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giovedì 28 febbraio 2013

No, la grande coalizione, No

Una replica all'intervento di Paolo Allegrezza sulla grande coalizione.

Certe volte mi domando se non ho sbagliato tutto nella vita oppure se lo spostamento ideologico che gli eventi hanno inevitabilmente operato nella parte politica in cui sono cresciuto ed invecchiato me la rendano ormai totalmente estranea, veramente c'è qualcuno di centrosinistra che pensa che abbia senso allearsi con mafiosi, ladri e puttane pur di non far avvicinare alla stanza dei bottoni i fastidiosi e settari "ragazzi" 5 stelle? Veramente qualcuno mi vuole condannare ad avere Brunetta nuovamente insignito di dignità governativa? Ma soprattutto veramente qualcuno pensa che questa sia l'unica Europa possibile e che le banche che hanno creato il problema abbiano la lucidità per indicare le vie della soluzione? Veramente siamo diventati così poveri di spirito da temere la rigidità di un gruppo discontinuo ed eterogeneo più degli inquietanti individui che hanno massacrato il nostro paese e che ora pretendono di essere legittimati dalla stessa urgenza europeista contro la quale fino a ieri sputavano?
Ricordiamoci una cosa, i riformisti sopravvivono se riformano. Se no sono destinati a morire.

Franco Pettarin

mercoledì 27 febbraio 2013

Per una grande coalizione

Cosa ci può essere di peggio per il Pd  della sconfitta elettorale ? Proporre a Grillo un accordo di governo. Si stenta francamente a comprendere come Bersani possa avere concepito una mossa tanto improbabile, subito accompagnata dalla prevedibile porta in faccia sbattuta dal tribuno. Mossa che ripete l'errore compiuto da Prodi nel 2006. Un'alleanza con i 5 stelle non poggerebbe su alcuna base programmatica seria, a meno che non si ritengano i costi della politica materia sufficiente per un programma di governo. E al momento di votare la finanziaria cosa si fa ? Si aspetta il referendum on line tra i grillini ? L'unica soluzione praticabile è una grande coalizione per una legislatura costituente e poi andare alle urne. Più tardi possibile. Non per evitare l'eventuale trionfo 5 stelle, ma per realizzare le riforme e riscattare la politica e i partiti. Aprire una stagione lacrime e sangue contro il populismo, con i fatti.

giovedì 21 febbraio 2013

Il caso Giannino

La caduta di Oscar Giannino e di Fare è una triste vicenda politica prima che personale. Non è pensabile che il coraggioso esperimento liberale ed anti corporativo lanciato in estate da un pugno di economisti, veri non taroccati, non ne esca distrutto. I corsi e ricorsi fanno pensare al caso Piccardi che travolse il  primo Partito radicale nel lontano 1962,  anche se in questo caso è evidente il surplus di cialtronaggine. A maggior ragione perché tutta la campagna di Fare era fondata sulla trasparenza e il merito. A rimanere fregati sono tutti quelli che avevano guardato con speranza a Fermare il declino e che ora si trovano senza rete. Dopo l'autosilenziamento di Renzi e il suicidio dei Radicali.




giovedì 14 febbraio 2013

Scuola. Che fare (3)


