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lunedì 6 ottobre 2014

"Innamorarsi a Buenos Aires", film deleuziano

Un film deleuziano. Che celebra la vita e le sue possibilità raccontando il dolore dei corpi immersi nel labirinto dell'infosfera. Raccontare il vuoto partendo dal pieno troppo pieno degli edifici improbabili che affollano il paesaggio di Buenos Aires. Ma potrebbe trattarsi di qualsiasi altra metropoli globale. La successione mefitica di cemento, di una disarmonia volgare che fa male  narcotizza la brutta vita di questi tempi connessi. La macchina informatica, prodiga di gratificazioni a buon mercato, ha assorbito in toto i due giovani protagonisti, trentenni abitanti sullo stesso pianerottolo ma destinati ad incontrarsi solo nell'ultima scena del film. Il desiderio non fuoriesce dai due miniappartamenti, destinato ad essere sublimato in chat o videogiochi. Ma c'è una via di fuga. La possibilità di evadere dal palazzo del mago Atlante, dove il desiderio è un simulacro immutabile, per entrare nella vita, nella connessione dei corpi, nel loro calore. E in questo risvolto deleuziano, chissà quanto inconsapevole, la salvezza dei personaggi. Lei esce di casa attirata dal colore della maglia di lui che ha visto dall'alto della sua finestra. Lo raggiunge, sfugge alla nevrosi incombente e si apre al piacere della relazione. E il video finale su you tube dei due che ballano felici non è che il trionfo della macchina possibile. Vitalizzata da una nuova soggettività attiva, nomade, non rassegnata.

Medianeras - Innamorarsi a Buenos Aires - recensione - Cinema