Tra
gli attori entrati a pieno titolo nella scena politica nazionale vi è
sicuramente Matteo Renzi. Un giovane. Con tanti meriti, diverse qualità
politiche e un bel po’ di furbizia a dargli man forte. Una furbizia,
però, che appartiene più ai vecchi metodi del sistema partitocratico che
a quel nuovo Umanesimo liberale di cui avremmo bisogno. La furbizia non
è una virtù, anche se in nel mondo guasto di oggi, soprattutto negli
ultimi anni, pare si sia imposta come una qualità di riferimento per un
gran numero di persone e dirigenti politici soppiantando l’intelligenza e
l’umano sentire. La cifra principale di Renzi è la furbizia. Almeno
questo appare dalla tv. Comunque, il sindaco di Firenze è sicuramente
una presenza scomoda per la nomenclatura del Partito Democratico e per
l’establishment che cerca di contrastarlo, non solo a sinistra. Ha avuto
coraggio a sfidare i vecchi dirigenti, ma chi si occupa della città di
Firenze mentre lui è impegnato con la testa e con il camper ad
affrontare la campagna elettorale per le primarie del centrosinistra?
Non è una scelta che infonde fiducia. E’ come se avesse sempre bisogno
di stare in campagna elettorale, invece che affrontare a tempo pieno il
difficile compito di governare un capoluogo di regione così importante.
Sono troppi anni che vediamo, davanti ai nostri occhi, sfilare una
classe dirigente di furbi, che accumulano incarichi di enorme
responsabilità e sommano ad essi ulteriori impegni, coccarde e
strapuntini. Questo “distrarsi”, infatti, rispetto alla fiducia ricevuta
dagli elettori fiorentini non gioca a suo favore. Con una tale
premessa, come possiamo fidarci? Insomma, Renzi è davvero una novità? Ad
uno sguardo superficiale, sembrerebbe proprio di sì, eppure c’è
qualcosa che traspare dalle sue presenze televisive che ci lascia
alquanto perplessi. C’è una distonia tra quanto Matteo dice e quel che
arriva allo spettatore tramite il suo sguardo. Come interpretasse un
ruolo che non corrisponde al suo vero modo di essere. Eppure, è bravo:
si esprime bene, sa fare le battute al momento giusto, avanza proposte
interessanti. Anche se fa spesso leva sulla demagogia, come quando
chiede il dimezzamento dei parlamentari senza rendersi conto che, così
facendo, dimezza quel poco di democrazia rappresentativa che ancora ci
rimane. E poi, soprattutto, ha scelto di stare nel campo unico e
trasversale della partitocrazia. Ma si tratta, ormai, di un campo secco,
desertificato, incoltivabile, non più edificabile perché colpito dal
virus di quella “Peste italiana” di cui hanno scritto e parlato i
Radicali e Marco Pannella. A mio parere, il cambiamento dell’attuale
sistema, che tanto vorremmo mutare, potrebbe concretizzarsi soltanto
attraverso una “rivoluzione copernicana”, cioè con un cambiamento dei
metodi, che dovrebbero essere necessariamente liberali, e dei
meccanismi, che dovrebbero essere democratici oltre che basati sulle
attitudini e le qualità delle persone. Insomma, la strada
liberal-democratica potrebbe essere quella che riuscisse a passare ad un
campo “altro”: dall’attuale campo unico della partitocrazia al campo
della Politica. Soltanto allora, forse, potremmo trovare un’alternativa
al pantano trasversale del Potere fine a se stesso. Il candidato alle
primarie del centrosinistra, lo sfidante di Pier Luigi Bersani, ha
scelto di stare tutto dentro al campo partitocratico, quindi non può
rappresentare una novità. Al massimo, si candida ad essere l’erede di
questo vecchio sistema di Potere. Con la variante anagrafica di essere
un giovane. Anche se, ad uno sguardo attento, appare già come un
giovane-vecchio. Quando Matteo Renzi passa in tv, infatti, la telecamera
ci trasferisce l’immagine di una personalità empatica, ma non
simpatica. Mi riferisco a quanto si percepisce dalla tv. Appare come un
furbo. Infatti, sul teleschermo, c’è una differenza tra simpatia ed
empatia: i protagonisti sono simpatici perché, seppur tra mille
peripezie ed eventuali travagli, anche quando sono detestati, ricercano
l’affermarsi di qualcosa di positivo, mentre gli antagonisti possono
essere empatici, cioè riescono a catturare l’attenzione del pubblico e
si fanno seguire lungo la storia, con una intensa partecipazione, anche
se perseguono un fine negativo e, speso, il loro obiettivo non è chiaro o
non è dichiarato. In altre parole, quanto dice ed esprime Renzi in tv è
spesso condivisibile, ma i sottotesti delle sue parole lasciano
intendere che lui non sostiene quelle cose perché le vuole realizzare
davvero, non crede in quello che dice. E’ come se fosse l’attore
sbagliato per ricoprire quel ruolo o quella funzione narrativa o quel
personaggio che si è cucito addosso. Matteo Renzi sarebbe più credibile
se fosse se stesso, se dicesse davvero quello che lui sente e pensa, al
di là della maschera che mette in scena. Insomma, se Renzi ha come dote
personale la furbizia, come appare in tv, allora dovrebbe cambiare
copione e difendere quel regime partitocratico che, ora, a parole,
afferma di voler sconfiggere. In altri termini, la sceneggiatura che
hanno scritto per Matteo Renzi è buona, ma l’attore è sbagliato per quel
ruolo. Si capisce che è un giovane-vecchio. Il futuro di cui abbiamo
bisogno è “altro”.