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martedì 17 maggio 2011

Capitini: per un pantheon della sinistra riformista


Pubblichiamo il testo della lettera di religione n. 19 scritta da Aldo Capitini nel 1953, nella quale il filosofo umbro parla della possibilità di una nuova religione che promuova la liberazione integrale dell'essere. Parole che sembrano provenire da altri mondi, tuttavia ci ostiniamo a ritenerle tutt'altro che estranee alla costruzione di un'identità riformista.



Caduta del mondo religioso impostato sulla tradizione. Perché si è visto che l'istituzione ecclesiastica pretende di avere un'autorità assoluta per imporre credenze che molte volte sono leggende (per es. l'ascensione di Gesù) e dogmi (per es. l'assunzione di Maria) e comandi (per es. di votare per i partiti dei conservatori e dei capitalisti) che sono inaccettabili.
Anche Roma antica, anche il paganesimo aveva una tradizione; la verità religiosa può essere diversa dalla tradizione; anzi molte volte la tradizione e il passato sono cose da superare in nome di esigenze più profonde.

Sviluppo moderno della comunanza, dell'attività, dell'apertura. Per sottrarsi all'assolutismo il mondo moderno ha sviluppato i principi della tolleranza religiosa, della comunanza fra tutti gli uomini e del valore della coscienza morale indipendentemente dalle credenze religiose e dai sacramenti, ha favorito l'attività, l'esperienza, la libertà di produzione e di critica, come elementi fondamentali della formazione dell'uomo e della sua vita attuale, che riceve il passato ma non autoritariamente, perché vi sceglie solo ciò che la coscienza può accettare.
Questo senso moderno si diffonde oggi a tutto il mondo, contro i pregiudizi e i privilegi.

Il problema oggi è di portare questo a punti più profondi, religiosi. Il mondo moderno rischia di superficializzare, di esaltare la "vita", di perdere il senso drammatico della liberazione dell'uomo dai limiti del dolore, del peccato, della morte, di fare riforme sociali senza un'interiorità rinnovata veramente.
Tanto è vero che continuano le religioni tradizionali, pur con i difetti detti sopra.
Segno che qualche cosa manca al mondo moderno, se non riesce a liberarsi del tutto dalle vecchie forme religiose.

Il senso profetico della religione aspira alla liberazione. Nella vita religiosa i sacerdoti difendono un'istituzione tradizionale, un ordine e oggetti che dicono sacri; i profeti, gli eretici, i liberatori sono staccati dalle istituzioni, sollecitano alla liberazione dai limiti del dolore, del peccato, della morte nella viva coscienza del bene e del male e non in oggetti miracolosi: sono minoranze, e molte volte testimoniano col martirio.
Per andare oltre il mondo tradizionale e il mondo moderno, bisogna ravvivare la posizione profetica a preferenza di quella sacerdotale (che si appoggia all'istituzione, difende la conservazione e educa al conformismo).

La religione è dissenso con il mondo com'esso è. La vita religiosa perde il suo senso essenziale se accetta l'umanità, la società, la realtà com'esse sono.
La religione è intimo travaglio, malinconia, protesta, dissenso, dramma, e le forme piú serie in cui essa si è espressa, come la rinuncia, l'invocazione, la preghiera, la speranza, sono segni di questo.
La religione non può accettare la realtà che dà tanti colpi agli innocenti, ai giusti; non può accettare le strutture attuali della società, e piú o meno deve stare sempre all'opposizione, e non ha a che fare nulla con incoronazioni regali e concordati statali, non può accettare il nostro essere stesso con tutti i nostri umani difetti e limiti e ridicolaggini e miserie, né può santificare il nostro passato cosí insufficiente, né eternare i fatti, gli eventi, le azioni.
Anche le rinunce hanno un significato in religione, quello di non far la pace coi mondo com'è, di voler mantenere il dislivello tra il mondo com'è' e il mondo come deve essere, liberato dal male, dalle chiusure: questo dislivello significa che uno soffre perché l'uomo è colpito dal mondo, perché i vivi usurpano il posto che tenevano i morti, molte volte migliori, perché la realtà finora è fatta in modo che tanti esseri viventi vivono per la morte di altri.

Ma, insieme con questo, c'è nella religione la certezza della liberazione, la profonda persuasione che il mondo, il tempo, lo spazio, la realtà com'è con le sue leggi e il dolore sono limitati, cioè hanno una fine davanti ad una realtà liberata, a Dio; e chi sente questo, conforta la tristezza del mondo, con la Presenza superiore, già coglie la Festa e ne ha scoperto il rasserenamento, pagato con il travaglio del dissenso col mondo al punto di partenza.
In questo senso la vita religiosa (sentendo profondamente questo travaglio, e perciò scorgendo il limite del mondo e la sua liberazione) vive in sé stessa la suprema protezione, difesa, fonte di intrepidezza, di forza di tirare avanti, piú che da ogni altra cosa nel mondo.

