Riceviamo dall'On. Walter Tocci e volentieri pubblichiamo un estratto del documento sulla meritocrazia delle chiacchiere prediletta dal ministro Gelmini. A seguire la benmerita caricatura di Caterina Guzzanti.
Comincia una settimana decisiva per il futuro dell'università e del Paese. Cade o non cade il governo Berlusconi? Da questo dipende la sorte della legge Gelmini. Speriamo che domenica prossima sia un giorno di festa e si possa esultare sia per l'abbandono del Cavaliere sia per la cancellazione di un progetto dannoso.
Lavoreremo col massimo impegno in Parlamento. Occorre tenere alta la mobilitazione contro la legge. E soprattutto si deve continuare a smascherare la propaganda che l'ha sostenuta e che purtroppo è penetrata in profondità nel senso comune accademico. Ancora oggi mi sento dire da tante persone in buona fede che la Gelmini introduce la politica del merito. Purtroppo è vero esattamente il contrario. Il merito è solo nella straordinaria capacità del governo di raccontare un falso clamoroso. In tutti i sensi, è il trionfo della Meritocrazia delle Chiacchiere.
Per dimostrarlo ho provato a elencare una serie di fatti relativi sia al disegno di legge sia alla gestione corrente del ministero. Se vi sono errori o eccessi vi prego di correggerli, se vi sono dimenticanze vi prego di integrare le informazioni, se proprio non condividete neppure l'impianto del documento ditemelo sinceramente.
Insomma, vi propongo una sorta di gioco collettivo, una sorta di Wikipedia dello smascheramento mediatico o, se preferite, una sorta di Aufklärung dell'ideologia governativa.
1. C’è poco da valutare se vince la burocrazia
Che il ddl sia in contrasto con la politica del merito risulta evidente già a un sommario sguardo del testo. Infatti, se fosse approvato la mole spropositata di norme, circa 500 disposizioni e 1000 regolamenti, avrebbe l'effetto di rafforzare la convergenza degli atenei verso un modello unico, quello appunto preferito dal legislatore, che non è detto sia il più efficace. Una volta realizzata questa uniformità normativa non si capisce cosa si dovrebbe valutare. La qualità di un ateneo, ad esempio, dipende per grande parte dai suoi professori, ma se la politica delle risorse umane è ingabbiata in un pesante apparato normativo le performance risulteranno inevitabilmente molto appiattite. Al contrario, la politica del merito presuppone la promozione di differenze e di innovazioni che poi si espandono per emulazione e per competizione, innalzando la qualità del sistema. Tutto ciò può avvenire solo con una legislazione mite che lasci ampi spazi alla realizzazione di diversi modelli universitari.
Questa prospettiva di differenziazione è in atto in tutto il mondo ma non ha mai avuto molta fortuna nel nostro paese e anche da sinistra è stata vista con diffidenza. Pesa una malintesa concezione egualitaria che dovrebbe riguardare le condizioni di accesso ma non la disponibilità dell'offerta.
A ben vedere questo è il principale problema italiano. Il vecchio modello dell'università di élite che funzionava dignitosamente con pochi studenti è stato tirato come un elastico per rispondere a una popolazione studentesca dieci volte maggiore senza che intervenisse nessuna sostanziale differenziazione. Ed è molto difficile che tutti gli atenei sappiano fare bene le stesse cose, dalle lauree brevi ai dottorati, dalla didattica alla ricerca avanzata. La vera riforma avrebbe dovuto promuovere una nuova concezione dell’università pubblica con un'offerta molteplice di percorsi formativi e diversi assetti dell’attività di ricerca.
2. Il blocco dell'Anvur e del Civr
Il ministero ha bloccato qualsiasi attività di valutazione. In due anni e mezzo la Gelmini non è riuscita a presentare neppure un dato sulla produttività scientifica degli atenei e non sarebbe ormai in grado di farlo neppure se malauguratamente dovesse concludere il mandato alla scadenza prevista del 2013. In due anni e mezzo il ministro non è stato capace neppure di attivare l'Anvur che pure era già stata legiferata dal precedente governo. Ha perso inutilmente tempo nell'incertezza se abrogarla o approvarla, per poi concludere di mantenerla in vita riducendone però l'indipendenza rispetto al ministero. Il buon senso avrebbe voluto che nel frattempo si consentisse al Civr di proseguire le valutazioni dopo la buona prova data da questo organismo nel rapporto relativo agli anni 2001-2003, che ancora oggi rimane l'unico ranking disponibile sulla qualità scientifica dell'università italiana. Anche in questo caso ci sono voluti due anni per fare il decreto che autorizzava il Civr a riprendere le attività, ma dopo qualche mese c'è stato di nuovo un blocco. Che cosa è successo? Il primo passo della procedura di valutazione prevede la nomina dei valutatori per le diverse aree disciplinari. Qui viene da pensar male. Forse la lista predisposta dal Civr non è piaciuta al ministro e vorrebbe modificarla? Se si pretende di controllare i valutatori in sede politica è finita prima di cominciare la valutazione indipendente. Se anche l'Anvur dovesse funzionare in questo modo sarebbe meglio non farne niente.
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