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giovedì 25 ottobre 2012

Scuola: altro che 24 ore

Le cifre dimostrano un fatto che a noi pare difficilmente contestabile:

il problema della scuola italiana non è la mancanza di risorse,  la spesa in istruzione del nostro paese è in linea con quanto spendono i paesi Ue (in percentuale sul Pil), 4,4 noi, 5% la media europea. Così pure il numero di studenti per insegnante (11.1.noi, 12.1 la media Ue). Sono dati Eurostat (Key data on education in Europe) pubblicati nel rapporto education at glance 2012,  eacea.ec.europa.eu/education/eurydice/.../key_data_series/134EN.pdf. 
Fanno riferimento a rilevazioni 2008 perché, come noto, la statistica non prevede rilevazioni in tempo reale.

Il punto è che l'efficacia di un servizio non può essere misurata sulla quantità di investimenti fatti. Ciò che bisogna considerare è l'effettiva ricaduta su chi ne fruisce. Se usiamo come indicatori i Pisa test e i livelli di dispersione non possiamo essre soddisfatti. E allora c'è da chiedersi se è utile mettere soldi in una macchina che non ne fa buon uso. Soldi che, peraltro, non ci sono e non ci saranno nei prossimi anni. Per questo non condividiamo la diffidenza verso i privati. Proprio perché mancano risorse, certo entro un quadro certo di regole, un impegno finanziario da parte delle aziende può essere auspicabile. Sarebbe da augurarsi che gli imprenditori italiani, piuttosto che pensare a guadagni speculativi, destinassero un po' di risorse alla scuola. Cosa vorranno in cambio? Non è difficile immaginare che un'azienda vorrà avere personale qualificato e formato per le sue esigenze. Avviene in tutto il mondo e anche nel nostro paese da anni e non risulta che la libertà d'insegnamento sia venuta meno.

Problemi complessi che, però, a nostro parere non vanno affrontati iniziando dall'orario di lavoro e dalle retribuzioni del personale. Compito della scuola non è il mantenimento del personale (stabile o precario) quanto offrire un servizio valido agli studenti.

Un buon punto di partenza sarebbe fare nostra la richiesta dell'abolizione del valore legale del titolo di studio che è all'origine dell'attuale omologazione fra istituti. Un altro chiedere l'aumento delle tasse universitarie in base al reddito visto che oggi sono i ceti medio-bassi (la fiscalità generale) a pagare gli studi dei ricchi.

Per questi motivi non condividiamo l'ultima evoluzione della protesta in corso.

Gli ulteriori dati nel link di seguito sono tratti da la voce.info, un sito di economia di autorevolezza indiscussa  http://www.lavoce.info/articoli/-scuola_universita/pagina1003345.html.

p.a., p.e.c.