Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Cari amici,
vi invio il link a un articolo che ho scritto per il quotidiano Terra e il webmagazine Linkontro dedicato al web 2.0 e alla partecipazione politica on line.
Lo spunto parte dal diffondersi su internet - grazie all'esplosione dei Social Network - di fenomeni collaborativi che stanno coinvolgendo settori sempre più ampi della società.
Nell'intrattenimento, nel business, e ora anche nella politica, le comunità di utenti si stanno trasformando sempre più in fornitori di idee, contenuti, soluzioni, talvolta geniali.
E su internet pullulano nuovi programmi creati ad hoc.
Alcuni anni or sono (a cavallo tra il 2004 e il 2007) diverse pubbliche amministrazioni lanciarono progetti pioneristici di partecipazione politica via internet. In buona parte oggi dimenticati.
E' possibile oggi rilanciare questi progetti con maggiore convinzione?
I tempi sembrerebbero maturi.
Mi farebbe piacere anche ricevere un vostro commmento su Linkontro, se lo riterrete opportuno.
Ciao
Stefano Rollo
(Consultant - Media & Educational management
Free lance)
lunedì 29 novembre 2010
sabato 27 novembre 2010
Una crostata da ricordare
Pubblichiamo la parte iniziale di un saggio di Paolo Allegrezza uscito sul n. 10 di mondoperaio. Una ricostruzione della vicenda della bicamerale D'Alema, un pro memoria per i nostri riformatori.
Tornando oggi sul tentativo riformatore messo in atto dalla commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema, la prima riflessione da fare riguarda la difficoltà di realizzare un progetto costituente mantenendo separati riforme e governo. Una delle ragioni del fallimento di quel disegno, se non la principale, è infatti da ricercare nella sovrapposizione tra il livello costituente e la perdurante competizione fra i partiti. Un quadro che, se per un verso rimanda al comportamento pilatesco tenuto in quell'occasione dal leader del Polo, per un altro chiama in causa un centro – sinistra stretto tra volontà di riforma e necessità di tutelare gli equilibri politici che lo sostenevano. Non è questa la sede per ricostruire la schermaglia di dichiarazioni e controdichiarazioni, stop and go che portarono alla crisi della bicamerale. Ciò che ci interessa sottolineare è il nesso tra le premesse da cui scaturì la bicamerale e la qualità del progetto riformatore che ne scaturì........
continua su mondoperaio
Tornando oggi sul tentativo riformatore messo in atto dalla commissione bicamerale presieduta da Massimo D'Alema, la prima riflessione da fare riguarda la difficoltà di realizzare un progetto costituente mantenendo separati riforme e governo. Una delle ragioni del fallimento di quel disegno, se non la principale, è infatti da ricercare nella sovrapposizione tra il livello costituente e la perdurante competizione fra i partiti. Un quadro che, se per un verso rimanda al comportamento pilatesco tenuto in quell'occasione dal leader del Polo, per un altro chiama in causa un centro – sinistra stretto tra volontà di riforma e necessità di tutelare gli equilibri politici che lo sostenevano. Non è questa la sede per ricostruire la schermaglia di dichiarazioni e controdichiarazioni, stop and go che portarono alla crisi della bicamerale. Ciò che ci interessa sottolineare è il nesso tra le premesse da cui scaturì la bicamerale e la qualità del progetto riformatore che ne scaturì........
continua su mondoperaio
mercoledì 24 novembre 2010
Tempo di Haiku
Ancora, dopo l'Oulipo, uno sguardo su forme della produzione letteraria non convenzionali. Gli Haiku. Poesia della natura e dell'anti retorica. Un esempio forse utile, per ricordare due attività poco all'uso dei nostri tempi: osservare e ascoltare.
Seguono un video di Carla Vasio e una raccolta di antichi H. giapponesi.
