Forse è giunto il momento di sviluppare una teoria critica dei social network. Capirne la funzione profonda ed elaborarla facendo tesoro degli sviluppi recenti che li hanno visti protagonisti. Il pensiero va alle primavere arabe e al flusso imponente di comunicazione che i s.n. hanno dimostrato di saper mettere in movimento nelle mobilitazioni e nelle campagne per la libertà. Ma i s.n. non sono semplicemente nuovi media, sono ambienti della trasformazione antropologica (Franco Berardi Bifo su Alfabeta 2/marzo). Il soggetto che si attivizza nella comunicazione social è qualcosa d'altro rispetto all'utente passivo di giornali, radio, tv. Interagisce e proietta se stesso nella rete. Assume e a sua volta trasferisce informazione, ma vive nel virtuale assorbito in una dimensione temporale che può essere senza limiti. E' isolato anche se ha migliaia di amici perché non produce la vita, si limita a mimarla. Solo staccandosi dal monitor ed entrando nel reale, stabilisce relazioni. Altrimenti, il rischio è che l'altro scompaia assorbito nel mare dei mi piace e delle condivisioni. E allora una teoria critica dei s.n. potrebbe partire dal riconoscerne la qualità informativa, rigettandone l'uso individualistico, simil affettivo. E' in quest'ultimo aspetto che rischia di riproporsi, nell'immaterialità della rete, una vecchia conoscenza del secolo scorso: l'alienazione.
p.a.