La scuola che vorrei
  1. Non più di 20 alunni per classe
  2. Un biennio unificato obbligatorio con materie curricolari uguali per tutti nel primo anno come: italiano, matematica, storia, geografia, disegno, musica, inglese, educazione civica, scienze (conoscenza del corpo umano, del sistema immunitario, del meccanismo delle dipendenze), informatica. Con l’aggiunta di materie opzionali dal secondo anno come : latino, storia dell’arte, fisica, strumento musicale; problematiche legate alla conoscenza e alla conservazione del patrimonio artistico, culturale, paesaggistico; conoscenze legate ai sistemi ecologici. Consentire, insomma, tramite le materie curricolari e opzionali di operare delle scelte consapevoli nel triennio successivo.
  3. Un triennio di specializzazione durante il quale conservare materie curricolari strettamente coerenti con l’indirizzo scelto e materie opzionali di approfondimento e/o integrazione. Lascerei, per esempio, anche in una specializzazione tecnica la possibilità di studiare il latino, o la musica, o l’arte, o una seconda lingua.
  4. Una scuola aperta anche al pomeriggio, con una mensa, con spazi per lo studio, con classi aperte per lo svolgimento delle materie opzionali.
  5. Abolizione del sistema a punti dell’Esame di Stato che ha ridotto la scuola ad un votificio e ha portato studenti e docenti a calcolare le medie matematiche mettendo in secondo piano gli obiettivi educativi e formativi, la crescita umana e culturale degli studenti. Se proprio si vuole mantenere l’esame, questo dovrebbe essere accompagnato da certificazioni e valutazioni delle competenze acquisite nell’ambito delle materie opzionali.
  6. Possibilità di orari elastici per gli insegnanti che, su base volontaria, possono decidere di impegnarsi oltre l’orario obbligatorio presentando programmazioni di attività di approfondimento, di sostegno, di recupero; oppure di impegnarsi nello svolgimento delle materie opzionali. Per queste ultime si potrebbero lasciare i liberi i singoli istituti di progettare la loro offerta didattica e formativa.
  7. Abolizione di ogni e qualsiasi forma di finanziamento alle scuole private, ed è possibile qualora si abbia la coscienza pulita sulla qualità della scuola pubblica e sulla sua rispondenza ai bisogni dei giovani e delle famiglie.
  8. Prevedere finanziamenti più consistenti alle scuole che operano nelle periferie delle città e nei quartieri a rischio, finanziamenti che permettano a quelle scuole in particolare di rimanere aperte per dodici ore al giorno, con i quali si retribuiscano di più i docenti che si impegnano di più e meglio, con i quali si rendano quelle scuole belle, pulite, accoglienti. La bellezza è parte fondamentale della formazione dell’uomo, chi cresce nella bruttezza, nel degrado, nella sporcizia e sopporta tutto questo come se fosse normale, finisce con l’immaginarsi uguale ciò che lo circonda.
In questo paese si sono sprecate tante risorse, si è buttato via tanto denaro pubblico in corruzione, clientele, enti inutili, evasione fiscale e si è pian piano instillato nei giovani il senso dell’inutilità dell’impegno, dell’impossibilità di cambiare le cose; si è favorita e tollerata la loro passività; si è uccisa la loro speranza; si sono lasciati presentare loro modelli di prostituzione, di soldi facili e questi modelli non sono stati contrastati in nome del profitto e dell’interesse di pochi. Qualche tempo fa, in suo articolo su La Repubblica, Marco Lodoli denunciò il fatto che le menti dei nostri ragazzi sono sempre meno capaci di pensare e il loro linguaggio di esprimere pensieri e sentimenti e chiamò “genocidio” l’annientamento di queste che sono le più preziose facoltà umane. Egli dichiarò la scuola impotente di fronte all’assedio delle televisioni e dei centri commerciali.
Certo la scuola come si è andata riducendo in questi anni nei quali avrebbe dovuto invece essere più forte, è veramente impotente e l’impotenza è la tentazione più presente nei docenti oggi; molti, soprattutto i più giovani, tendono a reagire recuperando la “disciplina”, la “severità”, come se con questi mezzi si potessero recuperare autorevolezza ed efficacia.
Se il nostro paese vuole veramente salvarsi dal fallimento, dall’insignificanza e dal ludibrio non altre vie che investire risorse, energie e fantasia nella scuola pubblica.
Flavia Morando (3_fine)

lunedì 11 febbraio 2013

Sulla scuola. Che fare (2)


