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lunedì 31 gennaio 2011

Tassare le rendite: voci dal socialismo europeo

E' in corso da tempo una riflessione all'interno del socialismo europeo sulla crisi apertasi nel 2008 e sul conseguente incremento delle disuguaglianze che ha prodotto. Non si tratta di una dato inedito. Sappiamo da tempo che dagli anni '70 la crescita dell'economia finanziaria e la deregulation che l'ha accompagnata, hanno spostato risorse straordinarie a favore di una sempre più ristretta minoranza (dal 1976 al 2007 per ogni dollaro di crescita, il 58% è andato all'1 % delle famiglie più ricche, dato calcolato dall'economista indiano R. Rajan e citato da S. Fassina in un articolo uscito sull'ultimo delle "Nuove Ragioni del socialismo"). In Italia questo dibattito arriva poco e, nel caso del PD e del resto della sinistra riformista, non riesce a tradursi in proposte chiare innestate su un limpido profilo politico. Sarà perché la discussione porta a parlare inevitabilmente del grande tabù del dibattito pubblico italiano: le tasse. Se si vuole pensare ad una più equa distribuzione, si dovrà agire sulla leva fiscale. E' questa in sostanza la proposta dei socialisti europei. Si pensa così all'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, a tasse "verdi" e sulle banche. E' una strada ambiziosa, ma dura. In Italia per avere qualche possibilità di successo dovrebbe connettersi alla riforma della p.a. e a misure anti spreco e anti corporative. Altrimenti, temiamo, la propaganda populista della destra avrebbe la meglio. Ancora una volta.


( link al convegno tenutosi a Roma nel novembre scorso)

venerdì 28 gennaio 2011

A Napoli non si scherza. Il PD rischia grosso

Ciò che è accaduto a Napoli in occasione delle primarie del PD non può essere liquidato come un incidente di percorso. Questa sembra essere l'intenzione di Bersani che ha messo insieme nelle ultime ore due disastrose mosse: la ricerca della candidatura di un magistrato e la rimozione del segretario provinciale Tramante con conseguente invio del responsabile nazionale giustizia. Gli unici a mantenere un comportamento coerente in questa vicenda ci sembrano Tramante e Umberto Ranieri. Entrambi hanno prima denunciato le irregolarità, quindi si sono affidati all'intervento della commissione di garanzia. Da Roma si è dapprima sottovalutato la situazione, quindi si è cercato di mettere la polvere sotto il tappeto. Su una vicenda come questa crediamo si giochi la credibilità del PD. Un partito che non si dimostri in grado di rispettare le regole che esso stesso si è dato, non si capisce con quale credibilità possa poi andare a chiedere i voti agli elettori napoletani. L'unica soluzione credibile sarebbe la ripetizione delle primarie riservata ai due candidati che hanno ottenuto i maggiori consensi. Con una mobilitazione attiva del partito (o di quel che ne resta) che garantisca il regolare svolgimento del voto. Lo stesso Bersani potrebbe recarsi a Napoli e affermare così, con la sua presenza, la fiducia che il PD ha nelle primarie. Soluzioni pasticciate come il ricorso al solito deus ex machina in toga rappresenterebbero un commissariamento di fatto del PD. A quel punto a Ranieri, a nostro avviso, non resterebbe che dare vita ad una lista riformista in grado di proporre un progetto serio per la città. Meglio perdenti che rassegnati, parafrasando i fratelli Taviani.

sabato 22 gennaio 2011

Università, Italia ed Europa a confronto: i dati

Riprendendo le sollecitazioni giunte da alcuni amici, torniamo sulla questione università e formazione con altri dati.


Gli studenti

I laureati annui italiani, vecchio e nuovo ordinamento, sono 293.084 (dati 2008). In progressivo calo rispetto ai tre anni precedenti: 301.298 nel 2005, 301.376 nel 2006, 300.135 nel 2007. Altro dato preoccupante riguarda il numero dei laureati in corso: dal 35,6% nel 2005 è sceso al 30,6% nel 2006, al 29,9% nel 2007, al 26,8% nel 2008). Considerando che l'obiettivo principale della riforma del '99 e dei successivi interventi era l'incremento del numero dei laureati e la riduzione del fenomeno dei fuori corso, i dati non sono incoraggianti.
( Rapporto CNVSU 2009 ).

