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lunedì 30 maggio 2011

Nucleare no grazie, e poi?

In tema di energia si esprimono con proposte anche molto forti alcuni paesi europei, in particolare la Germania. E l'Italia? Non sembra di vedere da noi una politica energetica di lungo o medio respiro. Siamo fermi all'uso massiccio del gas e all'acquisto di energia dall'estero, mentre la ricerca procede a fatica. Certamente bisogna lavorare in molte diverse direzioni, e soprattutto (negli USA gli investimenti in ricerca sono massicci) bisognerebbe spendere milioni nella ricerca. Piuttosto che scambiare slogan lobbistici (filo o contro governativi) contro veti incrociati da comitati "No-Tutto" e vari senza se e senza ma, bisognerebbe in primis studiare studiare studiare. Competenze scientifiche e tecniche non mancano nemmeno in Italia.
Sempre se in troppi non saranno ancora costretti a cercare lavoro e riconoscimento all'estero... Per approfondire ad esempio pro e contro del nucleare di quarta generazione segnalo, da un sito volutamente non super partes (ecologiae.com):
Approfondimento sul nucleare di quarta generazione

sabato 28 maggio 2011

L'assenza di una "vera" sinistra radicale

Vi è nel '900 una grande tradizione di pensiero che ha ispirato la sinistra radicale. Il '68 è stato da questo punto di vista una vera fucina filosofica. Foucault, Deleuze - Guattari, Tronti e Negri nei '60 - 70, Agamben, Virno, Negri - Hardt oggi, sono esempi, disordinati invero, di una profondità di pensiero non discutibile. Il movimento no global aveva tentato di riprendere quel filo, ma poi tutto si è perso, sfilacciato nel corso dell'ultimo decennio. In Italia prevale invece il grillismo, una poujade estranea allo spirito anti borghese e anti autoritario di quegli autori. Non a caso nell'ultima campagna amministrativa sono risuonati da quelle parti accenti omofobi e razzisti.
Vendola, da parte sua, alterna l'evocazione dell'"altrove" alla pratica stanziale del governo e del rito televisivo. Riteniamo che sia questo corto pensiero, questa mancanza di "nomadismo" nel senso deleuziano, a rendere ininfluente la sinistra che rifiuta la prospettiva riformista. Sinistra di cui vi sarebbe, invece, bisogno.

Seguono due video: Gilles Deleuze e il suo abdecedario, Giorgio Agamben su Guantanamo.



domenica 22 maggio 2011

Pantheon dei riformisti: Danilo Dolci

Dopo Aldo Capitini e Walter Binni, continuiamo i brevi ritratti di liberalsocialisti con Danilo Dolci. Da anni completamente dimenticato, Dolci è stato un profeta della non violenza e del riformismo dal basso. Dal 1952 realizzò a Partinico, nella Sicilia profonda del latifondo, una straordinaria esperienza di "pedagogia civile" che culminò con la realizzazione della diga sullo Jato. Teorico della maieutica come arte (capitiniana) del confronto e della persuasione, fu grande sognatore e grande uomo del fare.

martedì 17 maggio 2011

Capitini: per un pantheon della sinistra riformista


Pubblichiamo il testo della lettera di religione n. 19 scritta da Aldo Capitini nel 1953, nella quale il filosofo umbro parla della possibilità di una nuova religione che promuova la liberazione integrale dell'essere. Parole che sembrano provenire da altri mondi, tuttavia ci ostiniamo a ritenerle tutt'altro che estranee alla costruzione di un'identità riformista.



Caduta del mondo religioso impostato sulla tradizione. Perché si è visto che l'istituzione ecclesiastica pretende di avere un'autorità assoluta per imporre credenze che molte volte sono leggende (per es. l'ascensione di Gesù) e dogmi (per es. l'assunzione di Maria) e comandi (per es. di votare per i partiti dei conservatori e dei capitalisti) che sono inaccettabili.
Anche Roma antica, anche il paganesimo aveva una tradizione; la verità religiosa può essere diversa dalla tradizione; anzi molte volte la tradizione e il passato sono cose da superare in nome di esigenze più profonde.

