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martedì 4 settembre 2012

Perché puntare sull'agricoltura urbana (2)

La seconda parte della relazione di Franco Paolinelli, sull'agricoltura sociale.


La creazione e gestione di iniziative di agricoltura urbana, ovvero di aree nella quali, con formule varie si pratichi dell’agricoltura, implica la partecipazione di varie tipologie di professionisti ed imprenditori, nelle seguenti fasi operative:
  • Promozione;
  • Organizzazione, progettazione e costruzione giuridico – economica delle iniziative;
  • Progettazione fisica;
  • Costruzione fisica del “giardino ad orti”;
  • Manutenzione fisica;
  • Conduzione, gestione giuridico - economica;
  • Animazione;
  • Gestione di servizi commerciali collaterali.

Dato in numero di ruoli necessari l’indotto d’impresa e di occupazione può essere rilevante e può coinvolgere figure imprenditoriali diverse e complementari.

Ho ipotizzato lo strumento dell’Associazione / Club, come impresa per l’offerta e la gestione dell’orticoltura urbana perché ritengo che possa:
  • Rendere semplici la procedure per la creazione giuridico - economica delle iniziative;
  • Garantire le proprietà dalla creazione di vincoli di difficile estinzione;
  • Fruire di una consolidata normativa di settore;
  • Remunerare in modo equo tutti i fattori produttivi necessari;
  • Permettere le forme di redistribuzione e solidarietà eventualmente desiderate in forme varie;
  • Garantire una qualche forma di controllo democratico sulla gestione delle iniziative.

Ho ipotizzato che gli Agro-club possano aderire ed essere promossi da una Federazione degli Agro-Clubs. Infatti, una loro rete potrebbe:
  • Codificare e standardizzare le forme di contratto e le modalità di gestione;
  • Garantire meglio le parti e regolare meglio i rapporti reciproci;
  • Sostenere un approccio di qualità ambientale e paesaggistica delle iniziative;
  • Garantire i servizi collaterali a prezzi convenienti;
  • Stimolare lo sviluppo dell’agricoltura urbana;
Stato attuale a Roma:
Negli ultimissimi anni il tema orti urbani ha vissuto un vero exploit di interesse. A questo si và affiancando la nascita di iniziative di ogni tipo, dalle occupazioni abusive, alle sperimentazioni nel privato e nel privato sociale, alla creazione di consorzi privati di villette con area condominiale ad orti, ai concorsi per gli orti sui tetti….…...
Comunque, diverse iniziative si stanno orientando verso il modello di gestione Agro-Club, date le garanzie che offre a tutti i soggetti della relazione giuridico - economica necessaria. La SAP, insieme alla ONLUS Il Fiore del Deserto, si sta attrezzando per rispondere al meglio alle esigenze di chi volesse intraprendere la creazione di un agro-club ovvero ne cerchi uno nel quale praticare l’attività stessa.

