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mercoledì 23 febbraio 2011

Libia: film già visto

La crisi libica ripropone il rapporto tra etica e politica internazionale. Non è difficile trovare nelle cronache di questi giorni commenti critici sulle frequentazioni pericolose dei governi occidentali, Gheddafi in primis. E’ opportuno ricordare i rapporti cordiali col colonnello intrattenuti da tutti i governi italiani, le partecipazioni in banche e industrie, le forniture di petrolio. Ma anche i nostri alleati atlantici non sono stati da meno. Come hanno dimostrato il recente ripristino di buone relazioni europee (nonostante i 270 morti di Lockerbie) e il disgelo con gli Usa dopo l’11 settembre (preceduto da garanzie libiche sulla rinuncia al possesso di armi di distruzione di massa).

Se si vuole andare oltre la pura denuncia, è però necessario prospettare una nuova politica che rappresenti un’alternativa praticabile al realismo delle cancellerie occidentali. Realismo che non è detto paghi. Perché se la tolleranza verso certi regimi risolve problemi nell’immediato, rischia di aprirne di più gravi quando le crisi scoppiano e si presentano come crisi di area. Ma come è possibile far prevalere il punto di vista umanitario, i diritti dei popoli sugli interessi a corto raggio dei governi?

Una soluzione è stata offerta in questi anni dalla politica blairiana della “comunità internazionale”. L’intervento in Kosovo del ’99, governo D’Alema, ne fu un efficace esempio di applicazione. Quella dottrina prevedeva l’uso della forza da parte della comunità internazionale in determinate circostanze riassunte in cinque punti: siamo certi sia il caso? Abbiamo esaurito tutte le risorse diplomatiche? L’opzione militare è attuabile? Siamo in grado di starci per un lungo periodo? Sono coinvolti interessi nazionali?

Si trattava di fermare in tempo possibili genocidi, grazie ad una diretta assunzione di responsabilità della comunità internazionale. La sciagurata impresa irachena ha gettato nel discredito la dottrina “della comunità internazionale”, assimilandola alle posizioni dei neocon e di George Bush. Ricordiamo che nel ’99, ai tempi dell’intervento in Kosovo, Blair rimproverava la ritrosia clintoniana nei riguardi dell’invio di forze di terra. Poi venne l’11/9 e cambiò tutto. Il primo ministro scelse di appiattirsi sulla teoria americana delle armi di distruzione di massa, dando la stura ad una gigantesca campagna di discredito delle ragioni della sua politica. Ed è in questo che risiede la principale responsabilità di Blair. Tuttavia, il problema da lui posto rimane aperto. In presenza di regimi disposti al genocidio come quello libico o quello sudanese, possiamo pensare di cavarcela solo con le denunce e gli appelli?

P.A.

venerdì 18 febbraio 2011

Ora di muoversi

Un appello di Massimo Teodori e Luigi Covatta
Appello - Per un’iniziativa di democrazia liberale e socialista
mercoledì 16 febbraio 2011

Mettere in cantiere un’iniziativa rivolta al disperso popolo liberale, repubblicano, socialista e radicale che ritiene necessario costituire una rete che superi i partiti-etichetta e le divisioni storiche del passato, divisione che oggi appaiono del tutto anacronistiche. Questo l’obbiettivo che si sono prefissati Massimo Teodori e Luigi Covatta con il documento che segue e attorno a cui stanno raccogliendo adesioni di personalità del mondo della cultura, dell’economia e della politica.

C’è un vuoto nella politica italiana. E’ l’assenza di una forza che professi idealmente e pratichi politicamente i valori della democrazia laica, liberale e socialista.
Questo vuoto condiziona l’intera politica. La crisi istituzionale e politica del nostro tempo deriva anche dall’assenza di forze autenticamente liberali e socialiste con radici nel passato e una visione del futuro.
Partiti di tradizione liberale e socialista sono stati spesso divisi nella storia d’Italia. In passato, in Italia come altrove, in un mondo fortemente diviso fra modelli statalisti e illiberali e modelli liberisti e inegualitari, socialisti e liberali stavano su opposte posizioni politiche. Ma oggi, dopo molti decenni di socialdemocrazia di successo e dopo la diffusione universale del liberalismo politico, e dopo il fallimento del mercatismo ideologico, appare sempre più chiaro che le radici diverse possono dar vita a un tronco comune. Di fronte al deserto ideale e politico, a destra come a sinistra, una prospettiva per le future generazioni può solo venire ispirandosi congiuntamente alla libertà ed alla giustizia sociale.
Il sistema politico pomposamente presentato come “seconda Repubblica” è evidentemente in crisi profonda. Pesa la rinuncia ad un’adeguata revisione della Costituzione perfino nelle parti che tutti dicevano di voler riformare. E pesa ancora di più la reiterata manipolazione delle leggi elettorali, pensate per favorire i notabili nelle periferie e le oligarchie al centro.
Con l’attuale sistema elettorale, in cui l’elezione popolare viene sostituita dalla nomina dall’alto, si perpetuano le oligarchie dei due protagonisti del “bipartitismo imperfetto”, e resta esclusa quella “terza forza” che nella storia della Repubblica ha avuto un ruolo decisivo nel promuovere lo sviluppo e la modernizzazione del paese.
E’ probabile che nel prossimo futuro, come accadde nel 1994, l’Italia uscirà dalla crisi con un radicale riassetto delle forze e degli schieramenti politici di cui peraltro oggi è difficile prevedere, nel bene e nel male, i tratti distintivi.
Noi respingiamo una politica fondata esclusivamente sul berlusconismo e l’antiberlusconismo, così come riteniamo deleterio ogni massimalismo, giacobinismo e populismo, sia che venga da destra che da sinistra.
Con qualsiasi futuro sistema politico - bipolare, tripolare o altro – è necessaria - noi diciamo indispensabile - una forza che esprima in Italia la tradizione e le soluzioni riformiste della moderna democrazia liberale e socialista, presenti ovunque in Europa meno che nel nostro paese.
La nostra visione del futuro si base su alcune idee-forza che non possono contraddirsi reciprocamente, ma che devono dar luogo a una sintesi dinamica: uguaglianza dei punti di partenza, diritti individuali, merito, competizione, efficienza economica, welfare senza assistenzialismo, buongoverno e buona amministrazione al servizio dei cittadini, giustizia non giacobina, autentica laicità, istituzioni forti e controlli efficienti.

