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giovedì 30 agosto 2012

Hardt: comune non è pubblico


Ci sono delle lotte contro il privato che, anche quando hanno per scopo una forma comune, finiscono per ritornare sul terreno del controllo statale e della dimensione pubblica (...) Io credo che ci sia da assumere una doppia battaglia: da un lato contro il privato in difesa del pubblico e dall'altro contro il pubblico e per il comune (...) Questa doppia battaglia mi sembra necessaria. Vuol dire combattere il privato e il neoliberismo insieme con le forze pubbliche, ma anche e nello stesso momento combattere lo stato  e la proprietà pubblica per il comune e l'autogestione.

Il brano è estratto da un'intervista, pubblicata nel numero luglio-agosto di Alfabeta 2, di Anna Curcio a Michael Hardt autore, insieme ad Antonio Negri, della ormai celebre trilogia (Impero, Moltitudine, Comune). Hardt e Negri hanno l'ambizione di definire i contenuti di un nuovo pensiero comunista in grado di leggere (e trasformare) il mondo globalizzato, così come Marx fece con la società della seconda rivoluzione industriale. Che si condivida o no tale prospettiva, a noi sembra avvolta dalle fumisterie del passato, si tratta di un'elaborazione in cui è centrale il tema dello stato.  E' quest'ultimo aspetto che la rende interessante anche per chi non ne condivide gli esiti.
Nell'intervista H. sottolinea la differenza tra bene pubblico e comune spalancando la porta ad una riflessione che potrebbe essere salutare per i riformatori italiani. Da noi, dalle parti della sinistra ufficiale, prevale il leit motiv della difesa del pubblico (stato) ad ogni costo, anche quando è palesemente in contrasto con il bene comune: si pensi alla gestione di tante aziende pubbliche locali, alla riluttanza a vendere patrimonio dello stato,, all'idea che la crisi vada combattuta con una nuova stagione interventista. Soprattutto a livello locale, alla scala comunale, vi è la possibilità di sperimentare forme di auto organizzazione (progettazione partecipata, attività culturali dal basso, gestione dei servizi, referendum consultivi) che rendono il pubblico sempre meno gestore e sempre più produttore e recettore di idee. In altri casi a scompariroe del tutto (la vicenda del teatro Valle a Roma).. Una bella sfida da lanciare a chi considera Togliatti meritevole di entrare nel pantheon del Pd (vedi il surreale dibattito su Unità e Corriere delle scorse settimane). Si gioca qui, altro che nuovi e impossibili compromessi keynesiani, la partita dei prossimi anni: riuscire a salvaguardare e conquistare spazi di autodeterminazione e libertà sottraendoli alle varie corporazioni finanziarie, politiche, sociali e, last but non least, clericali.

 

domenica 26 agosto 2012

Saggio/Sauer: consigli di lettura

E' appena uscita l'edizione inglese (in cartaceo ed ebook)
della monografia che Antonino Saggio dedicò nel 1988 a Louis Sauer (Officina edizioni). L'architetto americano che ha progettato e realizzato edilizia ad alta densità e altezza contenuta (low rise high density housing). E' un libro che documenta l'intero lavoro di Sauer, fin dalle origini nei primi '60 a Filadelfia, avvalendosi di una ricca documentazione fotografica. Perché leggerlo, per di più in inglese? Il motivo principale, anche per i non architetti, sta nella documentazione di un'esperienza che è riuscita a tenere insieme qualità del progetto ed edilizia residenziale, grazie alla sapiente regia delle istituzioni locali che hanno indirizzato e dato regole. Il tutto nella giungla del liberismo nord americano che su certi temi forse tanto selvaggio non è. Se poi ci divertiamo a mettere a confronto le foto contenute nel volume di Saggio con quanto prodotto dalla nostra urbanistica contrattata (basta un qualunque scatto della nuova periferia est di Roma), c'è molto da riflettere su cosa significhi governare una città. Che non può volere dire limitarsi a stipulare con i privati un patto sulle aree e poi non badare alla qualità architettonica, ai servizi, all'impatto che quel nuovo costruito avrà sulla città. Infine, dal libro emerge come il lavoro di Sauer si sia sviluppato nei vuoti urbani, parti della città costruita da recuperare e riprogettare. Una lezione utile per noi, ora che finalmente comincia a farsi largo l'idea di porre un definitivo stop al consumo di suolo (la "linea rossa" oltre la quale non costruire più, come l'ha definita Vezio De Lucia e l'indirizzo indicato dagli ottimi referendum romani di cui proprio in questi giorni è in corso la raccolta di firme).
 Louis Sauer, The Architect of Low-rise High-density Housing