NECESSITA’:
Per rispondere ai problemi sopra esposti, sia alla scala della politica globale che di quella locale, il lavoro di organizzazione da fare è moltissimo. NON È FACILE e dovrà, necessariamente essere paziente.
I possibili operatori del “Polo della Responsabilità”, a qualsiasi partito appartengano, debbono, quindi, rendersi conto che il compito che sentono di dover fare è di lunga portata ed il suo svolgimento non darà soddisfazioni e prebende a breve. La loro remunerazione sarà soprattutto data dalla soddisfazione della propria coerenza.
In questo quadro, alla scala dell’agricoltura urbana romana, è necessario costruire una “cabina di regia” per:
  • Censire le energie e le risorse disponibili;
  • Integrare e possibilmente coordinare le iniziative esistenti ed in corso di sviluppo;
  • Definire ruoli e procedure perché le opportunità che l’agricoltura urbana e gli Agro-Clubs in particolare, potranno determinare siano distribuite nel modo più equo possibile.
  • Costruire modelli di qualità ambientale, paesaggistica e socio-culturale alta, cui le esperienze reali possano puntare.
CONCLUSIONI
Portare avanti le linee guida sopra elencate non è facile. Proporre, partendo dalla “TERRA”, una possibile via Romana per contribuire a costruire l’organizzazione necessaria alla nuova scala di villaggio a cui si dovrà, necessariamente, arrivare non è facile. In altre parole, proporre un’idea di Roma come miglior punto di equilibrio possibile tra ordine e disordine non è facile.
Creare l’Agro-Club come luogo pilota di produzione di organizzazione e di integrazione, quindi di bellezza e non di “accrocco”, non è facile
Promuovere l’agricoltura urbane evitando che diventi l’ennesimo spazio per l’abuso di piccoli e grandi potenti, quale che sia la bandiera che sventolano, no è facile.
L’alternativa, però, è accettare il degrado in tutte le sue forme.
Accettarlo senza reagire, ovvero rinunciare, equivale ad associarsi al vuoto che, chi sa guardare, vede negli occhi di ogni conduttore di SUV romano.

                      

lunedì 3 settembre 2012

Perché puntare sull'agricoltura urbana (1)


Il testo che proponiamo è una sintesi della prima parte di una comunicazione che Franco Paolinelli ha presentato in luglio ad un congresso sull'agricoltura urbana tenutosi in Inghilterra. L'a.s. è una delle forme di quel comune non coincidente con il pubblico che denota le nuove forme di autorganizzazione sociale ed economica di cui abbiamo più volte parlato (vedi il pezzo su Hardt). E' anche una delle proposte avanzate, secondo la formula dell'agro club, in Per Roma, il libro collettivo sulla capitale, di cui è in preparazione la seconda edizione con nuovi contributi.

                         

I processi evolutivi in atto con l’ampliamento di scala del “villaggio” verso il globale sono di grande portata. La disorganizzazione che ne deriva a livello socio-economico, politico ed ambientale è altrettanto imponente. Quindi, la creazione dei nuovi livelli e delle nuove modalità di organizzazione necessari, a livello macro-politico, politico, economico, culturale, sociale…..NON E’ FACILE. Implica impegno, capacità e visione che vanno molto oltre il piccolo cabotaggio.
Una nuova agricoltura, un nuovo rapporto con la TERRA, possono contribuire ad alleviare gli stress, di scala globale e locale, che necessariamente derivano dai processi evolutivi in atto.
Cercherò di applicare questo criterio al tema trattato: l’agricoltura urbana.

Per capirne la rilevanza e fare le scelte conseguenti va tenuto conto di alcuni dei processi di macro scala in atto:
  1. Integrazione delle economie a scala globale, quindi crisi dell’agricoltura italiana: non competitività, dipendenza assistenziale;
  2. Espansione delle aree urbane e peri-urbane, creazione di città diffuse, sviluppo di sistemi urbani di scala provinciale, cementificazione diffusa;
  3. Crisi ambientale, effetto serra, inquinamenti, squilibri nella disponibilità dell’acqua;
  4. Dis-integrazione delle comunità in termini sia sociali che economici, crisi delle culture tradizionali delle comunità, fuga dei giovani dal territorio, resa dei conti dell’assistenzialismo pubblico;
  5. Perdita di abilità individuali nella sfera fisica, manuale, pratica data dall’incremento esponenziale di dipendenza da società complesse. Fattore di rischio in quanto i sistemi complessi non sono ancora efficienti ed affidabili.
  6. Nuove funzioni del territorio extra-urbano:
    • Ambiente: Protezione della natura, sviluppo della copertura forestale per creare magazzini di Carbonio, per la difesa dal dissesto idro-geologico, consumo di suolo per la produzione agro-energetica…..;
    • Terziario Rurale: trasformazione dell’economia del territorio dal primario al terziario: persistenza e sviluppo di una diffusa “domanda di ruralità”: agricoltura sociale, agriturismi, seconde case in campagna, piccole aziende agricole, hobby farming, orti urbani…..: forme di agricoltura da leggere come terziario avanzato;
  7. Avvio dell’agricoltura urbana, sviluppo di una nuova idea di città come organismo autotrofo: verso l’auto-produzione di energia e di alimenti integrata vicino, in mezzo, sopra, e dentro alle aree metropolitane.
In questo quadro, l’agricoltura distribuita nel tessuto urbano e peri-urbano può essere un fattore positivo nel contrastare la disorganizzazione che i processi evolutivi in atto determinano. Può, in altre parole, essere un possibile fattore di tamponamento degli stress ed allo stesso tempo di reintegrazione del dissesto, presente a livello sia bio-ecologico che sociale, quindi di edificazione di complessità consolidata e sostenibile.