Seguono un video di Carla Vasio e una raccolta di antichi H. giapponesi.
domenica 21 novembre 2010
Una teologa ruvida
In occasione della morte di Adriana Zarri sono usciti molti commenti (segnaliamo l'ottimo finesettimana.org) che hanno permesso di ricostruire una straordinaria avventura spirituale e politica. Già perché la Zarri nel cliché dell'apocalittica non ci rientrava affatto. Per chi seguiva i suoi interventi e ne conosceva lo spirito urticante verso le gerarchie, si verificava l'incontro con posizioni libere accompagnate sempre dalla voglia di capire e di comunicare. Una donna che ha costruito tanto rendendosi protagonista di un'attività letteraria e saggistica incessante, fino all'ultimo. Qui sta la sua eredità, qui stanno le ragioni del silenzio proveniente oggi dalla Chiesa dei Palazzi. Segue un'intervista ad Enzo Bianchi, anche lui come la Zarri testimone di un cristianesimo che oggi sembra provenire da un altro pianeta, sulla vicenda dei monaci francesi narrata dal film "Hommes de Dieu".
p.a.
p.a.
martedì 16 novembre 2010
Meritocrazia delle chiacchiere
Riceviamo dall'On. Walter Tocci e volentieri pubblichiamo un estratto del documento sulla meritocrazia delle chiacchiere prediletta dal ministro Gelmini. A seguire la benmerita caricatura di Caterina Guzzanti.
Comincia una settimana decisiva per il futuro dell'università e del Paese. Cade o non cade il governo Berlusconi? Da questo dipende la sorte della legge Gelmini. Speriamo che domenica prossima sia un giorno di festa e si possa esultare sia per l'abbandono del Cavaliere sia per la cancellazione di un progetto dannoso.
Lavoreremo col massimo impegno in Parlamento. Occorre tenere alta la mobilitazione contro la legge. E soprattutto si deve continuare a smascherare la propaganda che l'ha sostenuta e che purtroppo è penetrata in profondità nel senso comune accademico. Ancora oggi mi sento dire da tante persone in buona fede che la Gelmini introduce la politica del merito. Purtroppo è vero esattamente il contrario. Il merito è solo nella straordinaria capacità del governo di raccontare un falso clamoroso. In tutti i sensi, è il trionfo della Meritocrazia delle Chiacchiere.
Per dimostrarlo ho provato a elencare una serie di fatti relativi sia al disegno di legge sia alla gestione corrente del ministero. Se vi sono errori o eccessi vi prego di correggerli, se vi sono dimenticanze vi prego di integrare le informazioni, se proprio non condividete neppure l'impianto del documento ditemelo sinceramente.
Insomma, vi propongo una sorta di gioco collettivo, una sorta di Wikipedia dello smascheramento mediatico o, se preferite, una sorta di Aufklärung dell'ideologia governativa.
1. C’è poco da valutare se vince la burocrazia
Che il ddl sia in contrasto con la politica del merito risulta evidente già a un sommario sguardo del testo. Infatti, se fosse approvato la mole spropositata di norme, circa 500 disposizioni e 1000 regolamenti, avrebbe l'effetto di rafforzare la convergenza degli atenei verso un modello unico, quello appunto preferito dal legislatore, che non è detto sia il più efficace. Una volta realizzata questa uniformità normativa non si capisce cosa si dovrebbe valutare. La qualità di un ateneo, ad esempio, dipende per grande parte dai suoi professori, ma se la politica delle risorse umane è ingabbiata in un pesante apparato normativo le performance risulteranno inevitabilmente molto appiattite. Al contrario, la politica del merito presuppone la promozione di differenze e di innovazioni che poi si espandono per emulazione e per competizione, innalzando la qualità del sistema. Tutto ciò può avvenire solo con una legislazione mite che lasci ampi spazi alla realizzazione di diversi modelli universitari.
Questa prospettiva di differenziazione è in atto in tutto il mondo ma non ha mai avuto molta fortuna nel nostro paese e anche da sinistra è stata vista con diffidenza. Pesa una malintesa concezione egualitaria che dovrebbe riguardare le condizioni di accesso ma non la disponibilità dell'offerta.
A ben vedere questo è il principale problema italiano. Il vecchio modello dell'università di élite che funzionava dignitosamente con pochi studenti è stato tirato come un elastico per rispondere a una popolazione studentesca dieci volte maggiore senza che intervenisse nessuna sostanziale differenziazione. Ed è molto difficile che tutti gli atenei sappiano fare bene le stesse cose, dalle lauree brevi ai dottorati, dalla didattica alla ricerca avanzata. La vera riforma avrebbe dovuto promuovere una nuova concezione dell’università pubblica con un'offerta molteplice di percorsi formativi e diversi assetti dell’attività di ricerca.
