azine Materiali Magazine Materiali Magazine Materiali Magazine Materiali Mag

lunedì 30 agosto 2010

Le riforme scendono sulla terra ?

Vuoi vedere che parlare di riforma elettorale non è esercizio per iniziati? Una conferma giunge da quanto sta finalmente avvenendo nel Pd dopo la lettera di Bersani a Repubbica. La proposta dell’alleanza costituzionale ha un senso se è tenuta insieme da un’idea comune sul post-Porcellum. E se si aggiunge che l’argomento che può unire, seppure a tempo, centristi vari, Casini, il Pd-Ulivo è il modello tedesco, le conclusioni sono presto tratte.

E a trarle ci hanno pensato anche gli ulivisti – veltroniani – ex referendari del Pd che hanno dato vita ad un gruppo trasversale pro uninominale maggioritario(www.uninominale.it). Bene hanno fatto, così come bene faranno i sostenitori del modello tedesco ad uscire allo scoperto e condurre una limpida battaglia politica. Poiché non si parla di quisquiglie, ma della qualità della nostra democrazia, sul tema non sono possibili furbate o posizionamenti tattici. Si vuole il modello neo parlamentare in vigore in Germania, compreso l’assetto federale, o si preferiscono le soluzioni Westminster, francese o presidenzialista all’americana connesse all’uninominale maggioritario? Chiarendo che la prima non produce affatto bipartitismo, la seconda unita al doppio turno non la vuole quasi nessuno e la terza è applicata con successo solo negli Usa.

Chi scrive sostiene la bontà del sistema elettorale tedesco cui andrebbe accompagnato, tuttavia, il tema del superamento del bicameralismo. Anche qui, un argomento che può scendere dall’empireo dell’ingegneria costituzionale e divenire popolare. Passando dall’attuale Senato al Bundesrat, al posto dei senatori eletti avremo i rappresentanti dei governi regionali. A parte le ovvie ragioni di coerenza palesate da quel sistema, non sarebbe un buon modo per ridurre l’acqua in cui nuota il pesce populista?

E ancora, a proposito di scelte ormai non rinviabili per il Pd: perché non cogliere come una sfida il discorso di Marchionne al meeting di Cl? La rappresentazione di uno scontro padroni-operai simil novecentesco non regge. Il sistema di contrattazione è vecchio e va riformato, così come non può essere trascurato l’effetto devastante per la Fiat, assai diverso rispetto al passato, di una conflittualità permanente. Né è pensabile che i lavoratori non raccolgano i loro frutti dagli eventuali successi aziendali, anche in termini di partecipazione al capitale. La sfida per il Pd è tenere insieme riformismo istituzionale e sociale. Dopo tanto tempo, il suo segretario, grazie al nuovo Ulivo e all’alleanza costituzionale, ha presentato un percorso convincente. Nonostante gli urli del demagogo di turno che questa volta ha assunto il volto del sindaco di Firenze.

Ora si tratta di dare continuità alla proposta riformista, a tutto campo. Senza timidezze. Un impulso può scaturire anche dal prossimo arrivo al vertice della Cgil di Susanna Camusso, una dirigente che può contribuire a segnare un solco rispetto al sindacalismo conservatore targato Fiom.

p.a.

mercoledì 25 agosto 2010

Identikit riformisti: don Farinella

In tema di “identikit riformisti”, segnaliamo la figura di Don Paolo Farinella, sacerdote e biblista della diocesi di Genova, che più volte e su diversi temi si è espresso dal pulpito di riviste autorevoli (si veda il suo appello pubblicato su MicroMega il 23.marzo 2009 in materia di fine-vita che lo ha portato ad essere inquisito dalla Congregazione della fede per presunta “eterodossia”) o da blog, come quello di Beppe Grillo.
Proponiamo qui un suo intervento che, sebbene apparso ormai sei anni or sono (n. 54 di Adista Documenti – 17.7.2004) resta purtroppo ancora attuale nella rappresentazione efficace delle “nuove cinque piaghe” che affliggono la Chiesa odierna, a cominciare dalla crisi delle parrocchie, entità sempre più simili a agenzie dispensatrici di sacramenti e sempre meno capaci di essere luogo di autentica comunione e incisiva testimonianza evangelica.
Tra i rimedi da adottare per una possibile “riforma”, Farinella indica - fra l’altro - l’urgenza di liberare sacerdoti e vescovi dalle pastoie del presenzialismo e della burocrazia, tagliando “… molti impegni e attività non indispensabili per dedicarsi allo ‘stare insieme’, privilegiando i poveri in maniera permanente e non sporadica”.
Invoca inoltre un maggior ruolo da riconoscere ai laici nella parrocchia, spesso ridotti a elementi puramente “consultivi”.
A distanza di sei anni non sembra ancora di cogliere alcuna significativa inversione di tendenza…
(das)

