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venerdì 4 marzo 2011

ALTRO STATUS: LE COMPONENTI SIMBOLICHE ATTUALI E POTENZIALI DEL PRODOTTO SOSTENIBILE E DI AGRICOLTURA SOCIALE

Un altro capitolo della riflessione di Franco Paolinelli su consumo e status sociali.

Il consumatore, quale che sia il suo livello di reddito, consuma per appagare le proprie esigenze, biologiche o simboliche, per soddisfare diritti, reali o presunti, per garantirsi le condizioni che pensa siano migliori per la sua sicurezza.
Investe, inoltre, una quota parte del suo reddito in valori di status, che siano capi d’abbigliamento, kit tecnologici, mezzi di locomozione, alimenti di qualità, attività.

Consuma anche perché ha pulsioni imprescindibili di fare ciò che suppone sia trendy fare, di ottenere ciò che ottengono gli altri del suo campione od immaginario sociale, quindi di apparire “a la page” e presente nel contesto e nel modo “giusto” per lui, di comunicare la propria condizione ed aspirazione sociale, di manifestare le proprie scelte esistenziali.

In tutti o quasi i suoi consumi introduce una parte di comunicazione, ma alcuni di questi, corrispondenti a specifiche esigenze simboliche, determinano gravi e gravissimi impatti sull’ambiente e sulla comunità.

In ambito agricolo – alimentare i prodotti bio, D.O.C., D.O.P. etc...….. hanno costi necessariamente superiori a quelli realizzati senza controlli, se prodotti in Italia, ed ancor di più se realizzati in aree del mondo con costi di produzione molto più bassi e norme molto meno rigide. Sono, quindi, prodotti di lusso.

La comunicazione, nel corso degli anni, ha saputo, però, incorporare nei prodotti agricoli di qualità contenuti di sicurezza e di status. Infatti, il consumante bio - doc è, quindi, convinto di comprare, a proprio beneficio:
Sicurezza / qualità alimentare (non entro in merito alla realtà di questo fatto);
Valori di immagine (competenza nella scelta, capacità di spesa, attenzione ambientale, associazione con paesaggi fisici e socio-culturali di qualità ……).

La sua soddisfazione aumenta col crescere del valore aggiunto incorporato e le ormai frequentissime iniziative di promozione e pubblicità mirano a consolidare e alimentare questa condizione.

Queste produzioni sono utili all’ambiente sia nella fase di coltivazione, sia in quella di consumo: implicano, infatti, che il produttore abbia attenzione ambientale e paesaggistica e possono deviare una parte delle spese dei consumatori da simboli di status più impattanti.

La stessa analisi, sebbene in misura diversa, può essere applicata anche ad altri consumi di lusso:
Nella filiera dell’abbigliamento ci possono essere prodotti che associano qualità ambientale e qualità del prodotto (lane…… ?);
Nella filiera automobilistica, il mondo emergente dei mezzi a motore elettrico, potrà acquisire questo tipo status;
I gioielli “antichi” incorporano di storia, di villaggio antico, che, implicitamente, si associa a qualità socio-culturale, quindi ambientale;
……..
In altre parole, l’attenzione ambientale, come la stessa libertà dai codici di massa, sono un lusso, quindi, il lusso può portare con se un messaggio di attenzione ambientale. Infatti, le sezioni più attente dell’elite sociale già seguono questi codici comportamentali.

Esiste, inoltre, un mondo, già oggi definito “economia sociale”, che incorpora valori ambientali e sociali.

Ne fanno parte, a pieno titolo, le imprese agricole, artigianali e di giardinaggio, che incorporano ed occupano soggetti con difficoltà socio-sanitarie e sono riconosciute come tali dalla legge ed il mondo delle produzioni del terzo mondo, di cui è necessario sostenere lo sviluppo.
Per estensione, però, ne può far parte un vasto mondo di ricerca, di sperimentazione e non sempre codificato e riconosciuto, che opera sia in ambito agricolo, che artigianale, che terziario, con responsabilità ed il cui fare ricerca è in se elemento di attenzione sociale ed ambientale.

I prodotti di quest’economia sociale, nella maggioranza dei casi che io conosco, non sono, per costi di produzione e modalità distributive, più economici ed accessibili dei corrispondenti prodotti commerciali.
Ma questi prodotti, allo stato attuale, non è riconosciuto un valore di status come ai prodotti sopra citati che associano lusso ed ambiente.