A) L’agricoltura urbana come elemento di benessere, sostegno ed integrazione sociale:
  • Servizi per anziani e per soggetti con difficoltà;
  • Hobby farming urbano come possibile fattore antistress e d’identità per adulti e giovani;
  • Benessere fisico dato dall’eseguire attività fisica all’aperto;
  • Possibile evoluzione delle fattorie multifunzionali in ambiti di fiducia e consuetudine, frequentati con regolarità dalle 3 generazioni, al punto da diventare estensioni della “casa”, la “Family Farm”.
  • Servizi per bambini: negli ambiti di A.U. i bambini potranno vivere la sperimentazione costante del reale, trovandovi tutte le sollecitazioni della ruralità e della natura, la cui importanza formativa ed evolutiva è ben nota. I contesti potranno, però, essere più sicuri della campagna dei nostri nonni e bis-nonni.
  • Occupazione protetta: integrazione di produzione e sistemi di welfare.
  • Ambito di socializzazione ed integrazione, la cultura ed i cicli della ruralità implicano cerimonie che hanno il compito di creare comunità e consolidarne i legami.
  • Formazione professionale.

B) L’agricoltura urbana come possibile servizio ambientale e paesaggistico:
  • Riqualificazione aree urbane degradate, anche di piccole e piccolissime dimensioni, integrate nella maglia urbana;
  • Gestione di aree di verde fruibile a costi molto bassi, eventualmente con utili, per gli Enti responsabili;
  • Fito-depurazione a carico di polveri, inquinanti gassosi, inquinanti liquidi, reflui organici, con restituzione alla TERRA;
  • Compostaggio locale di rifiuti urbani organici e riuso / smaltimento / riciclaggio, con restituzione alla TERRA;
  • Valorizzazione delle risorse idriche di recupero, a fronte dalla crescente carenze delle risorse idriche primarie;
  • Valorizzazione paesaggistica, progettata e guidata, di materiali naturali prodotti dalla foresta urbana (legno, frascame, fogliame….), con restituzione alla TERRA;
  • Possibile valorizzazione paesaggistica, progettata e guidata, di rifiuti solidi urbani metallici, plastici, legnosi…., da edilizia….., con restituzione alla TERRA;
  • Incremento delle superfici a verde foto-sintetizzante se confrontato con le aree destinate a produzione agricola.

C) L’agricoltura urbana come elemento di sviluppo economico:
  • Valorizzazione delle potenzialità di realizzazione di beni da parte di fasce deboli della società;
  • Integrazione del reddito familiare;
  • Produzione di servizi di assistenza socio-sanitaria a costi competitivi rispetto ai servizi correnti;
  • Recupero alle filiere economiche locali di parte delle risorse economiche dello Stato spese per le pensioni.
  • Possibile indotto su tutta la filiera del verde, nascita di molte piccole imprese diffuse sul territorio;
  • Creazione di posti di lavoro;
  • Possibile formazione d’identità e d’abilità spendibili nell’agricoltura urbana e nella filiera del verde;
  • Produzione di cibo già pagata dagli altri servizi, quindi a costo competitivo;
  • Sinergia e stimolo dell’agricoltura primaria locale;
  • Filiera cortissima.
CONTINUA