2. Il blocco dell'Anvur e del Civr
Il ministero ha bloccato qualsiasi attività di valutazione. In due anni e mezzo la Gelmini non è riuscita a presentare neppure un dato sulla produttività scientifica degli atenei e non sarebbe ormai in grado di farlo neppure se malauguratamente dovesse concludere il mandato alla scadenza prevista del 2013. In due anni e mezzo il ministro non è stato capace neppure di attivare l'Anvur che pure era già stata legiferata dal precedente governo. Ha perso inutilmente tempo nell'incertezza se abrogarla o approvarla, per poi concludere di mantenerla in vita riducendone però l'indipendenza rispetto al ministero. Il buon senso avrebbe voluto che nel frattempo si consentisse al Civr di proseguire le valutazioni dopo la buona prova data da questo organismo nel rapporto relativo agli anni 2001-2003, che ancora oggi rimane l'unico ranking disponibile sulla qualità scientifica dell'università italiana. Anche in questo caso ci sono voluti due anni per fare il decreto che autorizzava il Civr a riprendere le attività, ma dopo qualche mese c'è stato di nuovo un blocco. Che cosa è successo? Il primo passo della procedura di valutazione prevede la nomina dei valutatori per le diverse aree disciplinari. Qui viene da pensar male. Forse la lista predisposta dal Civr non è piaciuta al ministro e vorrebbe modificarla? Se si pretende di controllare i valutatori in sede politica è finita prima di cominciare la valutazione indipendente. Se anche l'Anvur dovesse funzionare in questo modo sarebbe meglio non farne niente.
( leggi il testo completo su facebook )
Comincia una settimana decisiva per il futuro dell'università e del Paese. Cade o non cade il governo Berlusconi? Da questo dipende la sorte della legge Gelmini. Speriamo che domenica prossima sia un giorno di festa e si possa esultare sia per l'abbandono del Cavaliere sia per la cancellazione di un progetto dannoso.
Lavoreremo col massimo impegno in Parlamento. Occorre tenere alta la mobilitazione contro la legge. E soprattutto si deve continuare a smascherare la propaganda che l'ha sostenuta e che purtroppo è penetrata in profondità nel senso comune accademico. Ancora oggi mi sento dire da tante persone in buona fede che la Gelmini introduce la politica del merito. Purtroppo è vero esattamente il contrario. Il merito è solo nella straordinaria capacità del governo di raccontare un falso clamoroso. In tutti i sensi, è il trionfo della Meritocrazia delle Chiacchiere.
Per dimostrarlo ho provato a elencare una serie di fatti relativi sia al disegno di legge sia alla gestione corrente del ministero. Se vi sono errori o eccessi vi prego di correggerli, se vi sono dimenticanze vi prego di integrare le informazioni, se proprio non condividete neppure l'impianto del documento ditemelo sinceramente.
Insomma, vi propongo una sorta di gioco collettivo, una sorta di Wikipedia dello smascheramento mediatico o, se preferite, una sorta di Aufklärung dell'ideologia governativa.
1. C’è poco da valutare se vince la burocrazia
Che il ddl sia in contrasto con la politica del merito risulta evidente già a un sommario sguardo del testo. Infatti, se fosse approvato la mole spropositata di norme, circa 500 disposizioni e 1000 regolamenti, avrebbe l'effetto di rafforzare la convergenza degli atenei verso un modello unico, quello appunto preferito dal legislatore, che non è detto sia il più efficace. Una volta realizzata questa uniformità normativa non si capisce cosa si dovrebbe valutare. La qualità di un ateneo, ad esempio, dipende per grande parte dai suoi professori, ma se la politica delle risorse umane è ingabbiata in un pesante apparato normativo le performance risulteranno inevitabilmente molto appiattite. Al contrario, la politica del merito presuppone la promozione di differenze e di innovazioni che poi si espandono per emulazione e per competizione, innalzando la qualità del sistema. Tutto ciò può avvenire solo con una legislazione mite che lasci ampi spazi alla realizzazione di diversi modelli universitari.
