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venerdì 17 maggio 2013

Elezioni Roma: perché siamo depressi ?

A Roma si respira una strana aria in vista delle prossime elezioni comunali. Marino è ben piazzato, in vantaggio di circa tre punti sulla destra che in città ha un insediamento storico. Non solo, M. è un candidato poco gradito alla Chiesa per le sue posizioni sui diritti civili, tuttavia ce la può fare. Al ballottaggio basterà l'apparentamento con Marchini (se si guarda ai programmi tutt'altro che impossibile) ed evitare di infastidire l'elettorato grillino. Eppure c'è pessimismo. La ragione è da collegare alla delusione scaturita dalla nascita della grande coalizione a livello nazionale, ma ha le sue radici nella vicenda romana. Marino parla di stop al consumo di suolo, raccolta porta a porta, mobilità sostenibile, riforma della governance delle partecipate, ritorno allo spirito dell'estate romana. Un programma coraggioso, innovativo. E allora cosa non va ? A non andare è la straordinaria debolezza della politica rispetto agli interessi organizzati che, giova ricordarlo, ebbero nelle giunte guidate da Rutelli e Veltroni interlocutori docilissimi. E allora la memoria va al fallimento della cura del ferro, all'inefficienza dei servizi, agli accordi di programma, alla proliferazione dei posti nei CdA, all'assenza di un'alternativa a Malagrotta. In tutti questi casi la politica ha ceduto al cospetto degli interessi organizzati: costruttori, ceto politico, un monopolista del settore dello smaltimento, cittadini troppo innamorati delle quattro ruote, commercianti, corporazioni sindacali. In nome di una malintesa modernità che tutto doveva contrattare e riassorbire. Non più pas ennemis à gauche, ma pas ennemis. Se Marino ce la vorrà fare dovrà dire dei no e farsi degli inevitabili nemici. Ma un ruolo dovrà averlo anche la cittadinanza attiva: dovrà assumersi la responsabilità del controllo e trovare la forza di farsi sentire. Mobilitarsi su obiettivi concreti, misurabili, fare pressione, utilizzare la rete e la piazza. Sperimentando un nuovo modello di delega fondato non più sulla mediazione dei partiti ma sul rapporto diretto con l'eletto.