Eppure l'Italia ha un numero di studenti frequentanti l'università simile a quello di Francia, Germania e UK ( vedi i dati Eurostat 2008 ).

Il problema è che pochi di loro, e con ritardo, giungono alla laurea, come dimostrano i dati comparati.

Nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni solo il 18,9% risulta laureato contro una media UE del 29,9. La Francia è al 41,5, la Spagna al 38,9, la Germania al 22,6, la Spagna al 38,9. Peggio di noi fanno solo Turchia, Slovacchia, Romania e Repubblica ceca (dati eurostat 2007).


Le prospettive

Una considerazione a parte merita la condizione femminile: in media in europa le laureate (donne) superano i laureati (uomini) di oltre un terzo. L'Italia si colloca oltre la media dell'europa occidentale, in linea con i paesi dell'area mediterranea.
(Dati Eurostat).
Quindi donne più brave, ma poi l'impiego in posti adeguati non segue la stessa proporzione. Il sottoinquadramento femminile supera quello maschile
(Si veda a proposito del sottoinquadramento la tavola 8 a pag.14 del rapporto ISTAT su giovani e lavoro nel 2009).
L'Italia è in netta controtendenza rispetto all'Europa per il collocamento femminile; in aumento la disoccupazione anche per le neolaureate.
(Tavola ISTAT - andamento occupazione 2009)


La spesa

E' noto che in educazione e formazione spendiamo meno degli altri: il 4,3 del Pil rispetto al 5,59 della Francia, al 4,50 della Germania e al 5,39 del Regno Unito .
(Leggi i dati OECD.)

Per ogni studente universitario spendiamo 8.725, contro gli 11.568 della Francia, i 13.016 della Germania, i 15.447 del Regno Unito ( dati 2006 in dollari Usa ).

Per il personale di ruolo (docenti, ricercatori, tecnici amministrativi) la spesa annua è di 7.881.536 euro. ( Rapporto CNVSU 2009 )

In conclusione. L'Italia spende meno rispetto ad altri paesi europei, ma produce risultati molto inferiori. I dati confermano un gigantesco problema di efficienza del sistema. Ne consegue che limitarsi a reclamare carburante per una macchina destinata a sprecarlo, non ci sembra una grande idea.

Paolo Allegrezza - Paolo Emilio Cretoni

venerdì 21 gennaio 2011

Oltre Bertone

Segnaliamo l’appello di Noi Siamo Chiesa (peraltro riportato su Micromega OnLine) in cui si chiede – quale "atto di coraggio evangelico" - una chiara presa di distanza della gerarchia ecclesiastica da Berlusconi e dal suo governo, e si sollecitano associazioni e singoli ad "un’indignata reazione di fronte al degrado morale che è sotto gli occhi di tutti, e che umilia l’Italia".
Un gesto provocatorio da proporre in rete ai cattolici in questi giorni potrebbe essere quello di esporsi in prima persona al momento della "Preghiera dei fedeli" domenicale pronunciando una simile invocazione:

Preghiamo oggi per la Chiesa italiana affinché rinunci alla tentazione di stabilire alleanze di comodo coi rappresentanti del mondo politico e sappia prenderne le opportune distanze, tanto più quando essi agiscono in aperto contrasto con i valori di verità, giustizia e purezza di cuore che Cristo ha insegnato.

Chissà che non ci sia qualcuno pronto a farlo.

DaS

mercoledì 19 gennaio 2011

Numeri e anima: il mix che serve

Nel rapporto Istat "Noi Italia" alla voce istruzione c'è un dato che fa riflettere.
Il livello d'istruzione dei giovani in età compresa tra i 19 e i 34 anni è del 19%. Il Regno unito è al 41,1%, la Francia al 43,3%, la Germania al 29,4%. L'obiettivo fissato dalla Commissione europea per i prossimi dieci anni è del 40%.