N.B. - L'intervento di don Farinella è il terzo nel documento allegato:
LE NUOVE "CINQUE PIAGHE" DELLA PARROCCHIA/CHIESA

Pillole su Pomigliano e dintorni

Tutte le critiche alle imprese che delocalizzano sono sensate, ma tant'è. Il costo della manodopera è il problema principale, sopratutto perchè, come sappiamo, ogni addetto guadagna 100 e costa 200.
Va preso in esame anche il fatto che gli "occupati" sono oggo un polo di conservazione, non a caso molti operai del nord vanno con la lega, la classica forza populista.
Fare una politica di inclusione alla scala necessaria, quella globale, non è semplice. A me sembra che lo stiano facendo di più i cattolici che le varie sinistre.

F.P.

lunedì 23 agosto 2010

Intervista ad Antonino Saggio.Quale architettura per Roma ?

La proposta di Urban Voids, il centro storico, gli interventi possibili nei quartieri edificati negli anni '70. Una chiacchierata a 360° sulle possibilità di una nuova stagione dell'architettura a Roma. Aspettando la sinistra.

mercoledì 18 agosto 2010

Identikit riformisti

La possibile candidatura di Umberto Ranieri a sindaco di Napoli, alla guida di una alleanza larga di centro – sinistra, è una buona notizia. Ranieri incarna una lunga storia riformista nella componente migliorista del Pci, a fianco di Napolitano, Macaluso, Chiaromonte. Un drappello di dirigenti che negli anni della grande slavina di tangentopoli hanno tenuto aperto il dialogo con il mondo socialista, contrastando le derive populiste e lavorando per una ricomposizione unitaria del riformismo italiano. Ranieri lo ha fatto credendo nella scommessa del partito democratico. In tempi di bassolinismo trionfante, fu tra i pochi ad opporsi denunciando i limiti di quell'esperienza di governo, nonostante la rappresentazione che ne veniva data. La Nuova alleanza per Napoli, il cartello a sostegno della candidatura, ne sosterrebbe la candidatura alle primarie di coalizione che, dopo il passo indietro di De Magistris, sarebbero in discesa. Di là della vicenda napoletana e dei suoi esiti, ci interessa sottolineare come la partita per le prossime amministrative si possa giocare per il PD sul terreno di una solida proposta di governo, più che su quello identitario. Il contrario di ciò che è accaduto alle recenti regionali con candidature di forte impatto simbolico, come quella di Emma Bonino. L'errore non era nella qualità del candidato, quanto nell'improvvisazione del progetto di governo e nel suo scarso radicamento. Un problema, quello del radicamento, che ha radici antiche. Esemplari, da questo punto di vista, i flop in termini di voti di alcuni assessori uscenti dell'ex giunta Marrazzo. Una forte identità politica, candidati legati al territorio, un programma fornito di pochi, chiari punti possono rappresentare, in molte realtà locali, la carta vincente assegnando al PD quel ruolo di polo di attrazione dei riformisti per il quale è nato. Candidature che riescano ad invertire il processo di disgregazione del blocco sociale e dirigente di centro – sinistra che in Campania è risultato decisivo nella vittoria di Caldoro.
Nel caso romano, un'operazione del genere potrebbe avere il volto di Nicola Zingaretti, candidato in pectore per il Campidoglio. A patto, tuttavia, che si allontani dalle vaghezze tipiche del birignao veltroniano e sappia sostenere posizioni non gradite alle solite lobbies capitoline (mattone, commercio, tassisti). Anche a costo di mettere a rischio alleanze vantaggiose (Casini e terzopolisti vari). Le occasioni non mancheranno. Dalla liberalizzazione dei servizi pubblici locali prevista dal decreto Ronchi (acqua, trasporti, rifiuti), alla mobilità, alla rivoluzione amministrativa nel senso del decentramento conseguente alla nascita della Provincia metropolitana, all'avvio di progetti di green economy già attuati in tante città europee. Esiste un'ampia documentazione su queste esperienze, è auspicabile che divengano un tema delle prossime campagne elettorali comunali. Ma per farlo occorre costruire con pazienza le candidature allargando il più possibile la coalizione e radicare la proposta politico – amministrativa che ne è espressione. Ricominciare dalla vecchia, cara politica senza inseguire colpi ad effetto. Ranieri a Napoli, la prossima primavera, può aprire la strada.
p.a.

sabato 14 agosto 2010

Maestri del '900: Aldo Capitini

Paolo Allegrezza e Antonino Saggio parlano dell'ultimo numero di "Diritto e Libertà", rivista di politica transnazionale ed iniziativa radicale diretta da Mariano Giustino, dedicato ad Aldo Capitini.

sabato 7 agosto 2010

Politica e identità

Un nuovo capitolo della riflessione di Franco Paolinelli per un nuovo ethos della sinistra.


