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domenica 3 ottobre 2010

Sinistra ed identità n. 2

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un secondo contributo di Franco Paolinelli sulla difficoltà di definire un'identità di sinistra oggi. Segue il trailer de "La passione", il bel film di Mazzacurati che, a suo modo, entra nell'argomento.


Le comunità, finché non interviene una catastrofe, vivono un processo dinamico di ampliamento che implica crescita numerica delle loco componenti, sviluppo tecnologico, adattamento umano, incremento di organizzazione, inclusione, migliore distribuzione del benessere. Questa dinamica è stata chiamata progresso.

Il cuore dell’essere sociologicamente di sinistra è nel saper vedere le esigenze della comunità oltre le proprie, quindi nel sostenerne il progresso e nel partecipare, responsabilmente, all’edificazione di un assetto sociale che valorizzi le opportunità tecnologiche e culturali disponibili.

Oggi quanto detto, tra gli altri aspetti, implica il sostegno alle tecnologie che non comportano rischi per le comunità, alla creazione delle stesse alle scale coerenti con i mezzi di comunicazione disponibili, quindi all’inclusione delle realtà ambientali, dei popoli, delle culture e delle nazioni che i mercati mettono in relazione e coinvolgono nello sviluppo….. ed alla gestione responsabile delle dinamiche commerciali, sociali, culturali e politiche, che il processo stesso determina.

Nella fase evolutiva in atto questa posizione non è facile.
Infatti, in primo luogo, la scala e l’idea stessa di assetto sociale possibile non sono evidenti: la società utopica è difficile da immaginare. Non è affatto chiara la sua fisionomia, ne in termini tecnologici, ne culturali, sociali e politici.

Inoltre, la scala della lotta politica è ancora nazionale, mentre l’assetto possibile e necessario è globale. L’insieme delle forze umane che dovrebbero crearlo è però, ancora frammentato nelle molteplici realtà locali.

Peraltro, alle scale nazionali, molte delle realtà sociali la cui inclusione era il fine dei progressisti di ieri, oggi difendono interessi consolidati e questo chiedono di fare ai loro rappresentanti.
Le loro organizzazioni tradizionali si trovano, quindi, nella difficile condizione di richiamarsi a valori progressisti e difendere al contempo interessi conservativi, spesso corporativi.

Inoltre, non può essere progressista chi vive ubriaco delle aspettative di consumo sollecitate dai media, né, quindi, chi vive nella paura di non avere identità, di non avere lo status auspicato, né chi si sente minacciato da ogni “altro”, che sia umano o non.

Gli interessi d’inclusione potrebbero essere espressi dagli immigrati, ma questi ancora non hanno capacità di dialogo con le forze politiche, ne queste sanno ancora rapportarsi con le loro comunità.
Tanto meno possono esprimere consenso le realtà ambientali che l’espansione incontrollata coinvolge nello sviluppo delle comunità umane.

Inoltre, la lungimiranza necessaria a vedere l’evolvere fisiologico del processo di costruzione dell’assetto possibile, quindi, la tenacia e la pazienza necessarie a sopportarne i tempi, conservando l’impegno della sua edificazione, non sono facili da mettere in atto.
Coerentemente l’immagine del progressista non va di moda quanto è andata in decenni addietro, non paga, quindi, non interessa a chi sposa determinati comportamenti solo se gli offrono un profitto d’identità e di opportunità.
Quindi, la confusione di modelli e la difficoltà a proporre alle categorie sociali un progetto d’inclusione aperto alla scala necessaria rendono oggi le “azioni” delle forze tradizionalmente progressiste poco appetibili.

Per tutto quanto detto fare questa politica oggi non è affatto facile, indipendentemente dall’abilità di rappresentanza messa in atto dai conduttori delle forze stesse.

Sono, però, dell’opinione che inseguire gli elettori nelle istanze populiste cui oggi gran parte degli elettori è più sensibile sia per le forze tradizionalmente “di sinistra” una politica suicida, infatti non solo quest’atteggiamento contraddice l’identità stessa progressista, ma c’è inoltre chi lo sa fare meglio, senza mali di pancia.

Penso, invece, che la crescita di consapevolezza della difficoltà stessa della politica e dell’identità progressista possa essere d’aiuto nel coinvolgere chi può vedere i processi e contribuire all’edificazione del progresso possibile.

F.P.