Il declino della scuola pubblica ? Tutta colpa di Don Milani, del '68 e di Rodari. La psicologia progressista avrebbe introdotto dalla metà degli anni '60 quei germi di democrazia, dialogo, egualitarismo responsabili del passaggio dal rigore al lassismo. Dopo i ripetuti interventi (e, ahimè, libri) della Mastrocola, oggi tocca ad un filosofo, Tullio Gregory, riproporre la questione sullepagine del Corriere della sera. Si lamenta la scomparsa dei "maestri", sostiene Gregory, docenti in grado di comunicare ai giovani esperienze di lettura, un sapere fatto di date e dati, di esercizi di memoria, disciplina nell'apprendimento. La pedagogia progressista avrebbe distrutto tutto questo consacrando il diritto dello studente all'ignoranza, demonizzando la valutazione, legittimando il rifiuto di ogni insegnamento normativo, in primis la scrittura in lingua italiana. Che Don Milani fosse un maestro niente affatto lassista è testimoniato dalle testimonianze e dagli studi sulla scuola di Barbiana, dove orari e ritmi di insegnamento erano incomparabilmente superiori a quelli di qualsiasi scuola media pubblica o privata. Che nelle affollate assemblee del '68 circolassero libri e si fosse tutt'altro che digiuni di sapere è cosa nota. Lo testimonia l'esplosione della saggistica nel mercato editoriale di quegli anni e il complessivo incremento dei consumi culturali giovanili. Se poi passiamo al lassismo della scuola italiana di oggi, forse bisognerebbe ricordare i dati sulle bocciature nelle prime classi delle superiori e dei conseguenti abbandoni (soprattutto nel sud). Ma il loro rimpianto è per la scuola ordinata e solida pre '68 o per quei prestigiosi, e sparuti, licei presenti in ogni città italiana? Lì docenti motivati e stimati svolgevano la loro missione educativa. Chi scrive ha frequentato uno di quei licei e appartiene ad una generazione che ha potuto conoscere quella scuola e quei docenti, ancora sulla breccia negli anni '70. Francamente, nessuna nostalgia. Si trattava nella maggior parte dei casi di uomini e donne demotivati, chiusi nel fortino di un sapere archeologico e mai condiviso, alieni dal dialogo e dall'esperienza, requisiti indispensabili dell'apprendimento. A me quelle aule ricordano i "queruli ricinti" di cui parla Parini nel Giorno, dove al posto dei pianti per le staffilate somministrate dai maestri scorrevano fiumi di noia. Quella scuola non è più riproducibile, per due motivi fra tutti: non vi sono più quegli studenti, né il sapere è trasmissibile con quegli strumenti. L'apprendimento, ci piaccia o no, oggi avviene attraverso le molte strade fornite dalla società dell'informazione. La scuola per poter svolgere il suo ruolo non può negarle, né riproporre un microcosmo da novella accademia dell'Arcadia, mentre fuori tutto cambia. Se vogliamo continaure ad insegnare Ariosto e Tasso, come è giusto fare, dobbiamo porci il problema di come riuscire a farli interloquire con i nostri ragazzi. Non limitarci a reclamare il ritorno all'ordine del buon tempo antico. Niente di strano. Si tratta di utilizzare le risorse della didattica e della pedagogia. Sulle quali ogni buon docente dovrebbe interrogarsi prima di pronunciare un solo verso di Ariosto o Tasso. E allora vuoi vedere che i tanto vituperati Don Milani e Rodari possonio tornarci utili ?
paolo allegrezza