Il
problema della crisi non è tecnico, ma politico. La questione da
affrontare, infatti, non è soltanto economica o finanziaria, ma
coinvolge in profondità la vita di tutti i giorni, il nostro modo di
agire, di pensare, di relazionarci con gli altri. E’ una crisi che
colpisce l’assetto stesso dei partiti politici, il loro modo di essere
organizzati, la concezione che essi hanno della cosa pubblica e del
ruolo che dovrebbero svolgere nella società. La politica, allora, può
rinascere sul campo delle idee, del dialogo, della discussione. La
partitocrazia, invece, oggi più di ieri, sta cercando di trovare un modo
per sopravvivere a se stessa. Ma la crisi che stiamo vivendo è crisi
delle vecchie abitudini, delle certezze personali, dei nostri errori e
di quelli degli altri, di come porre rimedio. E’ un cambiamento profondo
che scuote le nostre presunzioni, le arroganze, la paura. E’ una crisi
che riguarda il concetto stesso di democrazia, l’idea di partecipazione
politica, il valore della rappresentanza. E’ una crisi che si fa sentire
soprattutto sul piano istituzionale e sociale, ma che viene da una vera
e propria crisi antropologica e culturale, civile e civico. E’ una
crisi politica che colpisce soprattutto il sistema della giustizia, lo
“stato di diritto”, la legalità. Sull’esito di una tale trasformazione,
tuttora in corso, non azzarderei previsioni: può andar bene e può andar
male, può essere una crisi di crescita o un ennesimo rigurgito
reazionario e illiberale. Di una cosa, però, sono sicuro: un problema di
tale entità non si può risolvere limitandosi ad interventi tecnici o
semplicemente adottando misure finanziarie, economiche e di bilancio.
Siamo di fronte a qualcosa di più grande e di più profondo. Siamo di
fronte a qualcosa che gli attuali partiti non hanno capito o non
vogliono capire perché, altrimenti, dovrebbero anche ammettere il loro
totale fallimento, salutare gli astanti e chiudere i battenti. Qui non
basta la soluzione tecnica. Lo vado ripetendo da mesi e mesi. Lo scrivo
quando posso, dove posso. Lo ha detto anche Mario Monti il 4 novembre
scorso, prima che venisse nominato senatore a vita e, quindi, ben prima
di ricevere l’incarico dal Presidente Napolitano di formare il governo:
“Il problema non è tecnico, ma di passare a un’altra politica”. Ma qual è
questa politica “altra”? Quella dei tecnici? Quella della
partitocrazia? Quella del Potere fine a se stesso? Quale? Gli “Amici dell’Opinione”
sono impegnati, ormai da tempo, proprio su tale fronte nel tentativo di
rispondere a queste domande e con lo scopo di formare un campo
liberal-democratico e riformatore che in Italia ancora non c’è. C’è,
però, tutto un mondo da reinventare, da costruire, da immaginare. E’ in
gioco il futuro. Infatti, sono i grandi temi della politica che
ritornano a porsi come punti ineludibili e nevralgici per la risoluzione
della crisi: la democrazia, la libertà, la giustizia, l’uguaglianza, la
selezione della classe dirigente, la circolazione delle idee, il ruolo
dei partiti, il riconoscimento dei meriti e la scelta dei metodi.
Insomma, la crisi che stiamo vivendo è una crisi politica. Per
risolverla, è necessario passare dalla partitocrazia alla politica,
un’altra politica.
Pier Paolo Segneri
membro della Giunta esecutiva di Radicali Italiani