giovedì 30 agosto 2012

Hardt: comune non è pubblico


Ci sono delle lotte contro il privato che, anche quando hanno per scopo una forma comune, finiscono per ritornare sul terreno del controllo statale e della dimensione pubblica (...) Io credo che ci sia da assumere una doppia battaglia: da un lato contro il privato in difesa del pubblico e dall'altro contro il pubblico e per il comune (...) Questa doppia battaglia mi sembra necessaria. Vuol dire combattere il privato e il neoliberismo insieme con le forze pubbliche, ma anche e nello stesso momento combattere lo stato  e la proprietà pubblica per il comune e l'autogestione.

Il brano è estratto da un'intervista, pubblicata nel numero luglio-agosto di Alfabeta 2, di Anna Curcio a Michael Hardt autore, insieme ad Antonio Negri, della ormai celebre trilogia (Impero, Moltitudine, Comune). Hardt e Negri hanno l'ambizione di definire i contenuti di un nuovo pensiero comunista in grado di leggere (e trasformare) il mondo globalizzato, così come Marx fece con la società della seconda rivoluzione industriale. Che si condivida o no tale prospettiva, a noi sembra avvolta dalle fumisterie del passato, si tratta di un'elaborazione in cui è centrale il tema dello stato.  E' quest'ultimo aspetto che la rende interessante anche per chi non ne condivide gli esiti.
Nell'intervista H. sottolinea la differenza tra bene pubblico e comune spalancando la porta ad una riflessione che potrebbe essere salutare per i riformatori italiani. Da noi, dalle parti della sinistra ufficiale, prevale il leit motiv della difesa del pubblico (stato) ad ogni costo, anche quando è palesemente in contrasto con il bene comune: si pensi alla gestione di tante aziende pubbliche locali, alla riluttanza a vendere patrimonio dello stato,, all'idea che la crisi vada combattuta con una nuova stagione interventista. Soprattutto a livello locale, alla scala comunale, vi è la possibilità di sperimentare forme di auto organizzazione (progettazione partecipata, attività culturali dal basso, gestione dei servizi, referendum consultivi) che rendono il pubblico sempre meno gestore e sempre più produttore e recettore di idee. In altri casi a scompariroe del tutto (la vicenda del teatro Valle a Roma).. Una bella sfida da lanciare a chi considera Togliatti meritevole di entrare nel pantheon del Pd (vedi il surreale dibattito su Unità e Corriere delle scorse settimane). Si gioca qui, altro che nuovi e impossibili compromessi keynesiani, la partita dei prossimi anni: riuscire a salvaguardare e conquistare spazi di autodeterminazione e libertà sottraendoli alle varie corporazioni finanziarie, politiche, sociali e, last but non least, clericali.

 