Questa prospettiva di differenziazione è in atto in tutto il mondo ma non ha mai avuto molta fortuna nel nostro paese e anche da sinistra è stata vista con diffidenza. Pesa una malintesa concezione egualitaria che dovrebbe riguardare le condizioni di accesso ma non la disponibilità dell'offerta.
A ben vedere questo è il principale problema italiano. Il vecchio modello dell'università di élite che funzionava dignitosamente con pochi studenti è stato tirato come un elastico per rispondere a una popolazione studentesca dieci volte maggiore senza che intervenisse nessuna sostanziale differenziazione. Ed è molto difficile che tutti gli atenei sappiano fare bene le stesse cose, dalle lauree brevi ai dottorati, dalla didattica alla ricerca avanzata. La vera riforma avrebbe dovuto promuovere una nuova concezione dell’università pubblica con un'offerta molteplice di percorsi formativi e diversi assetti dell’attività di ricerca.
2. Il blocco dell'Anvur e del Civr
Il ministero ha bloccato qualsiasi attività di valutazione. In due anni e mezzo la Gelmini non è riuscita a presentare neppure un dato sulla produttività scientifica degli atenei e non sarebbe ormai in grado di farlo neppure se malauguratamente dovesse concludere il mandato alla scadenza prevista del 2013. In due anni e mezzo il ministro non è stato capace neppure di attivare l'Anvur che pure era già stata legiferata dal precedente governo. Ha perso inutilmente tempo nell'incertezza se abrogarla o approvarla, per poi concludere di mantenerla in vita riducendone però l'indipendenza rispetto al ministero. Il buon senso avrebbe voluto che nel frattempo si consentisse al Civr di proseguire le valutazioni dopo la buona prova data da questo organismo nel rapporto relativo agli anni 2001-2003, che ancora oggi rimane l'unico ranking disponibile sulla qualità scientifica dell'università italiana. Anche in questo caso ci sono voluti due anni per fare il decreto che autorizzava il Civr a riprendere le attività, ma dopo qualche mese c'è stato di nuovo un blocco. Che cosa è successo? Il primo passo della procedura di valutazione prevede la nomina dei valutatori per le diverse aree disciplinari. Qui viene da pensar male. Forse la lista predisposta dal Civr non è piaciuta al ministro e vorrebbe modificarla? Se si pretende di controllare i valutatori in sede politica è finita prima di cominciare la valutazione indipendente. Se anche l'Anvur dovesse funzionare in questo modo sarebbe meglio non farne niente.
( leggi il testo completo su facebook )
giovedì 11 novembre 2010
Quei geniali creativi dell'Oulipo
Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Il video allegato esemplifica il felice incontro tra letteratura e matematica alla base dell'esperienza, tuttora attiva, dell'Oulipo.
Il 24 ottobre nel 1960, nella cantina del " Vero Guascone" si ritrovarono sette amici matematici che avevano a cuore la letteratura, così nacque OULIPO ovvero " OUVROIR DE LITTERATURE POTENTIELLE". Questi sette amici erano Françoi Le LInnais , Rayamond Queneau, Jacques Bens, Claude Berge, Jacques Ducheteau, Jean Lescure e Jean Queval.
Ancora oggi nel gruppo dell' OULIPO, si continuano a trovare e a produrre nuove forme e strutture letterarie. OULIPO è stato fondato per mischiare la matematica insieme alla letteratura.
Un esempio di unione tra matematica e letteratura è presente nel poema "Cent mille miliards", dove sono presenti, 10 sonetti con le stesse rime e una struttura grammaticale tale che ogni verso di ciascun sonetto è intercambiabile con ogni altro verso nella stessa posizione. Un altro esempio è la poesia di Louise de Vilmorin, ove ciascun verso della prima strofa ha la stessa lettura fonetica del corrispondente verso la seconda strofa:
Au long des mois
Par la Savoie
Six Reines, alors riant,
Paraissaient.
L'une, saule et nue
et tard, osa ces mots:
"S'en va l'heure
Oh, l'onde et moi"
parla sa voix,
quot, Sirenes à l'orient
paressaient!!!
Lune sous les nuèes,
ta rose a ses maux
sans valeur!!
Le teorie oulipistiche, hanno influenzato la struttura di alcuni libri di Italo Calvino, come ad esempio la "cornice" utilizzato per legare vari brani di "se una notte d'inverno un viaggiatore".