Sviluppo moderno della comunanza, dell'attività, dell'apertura. Per sottrarsi all'assolutismo il mondo moderno ha sviluppato i principi della tolleranza religiosa, della comunanza fra tutti gli uomini e del valore della coscienza morale indipendentemente dalle credenze religiose e dai sacramenti, ha favorito l'attività, l'esperienza, la libertà di produzione e di critica, come elementi fondamentali della formazione dell'uomo e della sua vita attuale, che riceve il passato ma non autoritariamente, perché vi sceglie solo ciò che la coscienza può accettare.
Questo senso moderno si diffonde oggi a tutto il mondo, contro i pregiudizi e i privilegi.

Il problema oggi è di portare questo a punti più profondi, religiosi. Il mondo moderno rischia di superficializzare, di esaltare la "vita", di perdere il senso drammatico della liberazione dell'uomo dai limiti del dolore, del peccato, della morte, di fare riforme sociali senza un'interiorità rinnovata veramente.
Tanto è vero che continuano le religioni tradizionali, pur con i difetti detti sopra.
Segno che qualche cosa manca al mondo moderno, se non riesce a liberarsi del tutto dalle vecchie forme religiose.

Il senso profetico della religione aspira alla liberazione. Nella vita religiosa i sacerdoti difendono un'istituzione tradizionale, un ordine e oggetti che dicono sacri; i profeti, gli eretici, i liberatori sono staccati dalle istituzioni, sollecitano alla liberazione dai limiti del dolore, del peccato, della morte nella viva coscienza del bene e del male e non in oggetti miracolosi: sono minoranze, e molte volte testimoniano col martirio.
Per andare oltre il mondo tradizionale e il mondo moderno, bisogna ravvivare la posizione profetica a preferenza di quella sacerdotale (che si appoggia all'istituzione, difende la conservazione e educa al conformismo).

La religione è dissenso con il mondo com'esso è. La vita religiosa perde il suo senso essenziale se accetta l'umanità, la società, la realtà com'esse sono.
La religione è intimo travaglio, malinconia, protesta, dissenso, dramma, e le forme piú serie in cui essa si è espressa, come la rinuncia, l'invocazione, la preghiera, la speranza, sono segni di questo.
La religione non può accettare la realtà che dà tanti colpi agli innocenti, ai giusti; non può accettare le strutture attuali della società, e piú o meno deve stare sempre all'opposizione, e non ha a che fare nulla con incoronazioni regali e concordati statali, non può accettare il nostro essere stesso con tutti i nostri umani difetti e limiti e ridicolaggini e miserie, né può santificare il nostro passato cosí insufficiente, né eternare i fatti, gli eventi, le azioni.
Anche le rinunce hanno un significato in religione, quello di non far la pace coi mondo com'è, di voler mantenere il dislivello tra il mondo com'è' e il mondo come deve essere, liberato dal male, dalle chiusure: questo dislivello significa che uno soffre perché l'uomo è colpito dal mondo, perché i vivi usurpano il posto che tenevano i morti, molte volte migliori, perché la realtà finora è fatta in modo che tanti esseri viventi vivono per la morte di altri.

Ma, insieme con questo, c'è nella religione la certezza della liberazione, la profonda persuasione che il mondo, il tempo, lo spazio, la realtà com'è con le sue leggi e il dolore sono limitati, cioè hanno una fine davanti ad una realtà liberata, a Dio; e chi sente questo, conforta la tristezza del mondo, con la Presenza superiore, già coglie la Festa e ne ha scoperto il rasserenamento, pagato con il travaglio del dissenso col mondo al punto di partenza.
In questo senso la vita religiosa (sentendo profondamente questo travaglio, e perciò scorgendo il limite del mondo e la sua liberazione) vive in sé stessa la suprema protezione, difesa, fonte di intrepidezza, di forza di tirare avanti, piú che da ogni altra cosa nel mondo.

