Per capire la scientifica liquidazione della componente liberal dalle liste PD, è utile ricordare i precedenti storici. Perché di una vicenda da vecchio Pci si è trattato e, non a caso, proprio un vecchio quadro del partitone, sempre fedele e sempre in maggioranza, come Bersani ne è stato l'autore. Correva il fatidico 1989 e in marzo a Roma si tiene il XVIII congresso del Pci, l'ultimo prima della svolta. Occhetto, eletto da poco segretario, lancia il "nuovo PCI" nel segno di Gorbaciov: il PCI non avrebbe dovuto cambiare nome, ma rivendicare orgogliosamente la sua identità di partito del comunismo democratico italiano. La traduzione politica si identificava nella scoperta di un nuovo radicalismo condito di globalismo (la famosa Amazzonia tanto cara al segretario), nel partito dei diritti (Rodotà), nel recupero del movimentismo ingraiano. A fare le spese dell'alleanza tra centro e sinistra del partito sarà la componente migliorista. Pochi giorni dopo il congresso si riunì il Comitato centrale per eleggere la nuova direzione e tutta la componente migliorista, con la sola eccezione di Napolitano, fu accuratamente impallinata dagli occhettiani con l'aiuto della sinistra. Gianni Cervetti, futuro autore del fondamentale (e unico contributo sul tema dei finanziamenti sovietici al Pci) L'oro di Mosca, non viene eletto per un voto.
Ventitré anni dopo la storia si ripete: tutti i componenti della corrente liberal, con la sola eccezione del veltroniano Tonini, sono fatti fuori. Renzi, nel frattempo, impersona la parte del soldato disciplinato e ad Orvieto va in scena un tristissimo convegno annuale di Libertà Eguale.