martedì 21 agosto 2012

Leggendo Infinite jest

Forse David Foster Wallace, prima di morire suicida nel 2008,  aveva trovato la chiave per raccontare il futuro - presente che ci aspetta. Lo ha fatto con Infinite jest, il romanzo uscito nel '96 e considerato ormai una delle opere fondamentali di questa nostra età liquida. La storia ruota intorno al tema della dipendenza, sviluppato dentro due luoghi claustrofobici: l'accademia di tennis Enfield e la Casa di recupero Ennet. Individui inebetiti dalle droghe e dalla perdita di senso, immersi in un mondo in cui neanche il calendario è sottratto allo strapotere delle corporations, si aggirano in un nord america sommerso dai rifiuti (ribattezzato ONAN) e per questo assorbito dal Canada. DFW lavora per accumulazione di materiali narrativi segnati dal costante ricorso alla digressione, secondo una modalità che ricorda Joyce. Anche questa volta, come nel primo '900, il romanzo ha colto potentemente la realtà nelle sue pieghe più profonde ed è riuscito a mostrarcela? Come Proust, Svevo, Kafka, Musil, i grandi che ci  svelarono la perdita del baricentro, il nuovo orizzonte obliquo e relativo nel quale avremmo dovuto imparare a muoverci. E l'importanza della malattia, si pensi alla sua centralità nella Recherche, per capire il rapporto tra il soggetto e il mondo. Se è così, se il tema della dipendenza e quello conseguente della etero direzione sono la cifra dell'oggi, allora il romanzo di DFW ci può aiutatre a demistificare il reale. Come sa fare la grande letteratura. Cominciando dalla messa in discussione, tema caro a DFW, dello strapotere dei saperi specialistici che ingabbiano il reale. E da lì partire, rimettere in campo una qualche ipotesi di liberazione che non può coincidere certo con gli scenari descritti dai vari revival filosofici anti capitalistici sostenuti dalle periodiche ondate dei  movimenti. Piuttosto riposizionarsi e ripartire da una scala ridotta, fondata sulla foucoultiana cura di sé e su una costante, inesausta pratica libertaria. Sulle nostre menti e sui nostri corpi. Perché se il futuro è quello immaginato da Infinite jest, allora è proprio della libertà che occorre occuparci. 

venerdì 17 agosto 2012

Un sogno di libertà: il 1647 a Napoli secondo Villari

"Un sogno di libertà", il libro che raccoglie e sviluppa pluriennale ricerca di Rosario Villari sul regno di Napoli negli anni della dominazione spagnola, è una lettura indispensabile per capire la storia del mezzogiorno. Un affresco ampio, di ben 665 pagine, alla maniera delle sintesi proprie della storiografia anglosassone. In più con una facilità di scrittura che ne esalta la dimensione divulgativa. Il pezzo forte è costituito dai dodici capitoli nuovi che estendono il lavoro originario uscito nel '67 alla trattazione della rivolta anti spagnola del 1647. Cosa può trovare nel libro il lettore non specialistico ? Innanzitutto, la traccia di una costante aspirazione alla libertà che trovò nel popolo e nella borghesia cittadina i suoi interpreti. Moto riformatore e rivoluzionario, tra i due vi è continuità, che vide protagonisti uomini di stato e intellettuali come Tommaso Campanella. Quest'ultimo, ricondotto alla sua dimensione di studioso avveduto e lucido, prima di farsi sostenitore della rivoluzione fu un tenace assertore delle riforme in senso anti feudale, per l'estensione della sfera di intervento e influenza della monarchia. Anche il banditismo si rivela come un fenomeno di lungo corso, altro che espressione di rivolte sottoproletarie come lo si è voluto interpretare in chiave risorgimentale. Fu espressione degli interessi del baronaggio, da essi alimentato in chiave anti regia, strumento della difesa del vecchio ordine. È quindi sfatato il mito dell'inerzia meridionale rispetto al potere, mente si conferma quello della difficoltà di dare a questo disagio il volto di un progetto politico. Limite che ha riguardato anche i due più consistenti movimenti politici che il mezzogiorno ha espresso nell'ultimo sessantennio: quello di occupazione delle terre nel secondo dopoguerra e, seppure prevalentemente siciliano, quello anti mafia dei primi anni '90. L'altro elemento riguarda la dimensione esterna della rivolta e della deflagrazione del potere spagnolo. Il moto napoletano del '47 si svolge mentre sta giungendo a termine la guerra dei trenta anni, evento che ridefinisce la geografia politica europea e segnò l'esaurimento di un sistema ormai anacronistico e troppo inefficiente come quello spagnolo dimostratosi non in grado di reggere al processo di globalizzazione da lui stesso innescato. Anche oggi la pressione della forza esterna spazza via un mondo, ma non è la fine della storia e la definitiva vittoria del capitalismo finanziario, come vorrebbe un certo pensiero apocalittico di moda in questi anni. Si sta giocando una nuova partita al centro della quale vi è il più gigantesco processo di secolarizzazione che l'umanità ha probabilmente conosciuto- come dimostra  ciò che sta accadendo in Cina e nel mondo islamico- nel quale entrano in gioco fattori economici, scientifici, religiosi. Toccherà alla politica, sempre in occidente, elaborare un modello di governo all'altezza di questa sfida in grado di proporre una nuova idea di sovranità, non più legata allo schema degli stati nazione. Dalle guerra dei trenta anni uscì vincente il modello stato - nazione, dal rivolgimento dei nostri giorni potrebbero scaturire nuove forme di governo di livello extra nazionale.