giovedì 10 febbraio 2011

Alternative editoriali

Vogliamo segnalare un nuovo sistema di produzione di libri, documentari, film offerto dalla rete. (Produzioni dal basso.) consente di finanziare un progetto pre acquistandone una copia. Considerando le maglie sempre più ristrette dell'attuale mercato editoriale, per non parlare dell'audiovisivo, si tratta di una possibilità tutta da esplorare. L'individuazione di nuovi strumenti costituisce un passo necessario per chi, come noi, vuole operare fuori dai consolidati meccanismi clientelari e corporativi tanto cari al nostro paese.

venerdì 4 febbraio 2011

Simulazioni di patrimoniale

Torniamo sulla proposta di Veltroni e altri. Con qualche dato in più.

Perché una patrimoniale ?
ll debito pubblico italiano ha raggiunto una cifra ormai prossima ai 2 milioni di miliardi di euro (ad ottobre 2010 ammontanava, secondo un dato Banca d'Italia a 1.867,384 miliardi). Ci costa circa 75 miliardi annui di soli interessi. E' stato prodotto, come noto, negli anni '80 e costituisce una delle cause della caduta della prima repubblica. Nel link l'escalation del debito pubblico italiano. (Leggi i dati)

E' evidente che un paese con un simile fardello non solo non può crescere, ma è destinato ad un rapido declino. Che fare allora ?

La patrimoniale
La patrimoniale è uno dei pochi temi che mettono d'accordo parti dei diversi poli: Tremonti ne è un sostenitore, come Veltroni e Giuliano Amato. Ma la si può attuare in diversi modi e qui entrano in scena i numeri, come ha osservato Ricolfi in un'intervista al Riformista dell'1 febbraio. (Leggi l'intervista a Ricolfi)

In Italia circa il 50% della ricchezza è detenuto da 2,5 milioni di famiglie, il "decimo" più fortunato degli italiani. Se a costoro fosse applicata una patrimoniale di 100.000 euro lo stato incasserebbe 250 miliardi. Per arrivare ad un dimezzamento del debito (la soglia in grado di produrre benefici apprezzabili) ne mancherebbero altri 650.
Chi li sborsa ? Inevitabile fare entrare in gioco le restanti 16,5 milioni di famiglie unite solo dal fatto di essere proprietarie di case. In media, ognuna di loro dovrebbe pagare 40.000 euro. Posto che le aliquote fossero calibrate sui livelli di reddito e si provvedesse ad una rateizzazione, si tratterebbe in ogni caso di un salasso difficile da far passare per qualsiasi governo. Un'altra proposta, di segno più minimalista, è stata formulata da Giuliano Amato sul Corriere della sera del 22 dicembre 2010. L'obiettivo dichiarato è di portare il debito sotto la soglia di rischio dell'80% del Pil: ponendo la riduzione a carico di un terzo degli italiani, si arriverebbe, nella simulazione di Amato, a 30.000 euro ad italiano da rateizzare in due anni. Fantascienza ? Sì, se si interpreta la rimozione del tema da parte delle forze politiche. No, se si guarda agli effetti devastanti prodotti dalla montagna del debito pubblico italiano.

Scenari
Il punto è che si tratta di una medicina difficilmente eludibile. Ma l'unica condizione che la può rendere praticabile è la garanzia della estirpazione del meccanismo che fin qui ha prodotto il debito. Interventi draconiani sulla spesa pubblica, ma non solo. Miglioramento della competitività per attirare investimenti esteri (oggi al minimo in Europa, davanti alla sola Grecia), lotta all'evasione e alla criminalità, responsabilizzazione degli enti territoriali. Insomma, un'altra Italia, difficile da immaginare. Per fare tutto ciò non è sufficiente un governo di maggioranza partorito nell'ambito del bipolarismo. Serve una grande coalizione, la sola a potere gestire un periodo, lungo temiamo, di lacrime e sangue. E allora potremo dire di avere archiviato il berlusconismo.

mercoledì 2 febbraio 2011

A Napoli serve chiarezza

Avevamo detto che a Napoli il PD si gioca o forse si è giocato tutto. Se Bersani non ha il coraggio di denunciare le irregolarità emerse nel voto a Cozzolino in alcuni seggi (Miano, in primis) tradisce i suoi elettori. Se il gruppo dirigente di un partito della sinistra non riesce a far chiarezza su una questione di questa gravità ha praticamente già abdicato al proprio ruolo. Paradossalmente, mentre si teme di abbandonare il legame con il partito di Di Pietro per paura di perdere l'elettorato giustizialista, sulla vicenda napoletana si cincischia. A ciò si è aggiunto l'errore dell'invio del commissario politico da Roma, come nelle peggiori tradizioni. Non c'è alternativa ad un rapido pronunciamento della commissione di garanzia e se, come appare sempre più probabile, si dovesse accertare l' "opacità" del consenso a Cozzolino procedere alla proclamazione di Ranieri. Qualora ciò non accada, l'unica strada, a nostro parere è la nascita di una lista riformista. A Napoli e in tutte le realtà nelle quali il PD non si dimostri all'altezza del suo ruolo.