Un altro punto oulipiano è il principio della campionatura della potenziale molteplicità del narrabile che sta alla base de "il castello dei destini incrociati".
Calvino, purtroppo, non ha molti eredi nell'attuale scenario della letteratura italiana.
M.P.
Il 24 ottobre nel 1960, nella cantina del " Vero Guascone" si ritrovarono sette amici matematici che avevano a cuore la letteratura, così nacque OULIPO ovvero " OUVROIR DE LITTERATURE POTENTIELLE". Questi sette amici erano Françoi Le LInnais , Rayamond Queneau, Jacques Bens, Claude Berge, Jacques Ducheteau, Jean Lescure e Jean Queval.
Ancora oggi nel gruppo dell' OULIPO, si continuano a trovare e a produrre nuove forme e strutture letterarie. OULIPO è stato fondato per mischiare la matematica insieme alla letteratura.
Un esempio di unione tra matematica e letteratura è presente nel poema "Cent mille miliards", dove sono presenti, 10 sonetti con le stesse rime e una struttura grammaticale tale che ogni verso di ciascun sonetto è intercambiabile con ogni altro verso nella stessa posizione. Un altro esempio è la poesia di Louise de Vilmorin, ove ciascun verso della prima strofa ha la stessa lettura fonetica del corrispondente verso la seconda strofa:
Au long des mois
Par la Savoie
Six Reines, alors riant,
Paraissaient.
L'une, saule et nue
et tard, osa ces mots:
"S'en va l'heure
Oh, l'onde et moi"
parla sa voix,
quot, Sirenes à l'orient
paressaient!!!
Lune sous les nuèes,
ta rose a ses maux
sans valeur!!
Le teorie oulipistiche, hanno influenzato la struttura di alcuni libri di Italo Calvino, come ad esempio la "cornice" utilizzato per legare vari brani di "se una notte d'inverno un viaggiatore".
Un altro punto oulipiano è il principio della campionatura della potenziale molteplicità del narrabile che sta alla base de "il castello dei destini incrociati".
Calvino, purtroppo, non ha molti eredi nell'attuale scenario della letteratura italiana.
M.P.
mercoledì 10 novembre 2010
Psicosi da “nomination”
Ottimo esordio l’altra sera per Saviano e Fabio Fazio, d’accordo.
Ma un brivido mi ha percorso la schiena leggendo l’articolo di Sandra Amurri su Il Fatto Quotidiano di oggi, dove si parla con entusiasmo dell’efficacia e della possibile “spendibilità” mediatico-politica della coppia Vendola-Saviano, tale forse da placare l’ansia gerontoclasta del giovane Renzi.
E lascia perplessi il riferimento alle “capacità narrative” dei suddetti: quasi che ai fini di un autentico rinnovamento del PD e della sinistra in generale fosse più necessaria la gratificante ondata emotiva prodotta dai due abili affabulatori piuttosto che il lavoro sotterraneo, a volte sottotono ma costante, talvolta non sfavillante ma apprezzabile; insomma, il “fare politica” condotto dal segretario Bersani.
Forse lo slogan “Rimbocchiamoci le maniche” non sarà dei più travolgenti e innovativi, ma credo sia preferibile all’accattivante quanto inconsistente proposta dei sedicenti “Comizi d’amore”.
La passione e l’impegno di Saviano e Vendola ci sono ben note e la sinistra, anzi il Paese, ne ha certo bisogno come linfa rigenerante. Ma attenzione a incoronarli salvatori della patria. Non esponiamo l’uno e l’altro a logiche di “nomination” stile Grande Fratello, che oggi decretano vincente la stessa persona che domani potrebbero distruggere e dimenticare.
Evitiamo soprattutto il sempre perdente populismo di sinistra.
DaS
Ma un brivido mi ha percorso la schiena leggendo l’articolo di Sandra Amurri su Il Fatto Quotidiano di oggi, dove si parla con entusiasmo dell’efficacia e della possibile “spendibilità” mediatico-politica della coppia Vendola-Saviano, tale forse da placare l’ansia gerontoclasta del giovane Renzi.