La religione vuol portare tutti alla liberazione. Cosí il termine "apertura" acquista un valore piú profondo di quello moderno e laico di tolleranza e di dialogo.
Significa: nel dissenso col mondo e nell'intravedere la liberazione, portare tutti alla realtà liberata.
Tutti è la grande realtà da tener presente.
E' piú che la riunione di coloro che credono in un determinato Dio o in una determinata salvazione, di coloro che fruiscono di certi sacramenti, o agiscono in un certo modo, e perciò sono salvati e separati da altri.
Tutti comprende veramente tutti gli esseri, nessuno escluso e per nessuna ragione; e tutti arriveranno alla liberazione, senza nessuno che vada all'Inferno, dove i beati guardino godendo a quelle sofferenze perché sono la prova della giustizia di Dio (come dice San Tommaso, piú conformista all'ordine dell'impero che lui dice divino, che sensibile alla presenza dei singoli esseri e alla loro finale liberazione).
Nella religione tradizionale uno credeva di salvarsi per suo conto, nello stesso modo che si faceva una proprietà privata per suo conto.
Tutti, invece, arriveranno alla liberazione, e noi sentendo per amore nel tu che ognuno è piú delle sue azioni, dei suoi fatti (che finiscono mentre lui è destinato all'eterno), già poniamo le premesse per il superamento della credenza in un Giudizio che condanni alcuni a un dolore senza che questo dia liberazione. (Cosa da non attribuire a Dio, perché sarebbe crudeltà somma in un uomo).

Apertura a tutti da un alto livello. Ecco, dunque, il metodo attuale religioso: dal punto della vita piú tesa del valore, dell'interiorità, di tutto ciò che si reputa alto, apertura a comprenderci tutti, e non restare lí chiusi, in un rapporto privato tra l'individuo e Dio.
Se c'è questa chiusura, allora anche la preghiera non è veramente religiosa, e diventa personalismo e gusto di sequestrare Dio per le proprie faccende.
Allora può anche esser meglio non pregare, se non c'è nello stesso tempo l'apertura a chiamare tutti in quella Presenza.

Il valore aperto alla compresenza di tutti. Con questo metodo religioso, noi sentiamo che tutto ciò che che facciamo o conosciamo di valore (atto di bellezza, di bontà, di verità, di onestà ecc.) si realizza con l'aiuto intimo di tutti, vivi e morti, vicini e lontani, e anche infermi, esauriti, distrutti.
Non è cosa individuale, ma corale.
Abituarsi a sentire cosí, è mettersi nella vera vita religiosa.

Tutti possono essere Gesù Cristo. Riconosciuto che i due elementi essenziali di Gesú Cristo sono, tralasciando ciò che è contingente, storico, della tradizione o mentalità di allora:
1. passione-crocifissione nel mondo; 2. fare aperto, amando ognuno, perdonando infinitamente;
tutti possono seriamente viverli e moltiplicarli; mettendo fine alla chiusura idolatrica, autoritaria, regale di Gesú Cristo, che va contro lo stesso Gesú Cristo, che diceva. ciò che farete agli affamati, ai sofferenti, ai miseri, ai bambini, è come lo faceste a me; cioè già egli voleva che si realizzasse la moltiplicazione cogliendola noi in tutti.

Tutto, diventare di tutti. Anche per ciò che riguarda i beni del mondo, oltre che i valori, può applicarsi lo stesso principio religioso.
Il punto di arrivo è che la proprietà di tutto sia di tutti, cosí come tutti abbiano la libertà.
Il nostro lavoro fin da ora è di non sentirei proprietari, e riconoscere che ciò che noi abbiamo o ci procuriamo è semplice mezzo per incamminarci meglio in una vita religiosa.
Avremo cura di evitare sempre l'oppressione e lo sfruttamento, e di promuovere senza interruzione la libertà e l'uso dei beni della vita per tutti.
Siccome non potremo dare questi anche ai morti (che pur meriterebbero per l'aiuto che ci dànno), li daremo, con maggiore entusiasmo che agli altri, a coloro che assomigliano ai morti, e cioè agli sfiniti, diminuiti, pallidi, silenziosi.

Nel tu si coglie l'inizio della liberazione.Se questa è la religione, se queste idee si trova che soddisfano profonde esigenze nelle difficoltà di oggi di un'apertura religiosa mondiale, se uno le considera seriamente (come pregando, come confessandosi, come umiliandosi e sperando), nell'incontro che facciamo, nel tu che diciamo, nel primo saluto a un essere che nasce alla vita, noi vediamo un inizio della realtà liberata.