domenica 26 agosto 2012

Saggio/Sauer: consigli di lettura

E' appena uscita l'edizione inglese (in cartaceo ed ebook)
della monografia che Antonino Saggio dedicò nel 1988 a Louis Sauer (Officina edizioni). L'architetto americano che ha progettato e realizzato edilizia ad alta densità e altezza contenuta (low rise high density housing). E' un libro che documenta l'intero lavoro di Sauer, fin dalle origini nei primi '60 a Filadelfia, avvalendosi di una ricca documentazione fotografica. Perché leggerlo, per di più in inglese? Il motivo principale, anche per i non architetti, sta nella documentazione di un'esperienza che è riuscita a tenere insieme qualità del progetto ed edilizia residenziale, grazie alla sapiente regia delle istituzioni locali che hanno indirizzato e dato regole. Il tutto nella giungla del liberismo nord americano che su certi temi forse tanto selvaggio non è. Se poi ci divertiamo a mettere a confronto le foto contenute nel volume di Saggio con quanto prodotto dalla nostra urbanistica contrattata (basta un qualunque scatto della nuova periferia est di Roma), c'è molto da riflettere su cosa significhi governare una città. Che non può volere dire limitarsi a stipulare con i privati un patto sulle aree e poi non badare alla qualità architettonica, ai servizi, all'impatto che quel nuovo costruito avrà sulla città. Infine, dal libro emerge come il lavoro di Sauer si sia sviluppato nei vuoti urbani, parti della città costruita da recuperare e riprogettare. Una lezione utile per noi, ora che finalmente comincia a farsi largo l'idea di porre un definitivo stop al consumo di suolo (la "linea rossa" oltre la quale non costruire più, come l'ha definita Vezio De Lucia e l'indirizzo indicato dagli ottimi referendum romani di cui proprio in questi giorni è in corso la raccolta di firme).
 Louis Sauer, The Architect of Low-rise High-density Housing




martedì 21 agosto 2012

Leggendo Infinite jest

Forse David Foster Wallace, prima di morire suicida nel 2008,  aveva trovato la chiave per raccontare il futuro - presente che ci aspetta. Lo ha fatto con Infinite jest, il romanzo uscito nel '96 e considerato ormai una delle opere fondamentali di questa nostra età liquida. La storia ruota intorno al tema della dipendenza, sviluppato dentro due luoghi claustrofobici: l'accademia di tennis Enfield e la Casa di recupero Ennet. Individui inebetiti dalle droghe e dalla perdita di senso, immersi in un mondo in cui neanche il calendario è sottratto allo strapotere delle corporations, si aggirano in un nord america sommerso dai rifiuti (ribattezzato ONAN) e per questo assorbito dal Canada. DFW lavora per accumulazione di materiali narrativi segnati dal costante ricorso alla digressione, secondo una modalità che ricorda Joyce. Anche questa volta, come nel primo '900, il romanzo ha colto potentemente la realtà nelle sue pieghe più profonde ed è riuscito a mostrarcela? Come Proust, Svevo, Kafka, Musil, i grandi che ci  svelarono la perdita del baricentro, il nuovo orizzonte obliquo e relativo nel quale avremmo dovuto imparare a muoverci. E l'importanza della malattia, si pensi alla sua centralità nella Recherche, per capire il rapporto tra il soggetto e il mondo. Se è così, se il tema della dipendenza e quello conseguente della etero direzione sono la cifra dell'oggi, allora il romanzo di DFW ci può aiutatre a demistificare il reale. Come sa fare la grande letteratura. Cominciando dalla messa in discussione, tema caro a DFW, dello strapotere dei saperi specialistici che ingabbiano il reale. E da lì partire, rimettere in campo una qualche ipotesi di liberazione che non può coincidere certo con gli scenari descritti dai vari revival filosofici anti capitalistici sostenuti dalle periodiche ondate dei  movimenti. Piuttosto riposizionarsi e ripartire da una scala ridotta, fondata sulla foucoultiana cura di sé e su una costante, inesausta pratica libertaria. Sulle nostre menti e sui nostri corpi. Perché se il futuro è quello immaginato da Infinite jest, allora è proprio della libertà che occorre occuparci. 