E lascia perplessi il riferimento alle “capacità narrative” dei suddetti: quasi che ai fini di un autentico rinnovamento del PD e della sinistra in generale fosse più necessaria la gratificante ondata emotiva prodotta dai due abili affabulatori piuttosto che il lavoro sotterraneo, a volte sottotono ma costante, talvolta non sfavillante ma apprezzabile; insomma, il “fare politica” condotto dal segretario Bersani.
Forse lo slogan “Rimbocchiamoci le maniche” non sarà dei più travolgenti e innovativi, ma credo sia preferibile all’accattivante quanto inconsistente proposta dei sedicenti “Comizi d’amore”.
La passione e l’impegno di Saviano e Vendola ci sono ben note e la sinistra, anzi il Paese, ne ha certo bisogno come linfa rigenerante. Ma attenzione a incoronarli salvatori della patria. Non esponiamo l’uno e l’altro a logiche di “nomination” stile Grande Fratello, che oggi decretano vincente la stessa persona che domani potrebbero distruggere e dimenticare.
Evitiamo soprattutto il sempre perdente populismo di sinistra.
DaS
domenica 7 novembre 2010
Tea party e liberali di casa nostra
Proseguiamo il dibattito sui tea party con un pezzo di Paolo Allegrezza uscito in contemporanea su The Front Page. In allegato l'intervista allo studente americano che causò la gaffe della Palin, poi zittita da Mc Cain, sull'eventualità di bombardare il Pakistan.
Forse è venuto il momento di dire che una banalità, anche se ammantata di spirito liberale e liberista, rimane una banalità. E’ il caso dell’articolo di Piero Ostellino (Corriere della sera, 6 novembre) dedicato ai Tea Party. Tutto fondato sul solito refrain dei tentacoli keynesiani che minaccerebbero la bella e dinamica società civile americana. E allora, secondo lui, ben venga la protesta anti-establishment dei Tea Party che dovrebbe far riflettere anche la sinistra di casa nostra.
Tuttavia, la “narrazione” liberista dovrà pur fare i conti con la realtà. Due dati: il numero degli americani poveri è tra il 13 e il 14% della popolazione, corrispondente a circa 43 milioni di persone (dato stabile dal 1970); prima della riforma di Obama i cittadini privi di assicurazione sanitaria ammontavano a 50,7 milioni. La retorica snob piena di ostilità al capitalismo, come la definisce Ostellino, agisce in realtà in una wasteland su cui si sono abbattuti decenni di politiche mercatiste (con la parziale eccezione clintoniana). Negli anni ‘80 e ‘90 le distanze sociali sono abissalmente aumentate, tanto che il carattere inclusivo e sostanzialmente livellato della società americana, con il suo immenso ceto medio, è divenuto un pallido ricordo.
Soluzioni? Né la spesa in deficit, né il tassa e spendi caro alla vecchia sinistra europea degli anni d’oro della socialdemocrazia. Ma neanche il solito mantra Reagan-Thatcher-Friedman, vecchio di trent’anni. I Tea Party interpretano l’ennesima ventata populista destinata ad alzare molta polvere, ma a costruire poco. Sarah Palin e Catherine O’ Donnel, oltre al look cotonato, non sono lontane dal ringhio delle nostre Santanché. Ne scaturisce un impasto di ultratradizionalismo, anarco-capitalismo, edonismo à la Billionaire.
Però ci vuole altro per scandalizzare i raffinati liberali dei nostri giorni perché un Einaudi francamente con i Tea Party non ce lo vediamo. Per loro è tutta salute, tutta energia prodotta dal basso contro burocrati e sinistra anticapitalistica. In Italia c’è da immettere ancora molto spirito liberale (e competitivo) nel sistema: dai pubblici servizi locali, alle professioni, all’università. Ma c’è anche bisogno di usare la mano pubblica per consentire a tutti se non di partire dalle stesse condizioni, almeno di ridurre le distanze. E’ quell’approccio lib-lab su cui parte della sinistra italiana si era incamminata negli anni ’80 e che oggi fa tanta fatica a tradursi in un progetto spendibile elettoralmente.
La sinistra europea ha messo negli anni ‘90 in discussione lo statalismo ed oggi è in difficoltà perché in tempi di globalizzazione parlare di libertà ed eguaglianza non è facile. Ma certi liberali lascino a casa vecchi slogan. Di “Servire il mercato” non se ne sente proprio il bisogno.
p.a.