Aldo Capitini

Perugia, 20 giugno 1953

sabato 14 maggio 2011

Dalla paura al Polo della Responsabilità

Le società occidentali appaiono attualmente dominate da un senso di rabbia e paura.
Questa condizione è comprensibile. La grande trasformazione socio-economica, tecnologica e politica che stiamo vivendo a livello globale implica che cresca l’età media della popolazione, aumentino le novità in tutti i campi del vivere civile, crescano i problemi ambientali, si allontanino le aspettative di sicurezza e di status promosse dalla pubblicità ed introiettate negli anni del benessere pagato dallo Stato con il debito e, sopra ogni cosa, esploda l’immigrazione.

Tutti questi, e probabilmente molti altri, sono fattori ansiogeni e determinano, come ha detto Giorgio Bocca, spaesamento. Alcuni sanno gestire questa condizione meglio, per molti altri diventa rancore, ostilità, rabbia ed a volte cieca violenza. Altri la elaborano tentando di rifugiarsi nella sicurezza dei simboli, come se i vetri scuri del finestrino o degli occhiali potessero isolare il possessore dalla realtà e conservare le sue le illusioni di status.

Sono stati d’animo vissuti, più o meno, intensamente, in ogni ambito della vita civile, diventando, a loro volta fattori di stress nella vita quotidiana, nel traffico, allo sportello antipatico, alla riunione condominiale……

Questo stato d’animo, privo di fiducia, speranza o fede in un futuro migliore porta a scegliere politicamente chi propone il no, la chiusura, il rifiuto di un progetto sociale che vada oltre il proprio microcosmo.
Costoro, nella difficoltà di percepire la portata delle trasformazioni in atto, vedono le Istituzioni, le componenti della società civile che, bene o male, cercano di gestire i difficili processi in atto come nemiche.
Non ne colgono, dove c’è, il senso di responsabilità, quasi che fosse il loro impegno a determinare l’immigrazione, i limiti ambientali, il deficit cui fare fronte con tasse o tagli…..
Quindi, politicamente, oltre al no scelgono chi irride i portatori di responsabilità, chi si fa un baffo del rigore e delle norme civili.
Esaltano, infatti, il modello dell’io prima degli altri, dell’interesse personale come unica risposta alle difficoltà della comunità.

Il codice del Polo della Responsabilità dovrebbe essere alternativo a tutto ciò. Il suo cuore dovrebbe, infatti, essere nell’intuire le dinamiche di scala superiore e nel partecipare all’edificazione dell’assetto sociale possibile, quindi, nel saper vedere le esigenze della comunità oltre quelle individuali.

Quanto detto dovrebbe spingere i portatori di responsabilità, quale che sia il loro partito politico di riferimento, a porsi in un’ottica di guida dei processi alternativa alla paura, al rancore, al prelievo od al danno ambientale come forma di compensazione o vendetta dello spaesamento.

Ma, vivere questa consapevolezza e non lasciarsi trascinare dalla paura non è facile. Persistere in un atteggiamento di fiducia e responsabilità, quale che sia la propria posizione, nelle Istituzioni, nelle Imprese o nelle Professioni, quindi, tenere le maglie della comunità, assorbendo gli stress dati dai problemi esistenti e dalle reazioni alla paura dei problemi stessi non è da tutti.

Infatti, la scala e l’idea stessa di assetto sociale possibile non sono ancora evidenti. La società utopica è difficile da immaginare, non è affatto chiara la sua fisionomia tecnologica, culturale, sociale e politica.

Inoltre, mentre l’assetto possibile e necessario è globale, l’insieme delle forze umane che dovrebbero crearlo è ancora frammentato nelle molteplici realtà locali, la scala della lotta politica è ancora nazionale.
Peraltro, a questa scala molte delle realtà sociali la cui inclusione era il fine dei progressisti di ieri, oggi difendono interessi costituiti e questo chiedono di fare ai loro rappresentanti.
Le loro organizzazioni tradizionali ed i loro leaders si trovano, quindi, nella condizione contraddittoria di richiamarsi a valori progressisti e difendere al contempo interessi consolidati e spesso corporativi.