Fino agli ultimi anni del millennio scorso il voto politico ed ancor più l’adesione ad un’area e ad un partito erano tra i principali elementi che contribuivano alla definizione del progetto d’identità sociale e culturale dell’individuo che le esprimeva.
Oggi non è più così, ma ciò non vuol dire che quest’esigenza non esista. C’è, ma non trova nella politica una sua possibile espressione.

La fase di trasformazione globale in atto, come già espresso in altri testi (vedi 4/2008) rende difficile la formulazione di un progetto sociale e di una proposta di guida responsabile. Quanto detto vale per ogni polo politico, ma in misura maggiore per il polo solidale e progressista.
Tutti, infatti, per ora, inseguono il proprio elettorato di riferimento potenziale nella difesa dei propri interessi, cercano di difendere le posizioni delle cordate e dei clan e non propongono formule d’identità.

In particolare, il Partito Democratico, risultato della crasi impossibile tra i due poli diversi della solidarietà, quella progressista da un lato e quella conservatrice dall’altra, tra due formule etologiche diverse, è fermo sulla difesa delle sue trincee regionali, sindacali, di cordata e per questo stesso fatto perde terreno. Certamente non dà proposte d’identità.

Anche le forze ambientaliste, quelle che dovrebbero esprimere la consapevolezza dell’interdipendenza alla scala più vasta, quelle che hanno vestito l’abito della responsabilità solidale più ampia possibile.
Oggi sono, per lo più, ridotte a cordate per il mercatino delle cariche e delle consulenze nei parchi. E con ciò hanno ridotto la poetica dell’ambientalismo “puro” al ridicolo.

Com’è evidente dalla vicende politiche più recenti, le stesse posizioni di responsabilità, possibili e necessarie anche nei poli della conservazione e dell’espansione imprenditoriale, siano esse la dignità delle Istituzioni, o la carica positiva della libertà d’impresa, hanno difficoltà ad esprimersi.
Sono, infatti, sommerse, ancor più di quelle degli altri poli, dall’egoismo della paura, come anche dalla protervia e cecità degli interessi, delle clientele, delle mafie, in ogni loro diversa espressione, privata e pubblica.

L’offerta di ruoli, di possibilità d’impegno e di simboli per poter vestire elementi d’identità responsabile è, quindi, molto scarsa. Ma la domanda c’è, esprime infatti un bisogno etologico profondo e quindi, fisiologico.

Nella propria particolare formula sociale, nell’attuale grigiore, inizia, o si rende più visibile di prima, l’offerta d’identità data dalla dignità della solidarietà cattolica.
Il “terzo polo” in corso d’identificazione, creatosi da scissioni di ambedue le cordate, potrebbe accorgersi di questa proposta, già presente nella società italiana e su questa ricostruire la formula di pace sociale e governo possibile che fu della migliore Democrazia Cristiana.

A questo processo, che potrebbe sottrarre al PD buona parte del mondo cattolico, l’unica risposta, a mio avviso, è ridefinire e ricostruire l’identità della sinistra progressista.
La strada è lunga e difficile, poiché non è così semplice dire quale sia il progresso, ma, se ci si ragiona un po’, si capisce che è l’unica percorribile e prima o dopo verrà percorsa. La sinistra, infatti, non può, per definizione, diventare destra. Peraltro, la destra sa fare la destra meglio della sinistra.

Se le strutture, le reti, le organizzazioni esistenti che si richiamano a parole alla sinistra non avvieranno questo processo e continueranno solo a difendere le barricate di potere e a denigrare gli altri poli, saranno altre organizzazioni a svilupparsi, a definire la sinistra nel mondo globale attuale ed ad offrire la possibilità di vestirne i panni.

Come già detto (4-2008) definire oggi un’etologia progressista e solidale non è affatto semplice. Infatti, nella crescita della comunità globale si vedono, per ora, i rischi della catastrofe e non si vedono ancora i bagliori della speranza.
Ma, tanto più difficile è il compito, tanto più emozionante può essere la sfida. La consapevolezza e la conoscenza delle dinamiche sono, in ogni caso, il primo passo
F.P.

