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giovedì 13 giugno 2013

"La grande bellezza" di Sorrentino

"La grande bellezza" è un grande film. E lo è perché Sorrentino si pone (e risolve brillantemente) un problema fondamentale: come raccontare la realtà senza che l'autore vi si sovrapponga oppure scompaia in una falsa pretesa oggettività ? Il che equivale a fare del proprio lavoro un lavoro, innanzitutto, di linguaggio. E' il primo passo per evitare il ricorso a moduli narrativi scontati, conseguenza della voglia di mettere ordine, di interpretare, ridurre a moduli ideologici consolidati. Sorrentino ha scelto di rinunciare alla narrazione tradizionale, smontando il meccanismo rassicurante della trama (questa l'eredità felliniana più profonda), per inserire il protagonista e la folla che lo circonda nello spazio de umanizzato di Roma. Il racconto procede per giustapposizione di quadri, come nel mnuovo romanzo del '900 (l'omaggio iniziale a Céline può essere letto anche come allusione al rifiuto del realismo), accumulando suoni, volti, maschere, case prima e dopo le solitarie passeggiate del protagonista. I personaggi non hanno profondità psicologica, non evolvono secondo una pretesa verità dell'autore. Che lavora sui movimenti vorticosi della macchina da presa e sul suono, spesso eccessivo, sgradevole. La parola ha poco spazio, anche Servillo vi si affida con cautela cedendo alla tentazione solo nel fulminante monologo sulla terrazza. Prevale, invece, il suo sguardo scettico che nel corso del film si trasforma in maschera di dolore. Non è né un film su Roma, né sulla crisi italiana che, non a caso, non viene degnata di facili allusioni. Qui si misura la distanza di Sorrentino da banali rappresentazioni mimetiche, come quella del "Caimano" di Moretti. Non c'è nessuna denuncia, nessun senso comune da affermare. L'unica alternativa all'autodistruzione, questo è il tema di fondo del film, è scendere dalla giostra, recuperare consapevolezza. La ripresa di un dialogo con se stessi e il mondo (le radici richiamate dal personaggio di Verdone) che inizi a contrastare il rumore. E allora, come farà Servillo - Jep, forse si tornerà a riveder le stelle. E a scrivere romanzi.