La questione delle vacanze
Se un insegnante di secondaria superiore non deve svolgere gli esami di Stato, alla metà di giugno è libero da impegni, deve essere reperibile, non è ufficialmente in ferie, ma non va a lavorare fino al primo di settembre. Da questo momento fino all’inizio delle lezioni ci sono attività più o meno impegnative, ma che non comportano una presenza quotidiana e costante a scuola, per esempio alcuni svolgono i corsi di recupero estivi. Quando sono sospese le attività didattiche ( ponti, vacanze natalizie e pasquali) i docenti non devono recarsi al lavoro. Quando sono impegnati negli esami di stato (per i quali comunque si riceve una retribuzione), possono ritenersi liberi intorno alla metà di luglio, fermo restando che l’impegno non richiede una presenza continua dal termine delle lezioni al termine degli esami stessi. Possiamo fare qualche calcolo, certamente approssimativo, ma indicativo, così da sfrondare tanti luoghi comuni “trasversali”.
Sono 200 i giorni di scuola minimi che devono essere garantiti agli studenti per la validazione dell’anno scolastico.
Le settimane di scuola, quindi, sono circa 29 e ogni docente usufruisce di un giorno libero a settimana che va sottratto ai 200: totale 171 giorni di lavoro effettivo.
A questi vanno aggiunti i giorni impegnati negli esami di stato che possono variare da 10 a 15 giorni effettivi (ma che non riguardano tutti e, come ho detto, sono soggetti ad una retribuzione aggiuntiva sulla cui entità si può discutere, ma non riguarda questo contesto).
Il totale è di 180 – 190 giorni. Un dipendente pubblico in media, tolti i giorni festivi e un giorno libero a settimana, è in servizio per circa 253 giorni cui vanno sottratti 32 giorni di ferie: totale 221 giorni.
Quindi, gli insegnanti che sono impegnati più a lungo, ovvero quelli delle scuole superiori che svolgono gli esami di stato, lavorano 31 giorni in meno degli altri.
Fermo restando che le modifiche dei contratti di lavoro non devono essere calate dall’alto, ma devono essere il frutto di contrattazioni, questo governo ci chiedeva di aumentare a ventiquattro le ore di lezione settimanali, ed in cambio ci riconosceva 15 giorni di ferie in più. Ho sentito alcuni colleghi affermare che si trattava di una presa in giro “perché tanto lo sanno che a scuola dal 10 – 15 di luglio non c’è più nessuno, quindi che cavolo ci danno?”. Avrei voluto rispondere: ”Appunto!”,  ma non l’ho fatto.
Il ruolo degli studenti nella protesta
Affermare come ha fatto Monti che i professori hanno strumentalizzato gli studenti è generalizzazione inaccettabile. Ma la mia esperienza come madre di uno studente liceale e come docente mi ha purtroppo consentito di osservare che alcuni colleghi hanno diffuso tra gli studenti informazioni parziali, confuse, spesso generiche ed imprecise, in particolare sulla cosiddetta legge Aprea. Inoltre posso testimoniare che in un primo momento, appena si è diffusa la notizia del possibile incremento di sei ore settimanali senza aumento della retribuzione, gli studenti non hanno affatto reagito, la maggioranza di essi neppure sapeva di cosa si stesse parlando. Sono stati i docenti a parlare con loro, a dire che con questo si voleva rendere meno efficace il lavoro degli insegnanti e quindi svalutare la scuola pubblica. Alcuni docenti poi, di fronte ad una reazione piuttosto debole degli studenti di fronte a questa problematica, hanno spostato l’attenzione sull’Aprea, affermando che con questa proposta di legge si voleva privatizzare la scuola, sopprimere gli organi collegiali, abolire le assemblee studentesche. Non si è spiegato che le 24 ore erano un provvedimento inserito nella legge di stabilità, né cosa fosse una legge di stabilità; non si è chiarito che la Aprea giaceva da anni in parlamento e non era una novità; né si è letto nella medesima proposta di legge che essa portava a compimento il processo dell’autonomia scolastica e lasciava alle singole scuole l’organizzazione delle assemblee studentesche e degli organi collegiali e consentiva la partecipazioni di aziende private al bilancio delle singole scuole (come accade già in alcune zone del nord Italia).
Si possono condividere o meno queste proposte . personalmente non sono rasserenata dalle immagini che il “privato” generalmente offre di sé in questo paese -  ma non è consentito  e,  a mio avviso, è molto grave dal punto di vista deontologico, informare in modo parziale e superficiale gli studenti, incoraggiare forme di protesta “solidali” che innescano autogestioni, occupazioni o altre iniziative che ottengono l’unico risultato di rendere la scuola pubblica ancora meno appetibile, funzionale ed efficace.

Formare uomini e donne liberi  
Don Milani sosteneva che  non può dirsi un uomo una persona che non sappia leggere e capire la prima pagina di un quotidiano. Se questo era vero nei primi anni ’60, figuriamoci ora che la realtà politica, sociale ed economica si è fatta globale e sempre più complessa. Cosa fa, dunque, la scuola di massa, pubblica e laica per formare uomini e cittadini?
Sulla carta esistono materie come la storia, l’educazione civica, la filosofia, diritto ed economia che si presterebbero a riflessioni sulle situazioni economiche e politiche attuali, che sono ricche di spunti per una attualizzazione critica in relazione alla comunicazione di massa, alla crisi economica, al funzionamento delle maggioranze parlamentari, alla applicazione della Costituzione e via dicendo. Purtroppo si è esclusivamente attenti allo svolgimento dei programmi, al numero delle verifiche scritte e orali, alle nozioni apprese. Purtroppo, e spesso, si rinviano le riflessioni sull’attualità “a quando ci si arriva col programma”: il che vuol dire – quando va bene – alla seconda parte dell’ultimo anno di scuola superiore, quando gli studenti fremono per gli esami, quando bisogna arrivare al dunque, quando ci si accorge che “non si hanno abbastanza voti”, quando anche i discorsi sul presente appaiono argomenti di studio come gli altri.
Ci sono in molte scuole progetti di lettura dei quotidiani in classe, non so come funzionino, ma a me è parso che spesso ci soffermi sulla struttura del quotidiano, sull’analisi del linguaggio giornalistico, sull’esame delle diverse tipologie di articoli.

Flavia Morando (2-continua)

giovedì 7 febbraio 2013

Sulla scuola. Che fare

Pubblichiamo la prima parte, ne seguiranno altre due, di un intervento di Flavia Morando.