La religione vuol portare tutti alla liberazione. Cosí il termine "apertura" acquista un valore piú profondo di quello moderno e laico di tolleranza e di dialogo.
Significa: nel dissenso col mondo e nell'intravedere la liberazione, portare tutti alla realtà liberata.
Tutti è la grande realtà da tener presente.
E' piú che la riunione di coloro che credono in un determinato Dio o in una determinata salvazione, di coloro che fruiscono di certi sacramenti, o agiscono in un certo modo, e perciò sono salvati e separati da altri.
Tutti comprende veramente tutti gli esseri, nessuno escluso e per nessuna ragione; e tutti arriveranno alla liberazione, senza nessuno che vada all'Inferno, dove i beati guardino godendo a quelle sofferenze perché sono la prova della giustizia di Dio (come dice San Tommaso, piú conformista all'ordine dell'impero che lui dice divino, che sensibile alla presenza dei singoli esseri e alla loro finale liberazione).
Nella religione tradizionale uno credeva di salvarsi per suo conto, nello stesso modo che si faceva una proprietà privata per suo conto.
Tutti, invece, arriveranno alla liberazione, e noi sentendo per amore nel tu che ognuno è piú delle sue azioni, dei suoi fatti (che finiscono mentre lui è destinato all'eterno), già poniamo le premesse per il superamento della credenza in un Giudizio che condanni alcuni a un dolore senza che questo dia liberazione. (Cosa da non attribuire a Dio, perché sarebbe crudeltà somma in un uomo).

Apertura a tutti da un alto livello. Ecco, dunque, il metodo attuale religioso: dal punto della vita piú tesa del valore, dell'interiorità, di tutto ciò che si reputa alto, apertura a comprenderci tutti, e non restare lí chiusi, in un rapporto privato tra l'individuo e Dio.
Se c'è questa chiusura, allora anche la preghiera non è veramente religiosa, e diventa personalismo e gusto di sequestrare Dio per le proprie faccende.
Allora può anche esser meglio non pregare, se non c'è nello stesso tempo l'apertura a chiamare tutti in quella Presenza.

Il valore aperto alla compresenza di tutti. Con questo metodo religioso, noi sentiamo che tutto ciò che che facciamo o conosciamo di valore (atto di bellezza, di bontà, di verità, di onestà ecc.) si realizza con l'aiuto intimo di tutti, vivi e morti, vicini e lontani, e anche infermi, esauriti, distrutti.
Non è cosa individuale, ma corale.
Abituarsi a sentire cosí, è mettersi nella vera vita religiosa.

Tutti possono essere Gesù Cristo. Riconosciuto che i due elementi essenziali di Gesú Cristo sono, tralasciando ciò che è contingente, storico, della tradizione o mentalità di allora:
1. passione-crocifissione nel mondo; 2. fare aperto, amando ognuno, perdonando infinitamente;
tutti possono seriamente viverli e moltiplicarli; mettendo fine alla chiusura idolatrica, autoritaria, regale di Gesú Cristo, che va contro lo stesso Gesú Cristo, che diceva. ciò che farete agli affamati, ai sofferenti, ai miseri, ai bambini, è come lo faceste a me; cioè già egli voleva che si realizzasse la moltiplicazione cogliendola noi in tutti.

Tutto, diventare di tutti. Anche per ciò che riguarda i beni del mondo, oltre che i valori, può applicarsi lo stesso principio religioso.
Il punto di arrivo è che la proprietà di tutto sia di tutti, cosí come tutti abbiano la libertà.
Il nostro lavoro fin da ora è di non sentirei proprietari, e riconoscere che ciò che noi abbiamo o ci procuriamo è semplice mezzo per incamminarci meglio in una vita religiosa.
Avremo cura di evitare sempre l'oppressione e lo sfruttamento, e di promuovere senza interruzione la libertà e l'uso dei beni della vita per tutti.
Siccome non potremo dare questi anche ai morti (che pur meriterebbero per l'aiuto che ci dànno), li daremo, con maggiore entusiasmo che agli altri, a coloro che assomigliano ai morti, e cioè agli sfiniti, diminuiti, pallidi, silenziosi.

Nel tu si coglie l'inizio della liberazione.Se questa è la religione, se queste idee si trova che soddisfano profonde esigenze nelle difficoltà di oggi di un'apertura religiosa mondiale, se uno le considera seriamente (come pregando, come confessandosi, come umiliandosi e sperando), nell'incontro che facciamo, nel tu che diciamo, nel primo saluto a un essere che nasce alla vita, noi vediamo un inizio della realtà liberata.


Aldo Capitini

Perugia, 20 giugno 1953