Il tasso di abbandono nel biennio delle superiori calcolato sulla media nazionale è del 12, 1% al termine del primo anno e del 3,5% al termine del secondo. Spiccano (come potrebbe essere altrimenti ?) Campania (15,5%), Sicilia (14,7%), Sardegna (16,7%).

Si spiega così il dato monstre riguardante i Neet (Not in Education, Employment or Training), giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano: l'Italia batte tutti in Europa con il 19,2%, pari a più di due milioni di persone.

I riformisti, il PD, dovrebbero semplicemente indicare come cambiare tutto ciò.

Ma per vincere non basta. Occorre indicare una prospettiva, costruirvi un'identità affascinante e riconoscibile. In una parola servono i partiti (e la politica).
Leggi i dati istat

venerdì 14 gennaio 2011

PD: la comunicazione proprio non va

Che al PD serva una strategia comunicativa è cosa nota quanto difficile da affrontare. E' un problema di cultura di molti suoi dirigenti, formatisi sui modelli comunicativi del dibattito di partito in cui i tempi lunghi, le pause, i "ragionamendi" (come li chiamava De Mita), la facevano da padrone. ma la comunicazione da talk show risponde ad altre regole. Bisogna essere puntuali, sempre sul pezzo, capaci di ribattere nel merito, mai generici. Il contrario di quanto l'altra sera a Ballarò ha dato prova Anna Finocchiaro. Alla Gelmini si replica entrando nel merito, citando gli articoli della sua "riforma", le cifre della scuola italiana, le controproposte del PD. Non rimproverando al governo il mancato interesse per il futuro dei giovani.

Paradossalmente, risultano molto più adeguati i sindacalisti, come Landini e Chiarle due sere dopo a "Anno Zero" sul caso Fiat.

lunedì 10 gennaio 2011

Tea party e violenza verbale

L'avevamo detto tempo fa. Dietro i tea party non vi è un semplice movimento di rivalsa repubblicana simile all'effimera stagione di Newt Ginrich a metà anni '90. Dietro la protesta anti Obama riappare l'anima di un'America razzista e violenta. Adesso che hanno sparato alla deputata democratica Gabrielle Gifford ed ucciso 6 persone, forse è tutto più chiaro. Come in questo video che riprende le tradizionali paranoie delle teorie della cospirazione.

giovedì 6 gennaio 2011

Un nuovo Walter blairiano.Merita fiducia ?

Negli ultimi mesi Veltroni e la sua componente di minoranza nel PD hanno incalzato Bersani sul piano dell'innovazione programmatica. Le posizioni sulla vicenda Marchionne - Fiom e le proposte di Ichino sui temi del lavoro fanno ben sperare. Il problema è che Walter ha avuto più di un'occasione e più di una volta ha deluso. Che fare, dunque ? Dare fiducia a chi sembra avere finalmente scoperto il valore dell'innovazione politica anche in economia dopo anni di nuovismo vuoto ?

mercoledì 5 gennaio 2011

Ma ci si può alleare con Di Pietro ?

Qualche riflessione sparsa dopo la lettura della biografia di Di Pietro di Filippo Facci.

Appartamenti e macchine procurati da amici, prestiti restituiti dopo anni senza interessi, consulenze legali per la moglie, l'incredibile trattamento soft concesso a Pacini Battaglia in piena mani pulite. Tutta roba per la quale Di Pietro è stato assolto in sede di indagini preliminari a Brescia. No, ciò che colpisce è la serie di giravolte politiche di cui diamo qualche esempio.

Il voto a Forza Italia nel '94 e i successivi contatti con Berlusconi e Previti nella primavera del '94 per fare il ministro, utilizzando Antonio D'Adamo (quello dei prestiti, plurindagato) come suo intermediario. Un anno prima aveva pronunciato la famosa frase riportata da Borrelli, " Io quello lo sfascio", riferita a B.

