Sarò un sognatore, ma quel drappello di “attivisti” di ieri, venerdì 2 / 7, di fronte alla sede ed allo spaccio della Cooperativa agricola multifunzionale, Cobragor, di Roma ovest, mi ha colpito. Gli ho detto che erano “belli” mi avranno preso per matto, che poi è la verità, ma vorrei che sapessero cosa m’appariva bello in loro.
Preparavano la festa della sezione PD del vicino quartiere Palmarola, anziani e giovani, donne e uomini, indaffarati a spostare tavoli nell’aia, ad armeggiare per preparare la loro festa. Ma dicono “vieni anche tu”, lo dicono tutti, con un bel sorriso sincero.
Ho percepito in quei visi l’idea semplice del “noi aperto”, un atteggiamento emotivo, un invito, che non sentivo da anni.
Lo vivevo, tanti anni fa, nelle sezioni PCI di quartiere, anche a Roma, lo respiravo nei circoli Arci di ogni paesello toscano in cui brigavo.
Era un “noi” che accoglie ed ha il piacere di farlo, invita a condividere le speranze, le responsabilità e l’identità necessaria per realizzare l’inclusione possibile.
M’ha sorpreso poiché oggi non lo s’incontra facilmente. Si sbandiera, invece, il “noi chiuso” o si sopravvive di consumismi autistici ed è ovvio, poiché per proporre inclusione ci vuole una comunità tanto forte da proporsi, tanto serena da aprirsi. Cosa rara nella fase di transizione in cui viviamo, ancora senza identità dove avere “speranza” è molto difficile.
Quindi grazie “compagni” parola ormai quasi desueta, ma da reinventare, grazie per quei 10 minuti di serenità e fiducia che mi avete donato.
Peraltro, l’utile della felicità l’ho reinvestito subito in qualità. L’ho speso, infatti, allo spaccio della Cooperativa, tutto bio, tutto locale, e vedremo se la moglie approverà.
Franco Paolinelli