venerdì 17 agosto 2012

Un sogno di libertà: il 1647 a Napoli secondo Villari

"Un sogno di libertà", il libro che raccoglie e sviluppa pluriennale ricerca di Rosario Villari sul regno di Napoli negli anni della dominazione spagnola, è una lettura indispensabile per capire la storia del mezzogiorno. Un affresco ampio, di ben 665 pagine, alla maniera delle sintesi proprie della storiografia anglosassone. In più con una facilità di scrittura che ne esalta la dimensione divulgativa. Il pezzo forte è costituito dai dodici capitoli nuovi che estendono il lavoro originario uscito nel '67 alla trattazione della rivolta anti spagnola del 1647. Cosa può trovare nel libro il lettore non specialistico ? Innanzitutto, la traccia di una costante aspirazione alla libertà che trovò nel popolo e nella borghesia cittadina i suoi interpreti. Moto riformatore e rivoluzionario, tra i due vi è continuità, che vide protagonisti uomini di stato e intellettuali come Tommaso Campanella. Quest'ultimo, ricondotto alla sua dimensione di studioso avveduto e lucido, prima di farsi sostenitore della rivoluzione fu un tenace assertore delle riforme in senso anti feudale, per l'estensione della sfera di intervento e influenza della monarchia. Anche il banditismo si rivela come un fenomeno di lungo corso, altro che espressione di rivolte sottoproletarie come lo si è voluto interpretare in chiave risorgimentale. Fu espressione degli interessi del baronaggio, da essi alimentato in chiave anti regia, strumento della difesa del vecchio ordine. È quindi sfatato il mito dell'inerzia meridionale rispetto al potere, mente si conferma quello della difficoltà di dare a questo disagio il volto di un progetto politico. Limite che ha riguardato anche i due più consistenti movimenti politici che il mezzogiorno ha espresso nell'ultimo sessantennio: quello di occupazione delle terre nel secondo dopoguerra e, seppure prevalentemente siciliano, quello anti mafia dei primi anni '90. L'altro elemento riguarda la dimensione esterna della rivolta e della deflagrazione del potere spagnolo. Il moto napoletano del '47 si svolge mentre sta giungendo a termine la guerra dei trenta anni, evento che ridefinisce la geografia politica europea e segnò l'esaurimento di un sistema ormai anacronistico e troppo inefficiente come quello spagnolo dimostratosi non in grado di reggere al processo di globalizzazione da lui stesso innescato. Anche oggi la pressione della forza esterna spazza via un mondo, ma non è la fine della storia e la definitiva vittoria del capitalismo finanziario, come vorrebbe un certo pensiero apocalittico di moda in questi anni. Si sta giocando una nuova partita al centro della quale vi è il più gigantesco processo di secolarizzazione che l'umanità ha probabilmente conosciuto- come dimostra  ciò che sta accadendo in Cina e nel mondo islamico- nel quale entrano in gioco fattori economici, scientifici, religiosi. Toccherà alla politica, sempre in occidente, elaborare un modello di governo all'altezza di questa sfida in grado di proporre una nuova idea di sovranità, non più legata allo schema degli stati nazione. Dalle guerra dei trenta anni uscì vincente il modello stato - nazione, dal rivolgimento dei nostri giorni potrebbero scaturire nuove forme di governo di livello extra nazionale.




 

martedì 14 agosto 2012

Eretici: la "realtà nuova" di Tartaglia

Quello di Ferdinando Tartaglia è un nome che oggi quasi nessuno conosce. E a dire il vero neanche negli anni, tra il '45 e il '49, quando la sua avventura assunse una qualche rilevanza pubblica, fu mai popolare. Fu un riformatore religioso, appartenente a quella strana schiera di utopisti che pensarono di riformare non il cristianesimo, ma la religione. Si batterono per una nuova religione universale, la "realtà nuova", secondo la bella definizione che ne diede lo stesso Tartaglia. Fondò e diresse senza risparmio insieme a Capitini il Movimento di religione, un'esperienza tanto elitaria quanto "impossibile" nell'Italia dell'immediato dopoguerra che presto si dissolse. Da allora si chiuse nel silenzio, si sposò e trascorse gli anni gli rimasero fino alla morte (1987) nello studio e in una discreta pratica di carità. Poco prima di morire ottenne la riconciliazione con la Chiesa che l'aveva a suo tempo scomunicato. Ha lasciato una produzione sterminata in larga parte inedita. Fu anche, a suo modo, un intellettuale militante. Impegnato senza calcoli nella diffusione delle ragioni del rinnovamento spirituale, prima che politico.