Gli interessi d’inclusione dovrebbero essere espressi da immigrati, ma le capacità di dialogo tra questi e le forze politiche è ancora molto scarsa.

Quindi, non è facile avere la lungimiranza necessaria a vedere l’evolvere fisiologico del processo di costruzione dell’assetto possibile. Non è facile mettere in atto la tenacia necessaria a sopportarne i tempi, conservando l’impegno della sua edificazione.

Coerentemente, l’immagine del progressista responsabile non va di moda quanto è andata in decenni addietro, non interessa chi sposa determinati comportamenti solo se gli offrono perlomeno un profitto d’identità, quindi, non paga proporla, ne in termini di immagine, ne di posizione politica.

In altre parole, oggi, la responsabilità non è da tutti.

Andrebbe, quindi, esplicitato come abbia ben ALTRO STATUS, chi riesce, comunque a metterla in atto ed accettarne consapevolmente il carico, nelle Istituzioni, nelle Imprese, nella Società Civile, rispetto a chi si lascia dominare dalla paura ed a chi persegue, opportunisticamente e spesso vigliaccamente, il solo, brevi mirante, interesse personale.
I primi, infatti, sono chiamati a farsi carico dei problemi vissuti e determinati dai secondi e dentro o fuori dalla politica, meglio o peggio, lo fanno perché è nel loro codice bio-culturale farlo.

Sarebbe, quindi, giusto e necessario promuovere la consapevolezza della qualità del loro impegno e delle difficoltà che vivono, perché solo da questo dato può partire un aumento dell’efficienza della loro azione.

Evidenziare le condizioni attuali e diffondere la consapevolezza delle oggettive difficoltà esistenti potrà, inoltre, contribuire a costruire l’immagine di chi si presta al compito e delle relative organizzazioni. Potrà appagarne l’ego, comunque bisognoso di conferme.

Peraltro, sarà solo la sicurezza pacata e lungimirante dei pochi pensanti ad attrarre i molti che cercano un modello da imitare. Sarà la loro superiorità intellettuale e morale a catalizzare il consenso necessario a costruire la società possibile. Poiché il Governo, quando c’è e dove c’è, è sempre espressione dei “migliori”, non interessati al profitto meschino, ma capaci di visioni di lungo respiro.

Certamente, non sarà la rissa isterica, ne la sola denuncia delle schifezze dell’uno o dell’altro degli antagonisti politici che potrà riportare attenzione alla Responsabilità ed ai suoi valori.

Detto ciò è evidente come denunciare la grettezza del contro, le malefatte dei profittatori o le sconcerie del Re, sempre più nudo, non porta chi vive nella paura a scegliere la costruzione della comunità.
Anzi, produce altro stress, altra ostilità e conferma le scelte del no, alimenta i modelli della chiusura e dell’interesse individuale.
Avviare, invece, il processo di acquisizione di consapevolezza, evidenziare lo STATUS dei portatori di responsabilità, darà le basi perché chi ha questa forza e queste caratteristiche accolga e sposi il progetto necessario per costruire la società possibile.
L’uomo, o la donna, giusti, arriveranno solo quando questa consapevolezza si sarà diffusa.

F.P.

martedì 10 maggio 2011

Il paese tribale

L’innovazione avviene perché nascono le idee.
In un momento magico qualcuno vede qualcosa con una nuova angolazione, coglie un nuovo aspetto della realtà, associa qualche elemento in un modo nuovo e pensa che le cose in un qualche settore potrebbero andare, essere fatte, in un altro modo, possibilmente più utile per se e per lo sviluppo dell’umanità.
A quel punto è nata l’idea e se è buona quando viene comunicata, come un seme, germina. Se trova un terreno fertile inizia a svilupparsi e poi cresce per diventare, eventualmente, un grande albero di scienza, tecnica, cultura, organizzazione, economia.

Il terreno delle idee è, infatti, la società umana ed il suo humus sono la serenità e l’entusiasmo che permettono a quella data società di accogliere con coraggio le nuove idee, investire in esse e distribuirne equamente le ricadute positive.