giovedì 5 agosto 2010

A Bersani serve il tedesco

Manca un passaggio alla proposta delle larghe intese sostenuta da Bersani. Si chiama sistema elettorale tedesco. Solo con la scelta per il proporzionale con sbarramento, l'appoggio ad un governo nato per superare il porcellum e condurre in porto il federalismo, può avere un senso. Nel momento in cui votasse la fiducia ad un governo Tremonti con la Lega, il Pd si dividerebbe. Prevedibili le uscite sia verso Vendola, sia verso Di Pietro. L'unico modo per renderle indolori è l'approvazione di una legge elettorale che consenta l'alleanza con il terzo polo centrista, senza pagare eccessivo dazio alle urne. A quel punto il Pd sarebbe finalmente libero di fare campagna elettorale contro Di Pietro e il suo giustizialismo, additandolo come il residuo di un'epoca ormai chiusa. Riguardo a Vendola, non gli resterebbe che misurarsi con il superamento dello sbarramento al 5% alla testa di una coalizione rosso - verde. Il suo appeal ne uscirebbe assai ridimensionato. La partita si giocherebbe tra una coalizione di destra berlusconian - leghista ed una di centro - sinistra guidata da Pd e terzisti. A quel punto avremmo un Pd, forse sconfitto, ma finalmente acquisito al campo riformista, in quanto si sarebbe esplicitamente contrapposto tanto all'antipolitica dipietrista, quanto al conservatorismo vendoliano. Della partita nel campo Pd dovrebbero essere anche radicali e socialisti, impossibilitati a superare lo sbarramento. La loro accoglienza nelle liste costituirebbe a quel punto la premessa della loro entrata nel Pd, con auspicabile superamento del binomio culturale catto – comunista. L'unica cosa che non si può fare in questo schema è offrire la leadership a Casini, come sostenuto improvvidamente da Livia Turco. Si accrediterebbe l'idea del lasciapassare centrista per un Pd che a quel punto potrebbe proporre, a norma di statuto e di buon senso politico, solo il suo segretario per Palazzo Chigi.

p.a.

lunedì 2 agosto 2010

Canale Mussolini: Il fascismo dal di dentro, ma non è un epos.

Canale Mussolini, il romanzo di Antonio Pennacchi vincitore del premio Strega, è un libro che affonda le radici nella storia italiana. Racconta la vicenda di una famiglia di coloni padani dall’inizio del secolo al secondo dopoguerra e della loro granitica, irriducibile adesione al fascismo. E’ questo il punto forte della narrazione. La descrizione dal di dentro di come il fascismo fosse compenetrato alla dimensione materiale della piccola borghesia padana (i Peruzzi sono mezzadri). Secondo Pennacchi i Peruzzi, combattenti tra gli arditi nella prima guerra mondiale e successivamente vittime dei patti “vessatori” imposti dalle leghe agrarie socialiste ai mezzadri, non potevano non dirsi fascisti. Un’adesione istintiva, come quella di tanti italiani, che gli permise di trovare nel regime la risposta semplificante e comoda ad una realtà che ai loro occhi si andava ingarbugliando troppo.

Di qui l’incondizionata fiducia dei Peruzzi nel Duce e nel loro mentore e conterraneo, Edmondo Rossoni. Il gerarca ferrarese dà loro la terra e gli offre l’opportunità di emigrare nell’Agro pontino, appena bonificato. Come novelli puritani chiamati a colonizzare territori selvaggi, i contadini venuti dal nord ingaggiano una dura competizione contro “i marocchini”, gli autoctoni ostili, oppressi quanto e più di loro da una fame secolare.

Ma dovranno lottare anche contro la malaria, le alluvioni, gli investimenti sbagliati, le storture della burocrazia di regime. Il punto è che i Peruzzi sono fascisti in carne ed ossa e persino simpatici, con i quali è impossibile non solidarizzare. Il fascista che non ti aspetti. Viene in mente, come loro opposto, il personaggio dello squadrista rampante impersonato da Donald Sutherland in Novecento di Bertolucci, un piccolo borghese perverso e disumanizzato che è facile odiare.

Anche Pericle Peruzzi, il giovane maschio capobranco, durante una spedizione punitiva uccide un prete in quel di Comacchio. Ma lo fa senza pensarci troppo, rispondendo a quella legge della violenza che regola i rapporti umani di cui lui per primo è vittima. Quell’atto non avrà grandi conseguenze, Pericle continuerà ad essere convintamente fascista ed, anzi, ad ottenere per quei suoi antichi servigi un trattamento di favore per sé e la sua famiglia quando si dovranno assegnare le terre in Agro pontino.

E’ qui che il romanzo si dimostra in grado di raccontare una sua “verità” che fa della storia dei Peruzzi la storia di un clan abbarbicato nella difesa del suo interesse. Il contrario di una dimensione epica. In fondo, i Peruzzi sono ben calati nei secoli di storia italiana con i
loro pregi e non pochi difetti. E in loro non difetta certo l’opportunismo.

Appaiono più vicini agli italiani descritti in film come La grande guerra o Tutti a casa, piuttosto che all’epos, quello sì, di Roma città aperta o de La terra trema, con quella forte scommessa sul ‘noi’. Il che nulla toglie al romanzo di Pennacchi che può essere letto come
un capitolo di storia degli italiani dal punto di vista di chi (almeno politicamente) ha perso.
paolo allegrezza