L'avere dichiarato (primavera '96) di non voler fondare un partito e (elezioni '2008) di voler formare un gruppo parlamentare unico con il PD. Sappiamo come è andata a finire in entrambi i casi.

L'uomo d'ordine che nel '91, unico fra i magistrati milanesi rifiuta di aderire ad uno sciopero indetto dall'Anm, quindici anni dopo rimane folgorato dalle ragioni della Fiom.

L'ambientalista anti nuclearista e ambientalista di oggi che nel '96 si intestava la paternità del progetto Ponte sullo stretto. Si potrebbe continuare.

La domanda allora è: un compagno di strada del genere può essere accettato in nome della sconfitta di B.?

Segue un video di Alberico Giostra, autore de "Il tribuno", altro documentato libro su Di Pietro.

lunedì 3 gennaio 2011

Scuola. Numeri utili

I dati sull'inefficienza dell'università italiana, sintetizzabili nella formula costa molto - rende poco, sono confermati da quelli sulla scuola.

1) L'Italia produce poco diplomati. A fronte di una media Ocse di 66 diplomati su 100 individui compresi nella fascia 25 - 64 anni, da noi ne abbiamo 44. Venticinquesimi su trenta paesi.

2) Spendiamo il 4,9 % del Pil in educazione, un punto meno della media Ocse che è al 5,8%. Allora andiamo male perché spendiamo poco ? Non sembra. Il costo di un alunno è pari a 7.474 dollari equivalenti e supera quanto si spende in media negli altri paesi (6.081 dollari). Abbiamo 139 insegnanti per 1000 studenti, mentre la media Ocse è di 107.

3) Il problema è nella composizione e preparazione del corpo docente ? In larga parte sì. In Italia, la quasi totalità alla materna e all'elementare, tre quarti alla media e il 60 per cento al superiore è composto da donne. Nella scuola elementare nei paesi Ocse, i maestri maschi sono 20 su 100. Ma è sugli insegnanti "giovanissimi" (con meno di 30 anni) che si vede la differenza.

In Italia, per la struttura dei percorsi formativi dei docenti, i giovanissimi sono praticamente inesistenti al superiore. Nei paesi Ocse se ne contano il 13 per cento. Stessa cosa all'elementare: 1,8 contro 16 per cento.

4) I docenti sono pagati poco ? Su 32 paesi (compresi Usa e Australia) siamo al 21° posto. Al 22° e 23° posto ci sono Francia e Svezia. Però entrambe ci superano, rispettivamente di 7 e 10 punti, nel profitto degli studenti in matematica. I carichi di lavoro dei docenti sono, invece, nella media Ocse.

Che dire ? La scuola italiana è costosa e in quanto a produttività è messa male.

Ancora sicuri, a sinistra, che il problema sia l'attacco alla scuola pubblica ?

I dati sono tratti dal rapporto Ocse Education at glance (dati 2008) e dalle statistiche oecd - Education .

domenica 2 gennaio 2011

Numeri utili 2: Università

Sulla questione universitaria un post di Paolo Allegrezza e una riflessione di Antonio Saggio.

Alcuni dati utili ad inquadrare la questione universitaria. L'Italia investe in educazione terziaria (università, dottorati, master, ecc.) lo 0,7 % del Pil a fronte dell'1,1, di Inghilterra, Francia e dell'1% della Germania. Circa il 30% di meno. Tuttavia, il nostro paese non produce solo il 30% dei laureati in meno, ma il 50% (fonte, Luca Ricolfi, Illusioni italiche). Roberto Perotti nel libro del 2008, L'Università truccata, aveva già dimostrato come la spesa universitaria italiana per studenti frequentanti è una delle più alte al mondo. La conclusione è che l'Università italiana avrebbe bisogno prima di una seria riforma che elimini inefficienze e rendite (penalizzare le sedi peggiori per qualità della didattica e della ricerca), in un secondo tempo di un aumento dei finanziamenti.
p.a.

