E così si è conclusa anche questa edizione della GMG, col saluto di Benedetto XVI che ha dato appuntamento ai suoi “boys” a Rio de Janeiro nel 2013.
Tenuto conto delle polemiche che tale raduno ha scatenato fra gli “indignados” di Madrid, (i quali hanno criticato tanto gli elevati costi organizzativi sostenuti per l’occasione, quanto il presunto eccesso di deferenza riservato da Zapatero al pontefice), c’è da chiedersi se non vada cambiato qualcosa nell’impostazione e nello spirito dell’evento.
Forse sarebbe utile per il futuro aggiungere all’acronimo GMG una “C” finale, per render chiaro che – pur nella sua apprezzabilità – una simile iniziativa non può arrogarsi il diritto di definirsi tout court “Giornata Mondiale della Gioventù” se non limitatamente alla porzione sedicente “cattolica”, la sola che in essa possa riconoscersi. E anche così, a ben guardare, essa non rispecchierebbe la totalità dei giovani cattolici: non tutti infatti avrebbero considerato imperdibile l’esperienza del sorteggio per “vincere” il privilegio di confessarsi col Papa in un inquietante cubicolo bianco. Almeno qualcuno avrà pensato che se il confessore e il penitente si fossero seduti l’uno accanto all’altro su due semplici sedie, sarebbe stato un segno ben più efficace e umanizzante.
Se mai si volesse imprimere una svolta a questo tipo di raduno, sarebbe auspicabile renderlo un’autentica “Giornata mondiale della gioventù”, creando spazi di incontro e confronto su temi di comune interesse fra i giovani del mondo (a prescindere dalle rispettive diversità culturali, religiose, sociali e ideologiche), in cui la proposta cristiana potrà ancora validamente interpellare le persone a patto che rinunci a qualsiasi tentazione auto-celebrativa e auto-referenziale.
DaS