Ad esempio, al prodotto agricolo bio e socio, secondo me, allo stato attuale, il consumatore medio può riconoscergli i valori di sicurezza, qualità e status, sopra descritti se il prodotto è bio – d.o.c., ma la sua natura specifica di prodotto di filiera sociale non porta con se un valore aggiunto specifico.

I pochi consumatori affezionati attuali, per lo più appartenenti alla borghesia intellettuale, animata da responsabilità sociale ed ambientale, acquistano i prodotti dell’economia sociale sulla base di pulsioni di solidarietà, nelle quali ci può essere sia una componente di consapevolezza e scelta politica, sia una di semplice carità.
Peraltro, spesso, a partire da questa percezione, nasce nel consumatore l’idea di un prodotto sociale sia “povero”, che, quindi, debba essere posto sul mercato a costi minori dello standard di riferimento, cosa economicamente non possibile, se non per le imprese sostenute, in modi diversi, dall’assistenza pubblica.

Perché le filiere di economia sociale, agricole e non solo, siano remunerate e l’acquisto interessi una platea più vasta di consumatori e sia percepito come conveniente è necessario, invece, che un qualche potenziale valore aggiunto del prodotto sociale sia creato, esplicitato e divulgato, in modo che sia collettivamente riconosciuto e diventi “trendy”.

Per ottenere ciò si deve fare in modo che il consumatore, acquistando il bene agro-alimentare, artigianale….., bio – doc e sociale, possa gratificare il suo ego sia con la qualità, sia con la possibilità di manifestare uno status, in altre parole, che quel “lusso” sia riconosciuto. In altre parole, che il costo della responsabilità sociale ed ambientale sia un lusso riconosciuto, di cui si possa sfoggiare il cappello.

Questo status, in alternativa al tipo prettamente “consumistico”, non può che essere di tipo intellettuale, manifestabile con messaggi tipo i seguenti:
So che esiste (ho informazione);
Conosco e capisco le problematiche affrontate con l’economia sociale (ho intelligenza, cultura e sensibilità);
Ritengo questo tipo di percorsi di recupero-reinserimento, creazione d’impresa….. più efficienti per gli utenti e per la collettività rispetto all’assistenza passiva (faccio parte dell’elite responsabile che conosce i problemi sociali, ma liberale quanto basta per spingere per un’economia sana e solida).

Il consumatore potrà, inoltre, essere informato dell’idea che segue:
I prodotti principali delle filiere dell’economia sociale sono la terapia, il reinserimento, la formazione, la sperimentazione. Le imprese, quindi, non hanno la necessità economica di “spingere” sulla quantità realizzata. Possono, quindi, adottare tecniche sane (bio, no O.N.G, recupero.…..) senza risentirne in termini di bilancio. Il prodotto sociale è, quindi, implicitamente di qualità.

Tanto maggiore sarà la capacità delle singole imprese sociali e del loro insieme nel creare un mercato che conosca e condivida queste opportunità e le usi per la propria comunicazione, tanto più i consumatori riterranno i prodotti che li incorporano convenienti, tanto potrebbe e dovrebbe aumentare l’autonomia delle imprese dal sostegno pubblico.

In altre parole, tanto maggiore sarà l’efficienza delle imprese nel produrre l’insieme di prodotti, di servizi socio – terapeutico - culturali e di messaggi, tanto più saranno competitive sul mercato, tanto più saranno sane, tanto più saranno libere dalla dipendenza dell’assistenzialismo, che sia nella forma del contributo o del mercato protetto.

Secondo me, quando questo mondo avrà raggiunto questa libertà e potrà stare sul mercato, anche pubblico, senza corsie privilegiate, si potrà dire che gli Enti e le Organizzazioni che l’hanno sostenuto hanno fatto il proprio, giusto, lavoro di volano socio – economico, che si è dimostrata la possibile sinergia nella produzione di servizi e prodotti, che si è, quindi, avviata un’economia valida e non si è costruita l’ennesima sacca di spesa pubblica assistenziale che incrementa il debito.

Se questo, invece, sarà risultato, chi su quella sinergia ha scommesso ed investito non potrà certo essere soddisfatto.

E’, quindi nell’ottica di esplicitare, con un messaggio di estrema sintesi, il valore aggiunto del prodotto dell’economia sociale che la SAP ha lanciato l’idea del marchio “ALTRO STATUS” e ne ha registrato il dominio in rete.

Chi desse un sostegno alla creazione dello “status” sopra descritto, contribuirebbe anche alla conquista degli obbiettivi ambientali e sociali dell’economia sociale.

Franco Paolinelli