Perché i radicali non riescono ad avere un consenso elettorale pari alla forza delle loro idee ? E' uno dei paradossi della politica italiana, la presenza di un soggetto politico in grado di cogliere in anticipo scelte di governo e soluzioni ma non in grado di andare oltre il 2%. C'è voluto il governo Monti per dimostrare la bontà di ciò che i radicali vanno dicendo da qualche decennio: liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro, abolizione del valore legale, amnistia. Persino l'articolo 18, un'antica bestia nera del rapporto tra i radicali e la sinistra, ormai vede registrare ampi consensi sull'impostazione di una ormai lontana e isolatissima proposta referendaria. Una risposta può essere legata al capitale di credibilità dissipato da scelte sbagliate, di impatto fortemente negativo sull'opinione pubblica: dalle candidature Negri e Staller, alla sciagurata apertura di credito al Berlusconi liberale del '94 - 96, all'incoronazione di Capezzone. Sarà il vittimismo, sarà l'eloquio stereotipato, sarà l'allergia all'autocritica ?
Di là degli errori commessi negli anni, i radicali raccolgono sicuramente meno di quanto meriterebbero, così la contrapposizione tra il buono (Bonino) e il cattivo (Pannella) non spiega tutto. Un tentativo fu fatto nel 2005 con la Rosa nel Pugno, presto naufragata in beghe leaderistiche. Da allora molto ripiegamento identitario e qualche geniale incursione nel campo avversario (i 9 parlamentari strappati al Pd nel 2008). E intanto il paradosso continua. E anche le battaglie vinte o in procinto di esserlo: come quella milanese contro Formigoni.