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giovedì 2 dicembre 2010

Luca e il capitalismo italiano

Piccola riflessione sparse sulle classi dirigenti italiane e sulla memoria (scarsa) del bel paese.

Dal 1955 al 1963 l’Eni editò una rivista culturale diretta da Attilio Bertolucci. Si chiamava Il Gatto selvatico. Nel frattempo, il servizio documentari era affidato ad Ermanno Olmi che poté realizzare così le sue prime opere. In quegli stessi anni l’Olivetti pubblicava Comunità e Finmeccanica Civiltà delle macchine. Quest’ultima diretta da un genio irregolare, il poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli. Nel mondo olivettiano lavoravano personaggi come Volponi, Ottieri, Spagnoletti. Ancora, Raffaele Mattioli dalla Comit trovava il tempo di finanziare la pubblicazione della collana dei classici italiani con il marchio Ricciardi.

Mattei o Mattioli non erano anime belle, erano capi azienda tosti e spregiudicati. Ma avevano, come direbbe Vendola oggi, una visione. Dagli anni ‘70 nessuno nell’industria italiana ha più avuto simili ambizioni. Forse il declino italiano nasce da lì, dal cinismo che portò ai vertici del capitalismo italiano personaggi come Romiti. Fino alla degenerazione emersa nei primi anni ‘90 e culminata, non a caso, con l’affaire Enimont. In tutto questo Berlusconi non c’entra nulla, mentre sarebbe curioso sapere cosa pensa di questa “crisi di sistema” il candidato in pectore del terzo polo. Quel Luca C.d.M. che qualche frequentazione di quegli ambienti l’ha pure avuta. E ancora se ritiene che il capitalismo italiano nel quale lui ha lavorato per decenni abbia sempre fatto i conti con il mercato e con i suoi oneri. Se pensa che sia sempre stato all’altezza del suo compito oppure abbia lucrato sul rapporto con la politica. In assenza di queste risposte il “nuovo” rischia di nascere ancora una volta sotto le vesti del trasformismo.
Come il Crispi sapientemente affrescato nel bel film di Martone.
p.a.

pubblicato anche su thefrontpage.it