Leggo con interesse i numeri desolanti. E mi associo al commento. A volte viene un poco la disperazione. L'università italiana si è andata progressivamente distruggendo in un processo circa quarantennale. Ogni nuovo passo, apparentemente plausibile in sé, in mancanza di un insieme di coerenze è divenuto follemente peggiorativo! Ne enumero qualcuno:
- la liberalizzazione degli accessi anni 70, risultato grandi numeri ma niente personale né strutture qualificate.
- riforma universitaria anni 80, ope legis de facto per ex borsisti assunti sl 99% in ruolo intasando per due generazioni il reclutamento Contemporaneo svuotamento di significato del dottorato (non prevedendo alcun serio canale privilegiato nei concorsi e obbligando i giovani dottori ad accodarsi a tutti i ricercatori o associati promossi vin precedenza!).
- Anni novanta e Riforma Berlinguer. Disattesa ogni serietà al concetto di valutazione e a quello di economia, sostanziale scadimento della educazione universitaria con la norma dei concorsi locali con addirittura tre vincitori per posto. Questa regola, attraverso gli incroci baronali di favori tra sedi, ha creato facoltà universitarie che sono ricettacoli di famiglie locali con percentuali di omonimie di cognomi che superano il 50%.
La recente "riforma" ha alcune regole non errate per principio, ma inserite in un quadro già moribondo saranno sicuramente peggiorative! Per esempio, in tutto il mondo che conosco i trentenni hanno contratti privatistici per sei anni e solo dopo fanno i concorsi per essere di ruolo. Ma in Italia già adesso i ricercatori di ruolo in discipline competitive scappano, immaginate ora che non hanno neanche il ruolo e guadagnano 1500 euro quando all'estero il
Minimo è 3500! E' solo una delle osservazioni, lasciamo stare il taglio dei fondi, o l'ancora maggiore accentramento di
potere agli ordinari.
Purtroppo in un processo di decadenza di 40 anni, credo che sia proprio il principio della riforma democratica e "negoziata" che non funzioni più. Vorrei Napoleone che si riunisce tre giorni con gli esperti e ridisegni tutto daccapo! E poi con le guardie lo Imponga cominciando con togliere (come Napoleone fece!) tutte le cariche ai baronetti, rettori, presidi e direttori che sono quasi sempre i custodi di interessi di famiglia invece che di Stato!
E' una utopia certo, ma è difficilissimo dire qualcosa di vero se no. Saggio vuole che si
metta a tutela l'università, direte voi. Forse si, in ogni caso non vedo come le regole sin qui seguite dalla politica abbiano prodotto alcunché di positivo.
Naturalmente, in molti resistiamo con qualche dignità e forse anche utilità per i nostri allievi. Anche io cerco di farlo, cerco di non offendermi troppo per gli sgarbi personali e generali e cerco di lavorare con più serietà e più amore per questo lavoro che posso.

Antonino Saggio, professore associato Sapienza, U. Di Roma Architettura

Numeri Utili

I numeri si sa possono essere utilizzati in vari modi. Però ve ne sono alcuni che fanno pensare e dai quali, in specie a sinistra, non si può proprio prescindere.

Il tenore di vita degli italiani è più basso di quello dei principali paesi europei ?

Vero se per potere d'acquisto intendiamo la capacità di spesa pro capite. E' in effetti inferiore a Regno Unito, Germania, Francia e, prima della crisi, Spagna.

Ma se guardiamo al potere d'acquisto sulla quantità di ore lavorate scopriamo che solo la Francia ci precede e se poi consideriamo la quantità e la qualità del lavoro battiamo anche i cugini transalpini.

Fatto 100 il potere d'acquisto per ora lavorata "in astratto" (uguale dal punto di vista della qualità)la Germania è a quota 92,7, il Regno Unito a 93,5, la Spagna a 99,6, la Francia a 108,3, l'Italia a 111,6 (dati Ricolfi, "Illusioni italiche").

Che dire ? Gli italiani lavorano meno degli altri e meno bene. Il divario è evidente rispetto alla Germania nostro tradizionale competitor manifatturiero.

Ovviamente, le cause sono molteplici e qui entra in campo la politica. Ma solo dopo avere ben memorizzato queste cifre.

p.a.