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domenica 7 novembre 2010

Tea party e liberali di casa nostra

Proseguiamo il dibattito sui tea party con un pezzo di Paolo Allegrezza uscito in contemporanea su The Front Page. In allegato l'intervista allo studente americano che causò la gaffe della Palin, poi zittita da Mc Cain, sull'eventualità di bombardare il Pakistan.

Forse è venuto il momento di dire che una banalità, anche se ammantata di spirito liberale e liberista, rimane una banalità. E’ il caso dell’articolo di Piero Ostellino (Corriere della sera, 6 novembre) dedicato ai Tea Party. Tutto fondato sul solito refrain dei tentacoli keynesiani che minaccerebbero la bella e dinamica società civile americana. E allora, secondo lui, ben venga la protesta anti-establishment dei Tea Party che dovrebbe far riflettere anche la sinistra di casa nostra.

Tuttavia, la “narrazione” liberista dovrà pur fare i conti con la realtà. Due dati: il numero degli americani poveri è tra il 13 e il 14% della popolazione, corrispondente a circa 43 milioni di persone (dato stabile dal 1970); prima della riforma di Obama i cittadini privi di assicurazione sanitaria ammontavano a 50,7 milioni. La retorica snob piena di ostilità al capitalismo, come la definisce Ostellino, agisce in realtà in una wasteland su cui si sono abbattuti decenni di politiche mercatiste (con la parziale eccezione clintoniana). Negli anni ‘80 e ‘90 le distanze sociali sono abissalmente aumentate, tanto che il carattere inclusivo e sostanzialmente livellato della società americana, con il suo immenso ceto medio, è divenuto un pallido ricordo.

Soluzioni? Né la spesa in deficit, né il tassa e spendi caro alla vecchia sinistra europea degli anni d’oro della socialdemocrazia. Ma neanche il solito mantra Reagan-Thatcher-Friedman, vecchio di trent’anni. I Tea Party interpretano l’ennesima ventata populista destinata ad alzare molta polvere, ma a costruire poco. Sarah Palin e Catherine O’ Donnel, oltre al look cotonato, non sono lontane dal ringhio delle nostre Santanché. Ne scaturisce un impasto di ultratradizionalismo, anarco-capitalismo, edonismo à la Billionaire.

Però ci vuole altro per scandalizzare i raffinati liberali dei nostri giorni perché un Einaudi francamente con i Tea Party non ce lo vediamo. Per loro è tutta salute, tutta energia prodotta dal basso contro burocrati e sinistra anticapitalistica. In Italia c’è da immettere ancora molto spirito liberale (e competitivo) nel sistema: dai pubblici servizi locali, alle professioni, all’università. Ma c’è anche bisogno di usare la mano pubblica per consentire a tutti se non di partire dalle stesse condizioni, almeno di ridurre le distanze. E’ quell’approccio lib-lab su cui parte della sinistra italiana si era incamminata negli anni ’80 e che oggi fa tanta fatica a tradursi in un progetto spendibile elettoralmente.

La sinistra europea ha messo negli anni ‘90 in discussione lo statalismo ed oggi è in difficoltà perché in tempi di globalizzazione parlare di libertà ed eguaglianza non è facile. Ma certi liberali lascino a casa vecchi slogan. Di “Servire il mercato” non se ne sente proprio il bisogno.
p.a.