 

martedì 14 agosto 2012

Eretici: la "realtà nuova" di Tartaglia

Quello di Ferdinando Tartaglia è un nome che oggi quasi nessuno conosce. E a dire il vero neanche negli anni, tra il '45 e il '49, quando la sua avventura assunse una qualche rilevanza pubblica, fu mai popolare. Fu un riformatore religioso, appartenente a quella strana schiera di utopisti che pensarono di riformare non il cristianesimo, ma la religione. Si batterono per una nuova religione universale, la "realtà nuova", secondo la bella definizione che ne diede lo stesso Tartaglia. Fondò e diresse senza risparmio insieme a Capitini il Movimento di religione, un'esperienza tanto elitaria quanto "impossibile" nell'Italia dell'immediato dopoguerra che presto si dissolse. Da allora si chiuse nel silenzio, si sposò e trascorse gli anni gli rimasero fino alla morte (1987) nello studio e in una discreta pratica di carità. Poco prima di morire ottenne la riconciliazione con la Chiesa che l'aveva a suo tempo scomunicato. Ha lasciato una produzione sterminata in larga parte inedita. Fu anche, a suo modo, un intellettuale militante. Impegnato senza calcoli nella diffusione delle ragioni del rinnovamento spirituale, prima che politico.

 




mercoledì 8 agosto 2012

Riformatori religiosi: Luigi Trafelli

Luigi Trafelli (Nettuno, 1881 - 1942) fu un matematico, fisico e riformatore religioso. Fautore di un superamento del cristianesimo teistico e dogmatico, consegnò il suo pensiero ad una serie di piccoli saggi, dai quali traspare l'influenza di Tolstoj e l'ispirazione antiautoritaria. XX secolo dopo Cristo: Ubi Christianus (1917); Dottrina di Cristo - Haceldam (1924); Il testamento di Cristo ritrovato e pubblicato (1934); L'encyclique testamentaire de l'ile de déportation et de martyre du Pape Léon (1938). Fu corrispondente di Edmondo Marcucci che lo cita nelle sue Memorie.

 


sabato 4 agosto 2012

Uriel da Costa: le radici della religione aperta

Nell'aprile 1640 Uriel da Costa, teologo portoghese ebreo, figlio di conversos, era frustato per 39 volte sul sagrato della sinagoga di Amsterdam. Fu poi costretto a distendersi a terra in segno di umiliazione, mentre la folla lo calpestava. Pochi giorni dopo si suicidò, sparandosi. 
Era stato costretto ad abiurare: aveva contestato l'ispirazione divina della bibbia, i dogmi e la ritualizzazione della fede, giungendo alla conclusione della coincidenza tra Dio e natura. Denunciò le religioni organizzate come fonte di violenza e autoritarismo. Sempre ad Amsterdam un altro filosofo farà proprio di lì a poco il suo insegnamento: Baruch Spinoza. 

Nel dipinto, L'umiliazione di Uriel da Costa (Anonimo).