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lunedì 17 settembre 2012

Matteo Renzi: il volto e la maschera

Tra gli attori entrati a pieno titolo nella scena politica nazionale vi è sicuramente Matteo Renzi. Un giovane. Con tanti meriti, diverse qualità politiche e un bel po’ di furbizia a dargli man forte. Una furbizia, però, che appartiene più ai vecchi metodi del sistema partitocratico che a quel nuovo Umanesimo liberale di cui avremmo bisogno. La furbizia non è una virtù, anche se in nel mondo guasto di oggi, soprattutto negli ultimi anni, pare si sia imposta come una qualità di riferimento per un gran numero di persone e dirigenti politici soppiantando l’intelligenza e l’umano sentire. La cifra principale di Renzi è la furbizia. Almeno questo appare dalla tv. Comunque, il sindaco di Firenze è sicuramente una presenza scomoda per la nomenclatura del Partito Democratico e per l’establishment che cerca di contrastarlo, non solo a sinistra. Ha avuto coraggio a sfidare i vecchi dirigenti, ma chi si occupa della città di Firenze mentre lui è impegnato con la testa e con il camper ad affrontare la campagna elettorale per le primarie del centrosinistra? Non è una scelta che infonde fiducia. E’ come se avesse sempre bisogno di stare in campagna elettorale, invece che affrontare a tempo pieno il difficile compito di governare un capoluogo di regione così importante. Sono troppi anni che vediamo, davanti ai nostri occhi, sfilare una classe dirigente di furbi, che accumulano incarichi di enorme responsabilità e sommano ad essi ulteriori impegni, coccarde e strapuntini. Questo “distrarsi”, infatti, rispetto alla fiducia ricevuta dagli elettori fiorentini non gioca a suo favore. Con una tale premessa, come possiamo fidarci? Insomma, Renzi è davvero una novità? Ad uno sguardo superficiale, sembrerebbe proprio di sì, eppure c’è qualcosa che traspare dalle sue presenze televisive che ci lascia alquanto perplessi. C’è una distonia tra quanto Matteo dice e quel che arriva allo spettatore tramite il suo sguardo. Come interpretasse un ruolo che non corrisponde al suo vero modo di essere. Eppure, è bravo: si esprime bene, sa fare le battute al momento giusto, avanza proposte interessanti. Anche se fa spesso leva sulla demagogia, come quando chiede il dimezzamento dei parlamentari senza rendersi conto che, così facendo, dimezza quel poco di democrazia rappresentativa che ancora ci rimane. E poi, soprattutto, ha scelto di stare nel campo unico e trasversale della partitocrazia. Ma si tratta, ormai, di un campo secco, desertificato, incoltivabile, non più edificabile perché colpito dal virus di quella “Peste italiana” di cui hanno scritto e parlato i Radicali e Marco Pannella. A mio parere, il cambiamento dell’attuale sistema, che tanto vorremmo mutare, potrebbe concretizzarsi soltanto attraverso una “rivoluzione copernicana”, cioè con un cambiamento dei metodi, che dovrebbero essere necessariamente liberali, e dei meccanismi, che dovrebbero essere democratici oltre che basati sulle attitudini e le qualità delle persone. Insomma, la strada liberal-democratica potrebbe essere quella che riuscisse a passare ad un campo “altro”: dall’attuale campo unico della partitocrazia al campo della Politica. Soltanto allora, forse, potremmo trovare un’alternativa al pantano trasversale del Potere fine a se stesso. Il candidato alle primarie del centrosinistra, lo sfidante di Pier Luigi Bersani, ha scelto di stare tutto dentro al campo partitocratico, quindi non può rappresentare una novità. Al massimo, si candida ad essere l’erede di questo vecchio sistema di Potere. Con la variante anagrafica di essere un giovane. Anche se, ad uno sguardo attento, appare già come un giovane-vecchio. Quando Matteo Renzi passa in tv, infatti, la telecamera ci trasferisce l’immagine di una personalità empatica, ma non simpatica. Mi riferisco a quanto si percepisce dalla tv. Appare come un furbo. Infatti, sul teleschermo, c’è una differenza tra simpatia ed empatia: i protagonisti sono simpatici perché, seppur tra mille peripezie ed eventuali travagli, anche quando sono detestati, ricercano l’affermarsi di qualcosa di positivo, mentre gli antagonisti possono essere empatici, cioè riescono a catturare l’attenzione del pubblico e si fanno seguire lungo la storia, con una intensa partecipazione, anche se perseguono un fine negativo e, speso, il loro obiettivo non è chiaro o non è dichiarato. In altre parole, quanto dice ed esprime Renzi in tv è spesso condivisibile, ma i sottotesti delle sue parole lasciano intendere che lui non sostiene quelle cose perché le vuole realizzare davvero, non crede in quello che dice. E’ come se fosse l’attore sbagliato per ricoprire quel ruolo o quella funzione narrativa o quel personaggio che si è cucito addosso. Matteo Renzi sarebbe più credibile se fosse se stesso, se dicesse davvero quello che lui sente e pensa, al di là della maschera che mette in scena. Insomma, se Renzi ha come dote personale la furbizia, come appare in tv, allora dovrebbe cambiare copione e difendere quel regime partitocratico che, ora, a parole, afferma di voler sconfiggere. In altri termini, la sceneggiatura che hanno scritto per Matteo Renzi è buona, ma l’attore è sbagliato per quel ruolo. Si capisce che è un giovane-vecchio. Il futuro di cui abbiamo bisogno è “altro”.

Pier Paolo Segneri