Forse è venuto il momento di dire che una banalità, anche se ammantata di spirito liberale e liberista, rimane una banalità. E’ il caso dell’articolo di Piero Ostellino (Corriere della sera, 6 novembre) dedicato ai Tea Party. Tutto fondato sul solito refrain dei tentacoli keynesiani che minaccerebbero la bella e dinamica società civile americana. E allora, secondo lui, ben venga la protesta anti-establishment dei Tea Party che dovrebbe far riflettere anche la sinistra di casa nostra.
Tuttavia, la “narrazione” liberista dovrà pur fare i conti con la realtà. Due dati: il numero degli americani poveri è tra il 13 e il 14% della popolazione, corrispondente a circa 43 milioni di persone (dato stabile dal 1970); prima della riforma di Obama i cittadini privi di assicurazione sanitaria ammontavano a 50,7 milioni. La retorica snob piena di ostilità al capitalismo, come la definisce Ostellino, agisce in realtà in una wasteland su cui si sono abbattuti decenni di politiche mercatiste (con la parziale eccezione clintoniana). Negli anni ‘80 e ‘90 le distanze sociali sono abissalmente aumentate, tanto che il carattere inclusivo e sostanzialmente livellato della società americana, con il suo immenso ceto medio, è divenuto un pallido ricordo.
Soluzioni? Né la spesa in deficit, né il tassa e spendi caro alla vecchia sinistra europea degli anni d’oro della socialdemocrazia. Ma neanche il solito mantra Reagan-Thatcher-Friedman, vecchio di trent’anni. I Tea Party interpretano l’ennesima ventata populista destinata ad alzare molta polvere, ma a costruire poco. Sarah Palin e Catherine O’ Donnel, oltre al look cotonato, non sono lontane dal ringhio delle nostre Santanché. Ne scaturisce un impasto di ultratradizionalismo, anarco-capitalismo, edonismo à la Billionaire.
Però ci vuole altro per scandalizzare i raffinati liberali dei nostri giorni perché un Einaudi francamente con i Tea Party non ce lo vediamo. Per loro è tutta salute, tutta energia prodotta dal basso contro burocrati e sinistra anticapitalistica. In Italia c’è da immettere ancora molto spirito liberale (e competitivo) nel sistema: dai pubblici servizi locali, alle professioni, all’università. Ma c’è anche bisogno di usare la mano pubblica per consentire a tutti se non di partire dalle stesse condizioni, almeno di ridurre le distanze. E’ quell’approccio lib-lab su cui parte della sinistra italiana si era incamminata negli anni ’80 e che oggi fa tanta fatica a tradursi in un progetto spendibile elettoralmente.
La sinistra europea ha messo negli anni ‘90 in discussione lo statalismo ed oggi è in difficoltà perché in tempi di globalizzazione parlare di libertà ed eguaglianza non è facile. Ma certi liberali lascino a casa vecchi slogan. Di “Servire il mercato” non se ne sente proprio il bisogno.
p.a.
giovedì 4 novembre 2010
Joe the Plumber: chi era costui?
A quanti – come nel mio caso – siano sprovvisti di una solida e aggiornata conoscenza in materia di politica interna USA, potrà forse risultare interessante – per sapere qualcosa in più sul tanto menzionato Tea Party - un articolo di Massimo Cavallini apparso il 16 agosto scorso sul blog “2americhe” dal titolo “Tea Party, la forza dei nervi tesi”.
DaS
DaS
martedì 2 novembre 2010
Democrazia Usa
L'abitudine di sparare addosso, e giustamente, ai nostri partiti può farci dimenticare la crisi della democrazia negli States. Secondo noi è arduo spacciare la trita demagogia dei tea parties per la rivincita di Hayek su Keynes, come sostiene Oscar Giannino (Chicago blog). L'eroina di questi nuovi rivoluzionari, Sarah Palin, semmai ricorda il volto del leghismo peggiore, à là Gentilini. E' pur vero che il dinamismo è una caratteristica della democrazia americana: Johnson perdente nel mod - term '66, Reagan nell'82 dopo la vittoria dell'80, Clinton nel '94. Ma la talpa del populismo questa volta sembra trovare terreni molto, troppo fertili, nonostante la pochezza esibita dal candidato tea party del video - parodia qui allegato.
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