Franco Paolinelli

(continua.)

sabato 7 maggio 2011

Acqua pubblica o privata: un falso problema

Sul referendum che vuole abrogare parti del decreto Ronchi, scardinandolo di fatto, qualche riflessione partendo dalle proposte dei promotori.

1)I promotori pensano ad una gestione dei servizi pubblici completamente pubblica e, soprattutto, sottratta alla concorrenza. Il che vuol dire niente gare. Si tratta della cosiddetta gestione in house.

Le municipalizzate come le abbiamo conosciute nel '900 non esistono più, essendo state sostituite da società per azioni di cui i comuni detengono solo delle quote. Inoltre, l'idea di rinunciare ad un ritorno dell'investimento del capitale investito non si capisce come possa essere fatta propria da soggetti, quali le municipalizzate, che agiscono in regime di diritto privato.

2) I promotori denunciano la cosiddetta privatizzazione dell'acqua, un bene pubblico che cadrebbe così nelle mani dell'affarismo dei privati.

In realtà la proprietà della rete rimarrebbe pubblica, ad essere sottoposto a regime di concorrenza sarebbe il solo servizio. Sul quale, come avviene in altri settori, vigilerebbe un' authority. E' vero che al momento non ve n'è traccia e la responsabilità è tutta del governo. Ma perché rinunciare a priori all'idea di un'agenzia che vigili in modo efficace ?

3) I referendari propongono un sistema di finanziamento del servizio in base ad una tassa e non una tariffa. Pagando sulla scorta del reddito e non del consumo.

E' una proposta in contrasto con l'esigenza di risparmio idrico che potrebbe essere, invece, raggiunta con una tariffazione apposita che lo incoraggi.

mercoledì 4 maggio 2011

Wojtila: materiali (contro) informativi

Sul pontificato di Karol Wojtila è tempo di far conoscere alcuni dati, meritoriamente raccolti dalla rivista Adista nel 2003, non emersi dal turbine mediatico di questi giorni. Si tratta del numero impressionante di teologi e religiosi espulsi o ridotti al silenzio tra il 1978 e il 2003. Un'opera di scientifica ed efficacissima repressione che ha silenziato, in nome della "verità", qualsiasi voce osasse esprimere dissenso all'interno della Chiesa. Una venticinquennale operazione repressiva da far invidia ai più spregiudicati dispositivi di controllo mai sperimentati nella storia del potere. Se Michel Foucault fosse vivo vi troverebbe una inesauribile miniera di studi.

Storia di una repressione

lunedì 2 maggio 2011

La svolta necessaria

L'unica possibile forma di partecipazione ecclesiale, dopo la lunga guida Woytila-Ratzinger di un cattolicesimo che non ammette dialogo interno, resta solo l'obbedienza? Staremo a vedere. Ancora una volta solo tre mesi fa (3 febbraio) un gruppo di 144 teologi tedeschi, svizzeri e austriaci levano la loro voce per sollecitare concreti passi verso una maggiore attuazione delle indicazioni conciliari. Molti i temi affrontati, grandi i rischi assunti: ogni espressione non gradita ai vertici vaticani è stata sempre pesantemente censurata in ogni modo nell'ultimo ventennio. Le persone coinvolte, riprese, anche rimosse dal loro incarico sono decine. Gli argomenti che sono automaticamente tabù: la ministerialità femminile, la discussione del celibato, aperture nella pastorale di omosessuali, conviventi, divorziati.
Per un approfondimento si consiglia la lettura integrale del documento pubblicato su www.sueddeutsche.de e tradotto da finesettimana.org
Intanto le comunità di base fiorentine dopo il convegno del maggio 2009 "Il vangelo che abbiamo ricevuto" hanno continuato a riunirsi ancora a febbraio 2010 e con il recente appello Per interrompere il silenzio propongono un nuovo incontro pubblico per il prossimo 30 maggio.
Due dubbi:
- la discussione sembra appena iniziata, riuscirà a "finire"?
- la grande maggioranza dei cristiani è interessata al dialogo?
Il dibattito è aperto.