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venerdì 28 giugno 2013

El especialista del Barcelona

El Especialista de Barcelona è il miglior romanzo italiano degli ultimi dieci anni, scritto dal migliore scrittore italiano vivente. Aldo Busi compie un'operazione semplice nella quale risiede il cui prodest stesso della scrittura. Inventare un linguaggio e grazie a quello, come diceva sanguineti, "letteraturizzare" il mondo. Creare dei dispositivi ambigui, degli enigmi, delle allegorie che lo testualizzi. Compito del lettore critico è non soltanto di svelare l'indovinello, ma di capirne le ragioni, ricostruirne i perchè, valutare l'idelogia letterarie e politica naturalmente) che vi presiede. Nel dialogo dello Scrittore con una foglia la trama scompare, così come scompaiono i ben ventiquattro personaggi intorno cui si avvolge. Contano le digressioni, le invettive, i ragionamenti sul desolato presente che circonda lo Scrittore. Nessuna scrittura contemporanea riesce a rappresentare l'osceno con tanta violenza e leggerezza. L'ipotassi ampia, sinfonica, non estranea alla tradizione, ampiamente frequentata da A.B., si sviluppa su un tono colloquiale, volutamente basso, grottesco, sbracato. Il precedente è nell'Arbasino dell' "Anonimo" e di "Fratelli d'italia", seppure meno composito, meno incline alle citazioni e agli elenchi. I risultato è una lingua non meno potente che assegna allo Scrittore il compito di fornire non tanto il piacere del testo, che pure c'è, quanto i veleni del testo (altra citazione sanguinetiana). Il che vuol dire spingere il lettore verso i sentieri della demistificazione, del rifiuto delle identità fisse, dello straniamento. Il contrario dell'immedesimazione e del coinvolgimento emotivo. Busi riesce a tenere la temperatura della scrittura sempre molto bassa, il che non gli impedisce di provocare incendi e attentare all'odine costituito. L'unica possibilità che lo Scrittore sembra concedere è l'dentificazione nell'orgia liberatoria e sovversiva cui si abbandonano i campesinos messicani nelle spelendide pagine finali del romanzo.

giovedì 13 giugno 2013

"La grande bellezza" di Sorrentino

"La grande bellezza" è un grande film. E lo è perché Sorrentino si pone (e risolve brillantemente) un problema fondamentale: come raccontare la realtà senza che l'autore vi si sovrapponga oppure scompaia in una falsa pretesa oggettività ? Il che equivale a fare del proprio lavoro un lavoro, innanzitutto, di linguaggio. E' il primo passo per evitare il ricorso a moduli narrativi scontati, conseguenza della voglia di mettere ordine, di interpretare, ridurre a moduli ideologici consolidati. Sorrentino ha scelto di rinunciare alla narrazione tradizionale, smontando il meccanismo rassicurante della trama (questa l'eredità felliniana più profonda), per inserire il protagonista e la folla che lo circonda nello spazio de umanizzato di Roma. Il racconto procede per giustapposizione di quadri, come nel mnuovo romanzo del '900 (l'omaggio iniziale a Céline può essere letto anche come allusione al rifiuto del realismo), accumulando suoni, volti, maschere, case prima e dopo le solitarie passeggiate del protagonista. I personaggi non hanno profondità psicologica, non evolvono secondo una pretesa verità dell'autore. Che lavora sui movimenti vorticosi della macchina da presa e sul suono, spesso eccessivo, sgradevole. La parola ha poco spazio, anche Servillo vi si affida con cautela cedendo alla tentazione solo nel fulminante monologo sulla terrazza. Prevale, invece, il suo sguardo scettico che nel corso del film si trasforma in maschera di dolore. Non è né un film su Roma, né sulla crisi italiana che, non a caso, non viene degnata di facili allusioni. Qui si misura la distanza di Sorrentino da banali rappresentazioni mimetiche, come quella del "Caimano" di Moretti. Non c'è nessuna denuncia, nessun senso comune da affermare. L'unica alternativa all'autodistruzione, questo è il tema di fondo del film, è scendere dalla giostra, recuperare consapevolezza. La ripresa di un dialogo con se stessi e il mondo (le radici richiamate dal personaggio di Verdone) che inizi a contrastare il rumore. E allora, come farà Servillo - Jep, forse si tornerà a riveder le stelle. E a scrivere romanzi.

mercoledì 5 giugno 2013

50 anni dal Gruppo '63. L'avanguardia è ancora possibile ?

A cinquant'anni ormai dalla sua data di fondazione, il "Gruppo'63" continua a suscitare grandi discussioni sia per le sue teorie che per le sue proposte operative. Così che le istanze di quel Gruppo continuano a essere pressanti e urgenti ancora nella situazione attuale per chi non si accontenti della riduzione della letteratura a fiction e vada alla ricerca di scritture che "facciano pensare", alimentando l'intelligenza e allenandola per essere pronta alle sfide del futuro. 
Ma oggi è ancora possibile l'avanguardia in letteratura ? E' ancora possibile pensare a scritture non riconciliate al dominio del consumo e dell'intrattenimento ? E' possibile pensare di tornare  a cannoneggiare il quartiere generale come cinquant'anni fa ? Sì, se pensiamo all'avanguardia non come movimento storico ma ad una pratica inesauribile della produzione artistica. E allora si tratta solo di trovare i modi e mezzi perché la vecchia talpa della letteratura di ricerca torni a scavare. Magari trovando, oggi come allora, i vari Bassani, Cassola, Moravia da sbeffeggiare.