Come era ampiamente previsto, la vittoria del referendum sull'acqua ha prodotto uno scenario tanto confuso quanto potenzialmente dannoso. Per le finanze degli enti locali e per l'ambiente. I due quesiti di giugno proponevano l'abrogazione di due articoli del decreto Ronchi - Fitto: sulla liberalizzazione delle modalità di svolgimento del servizio pubblico (23 bis) e sulla possibilità che il capitale investito ottenesse una remunerazione grazie alle tariffe. In sintesi, niente concorrenza e nessun guadagno. Tutto al pubblico e a tariffe ultra popolari. Peccato che questo scenario da fiaba non abbia nessun riscontro nella realtà. Perché ? Vediamone alcune ragioni.
1) la normativa europea prevede che i servizi siano svolti in concorrenza e, quindi, l'abolizione del 23 bis ha un effetto limitato, vista la prevalenza della normativa comunitaria su quella nazionale. 2) Per escludere la remunerazione è necessario costituire enti pubblici che prendano il posto delle attuali Spa (pubbliche o miste pubblico - privato) le quali hanno l'obbligo di fare profitti. Il che è avvenuto solo a Napoli. Ce la vedete l'Acea, con i francesi di Edf e Caltagirone soci di minoranza, divenire ente pubblico? 3) I comuni già ora non hanno soldi per investire nelle infrastrutture idriche, figurarsi se li si priva della possibilità di remunerazione. In tanti comuni turistici della Sicilia, ad esempio, i depuratori non funzionano perché le amministrazioni non hanno i fondi per la manutenzione. Lo stesso Vendola, di recente, ha fatto notare il problema. 4) L'Italia ha una rete idrica particolarmente inefficiente (si calcola che il 40% dell'acqua vada sprecata) il che al sud si traduce in uno spreco intollerabile sul piano ambientale ed economico (Danilo Dolci, il protagonista della battaglia per la diga sullo Jato, in Sicilia, si rivolterebbe nella tomba di fronte a certi dati).
Una considerazione finale.
Per crescere dal livello dell'emozionalità collettiva a quello dell'esercizio della responsabilità personale e sociale sono possibili diverse buone pratiche. Ma una precondizione indispensabile è quella di superare slogan semplicistici e utopistici per cui una certa consuetudine non si tocca, su un privilegio acquisito non si discute altrimenti si scatena l'inferno. Se si vuole riformare qualcosa su tutto si deve discutere ed entro limiti da stabilire non unilateralmente tutto si può toccare. Quando si toglie di mezzo la ragione del dialogo (che non prevede mai una sola voce, ma due) non si risolve nulla ma si corre il rischio di far prevalere le ragioni dei forconi.
Paolo Allegrezza e Paolo Emilio Cretoni