Mario Monti, la sera del 25 novembre a Che Tempo Che Fa ha affermato che i docenti hanno difeso interessi corporativi rifiutandosi di lavorare due ore in più per liberare risorse per la scuola ed ha aggiunto che si sono fatti scudo degli studenti per difendere questi interessi.
Gramellini, la sera successiva, ha commentato in modo totalmente negativo quelle affermazioni difendendo gli insegnanti, la difficoltà del loro lavoro, le condizioni in cui sono costretti ad operare, la loro retribuzione ben al di sotto degli altri paesi europei, ha precisato che le ore di lavoro erano sei e non due in più e senza retribuzione  ecc …

Desidero partire da questo dibattito per dare il mio contributo alla riflessione sulla scuola e sugli insegnanti.
Sono un’ insegnante di lettere presso un liceo delle scienze umane (Psicopedagogico) di Roma, ho 58 anni e – rebus sic stantibus (!) – andrò in pensione nel 2017. Ho cominciato a lavorare nel 1978: quattro ore di supplenza settimanali in una scuola media a tempo pieno, sperimentale, dove un gruppo motivato e impegnato  di docenti  insegnava a ragazzi di periferia, pluribocciati da altre scuole, portatori di handicap anche gravi; si mangiava in classi nel sottoscala, si facevano consigli di classe e riunioni pomeridiane interminabili, e scrutini che duravano fino a tarda sera; si era costituita una biblioteca scolastica con libri di testo che venivano consegnati gratuitamente ai ragazzi che poi li restituivano alla fine dell’anno. Affermare che si lavorava con pochissimi mezzi e in condizioni disagiate è dir poco.
Ho amato subito questo lavoro, così tanto da non considerarlo neppure tale se non nei momenti in cui sono costretta a redigere qualcosa di burocratico ed inutile che nessuno  leggerà,  né utilizzerà mai.
Allora ero convinta che tutto sarebbe cambiato, che le cose sarebbero migliorate, che l’articolo 3 della Costituzione, laddove afferma che la Repubblica si impegna a rimuovere le cause che impediscono la realizzazione dell’uguaglianza tra i cittadini, sarebbe stato attuato in primo luogo da una scuola pubblica, gratuita  per i poveri, con quindici alunni per classe con i quali svolgere una didattica individuale. Una scuola a tempo pieno dove si potesse lavorare come lavorava Don Milani.
E invece ho assistito al degrado lento e progressivo, a riforme che si limitavano a mettere qualche pezza a colori per fare finta che la scuola fosse più moderna e si rinnovasse; a riforme lasciate per aria o fatte a partire dalla fine, ovvero dagli esami di Stato, invece che prendere in mano tutto l’impianto e ricostruirlo dalle fondamenta, a riforme che non erano altro che “forme” di risparmio. Ho visto classi sempre più numerose, il precariato divenire una piaga, la continuità didattica scomparire, le vecchie lavagne ritornare, le sedie e i banchi malandati rimanere delle stesse dimensioni di quelli dei miei nonni con una popolazione di giovani sempre più alti; i bagni degli studenti restare con le porte che non si chiudono e senza carta igienica, i libri di testo rincarare, le bocciature ritornare, la dispersione e l’abbandono scolastico crescere, i laureati diminuire, i figli dei più poveri e dei meno colti rimanere tali, i figli dei colti e dei ricchi incrementare le loro possibilità  non grazie alla scuola pubblica, bensì allo studio all’estero, ai corsi di inglese privati.
Tutti i governi che si sono succeduti sembra che si siano seriamente impegnati a trascurare e impoverire  la scuola pubblica ma mai a cessare di finanziare quella privata, come ancora oggi, nonostante le ristrettezze, si continua a fare. E così la funzione  che la Costituzione le riconosce e le attribuisce è stata disattesa. E questo – sono convinta – non a caso.
Nonostante ciò, insieme a molti irriducibili colleghi, ho continuato con lo stesso entusiasmo, lo stesso piacere e la stessa energia a lavorare con i ragazzi. Anzi, durante il colpo di grazia inferto alla scuola dai governi Berlusconi, ho fatto del mio impegno una sorta di risposta rivoluzionaria: è vero, “vogliono affossare la scuola pubblica”, ebbene, non è scioperando inutilmente, non è agevolando più o meno sotterraneamente autogestioni ed occupazioni studentesche che mi opporrò a questo,  ma lavorando di più e meglio, offrendo ai miei studenti le opportunità di discussione, di approfondimento, di letture, di esperienze che questa sconquassata condizione ci permette.
Arrivo ora alla questione con la quale ho aperto questo mio discorso: i docenti e la realtà del loro impegno lavorativo.
1 (continua)