamente lottizzato, il Pd ha in quota il dalemiano Andrea Peruzy. In sintesi, una volta allontanato lo spettro della privatizzazione nulla impedirebbe di continuare con l'attuale regime. Che dire? Tra lo scivolamento statalista del Pd e il liberismo alle volgole della destra non sembra proprio esserci spazio per un'alternativa veramente riformatrice. Privatizzazione integrale senza svendita e liberalizzazione con il comune restituito al ruolo che gli compete: garante e non gestore.