Proponiamo un'intervista al Prof. Stefano Garano, già ordinario di urbanistica a "La Sapienza" e protagonista della stesura del nuovo Piano regolatore di Roma negli anni delle giunte Rutelli - Veltroni. Si parla del complesso iter del Piano e delle sue connessioni con la politica della mobilità, di cessioni compensative, di espropri, degli interventi possibili nelle periferie. Un excursus sul recente passato utile a capire le difficoltà che deve affrontare chiunque voglia governare Roma. Il tutto in un campo, l'urbanistica, alieno da comode semplificazioni.
Prima parte
Seconda parte
mercoledì 27 ottobre 2010
venerdì 22 ottobre 2010
Una metafora
Il design può essere un'efficace metafora del riformismo. Non si fonda sull'individualismo, né sul culto del genio, ma sulla collaborazione - interazione fra bisogni diversi. Il produttore, il progettista, i tecnici esperti di materiali, gli addetti ai conti devono cooperare per realizzare un oggetto che non avrà un valore soltanto estetico. Sarà il di più fornito dalla creatività a fare la differenza fra un prodotto e l'altro. Ecco, forse oggi nella sinistra italiana c'è bisogno di questa umiltà, di un senso di appartenenza ad una filiera del fare piuttosto che del dire. Come il design ha un senso solo se legato alla produzione, come sostiene Aldo Colonetti nel video allegato, così la politica è tale solo se realizza i suoi disegni.
GNF
GNF
martedì 19 ottobre 2010
Ariosto in Garfagnana: la difficoltà italiana di essere nazione
Pubblichiamo una recensione di Franco Scarnati ad un volume, a cura di Vittorio Gatto (Diabasis), contenente le lettere scritte da Ludovico Ariosto nel corso del soggiorno in Garfagnana (1522 - 1525). Ci sono molti spunti per una riflessione sulle radici storiche del particolarismo italico. Segue un breve filmato che ripropone una riflessione di Italo Calvino sul valore "civile" del lavoro letterario del grande ferrarese.
Con questa sua esemplare fatica letteraria il professor Gatto ricostruisce con la sua “Introduzione” alle “Lettere ” la vita trascorsa da Ludovico Ariosto nella Garfagnana dal 1522 al 1525. Questo lavoro ha il merito di riproporre e di riconsegnare alla nostra attenzione una produzione epistolare che è documento prezioso per conoscere l’Ariosto nella sua vita e nel suo agire quotidiano ma anche quello di fornirci un materiale, un documento che ricostruisce il piccolo mondo in cui deve agire il poeta, lontano in tutti i sensi dai palazzi del potere ma testimone e protagonista delle vicende di un piccolo territorio italiano nella prima metà del XVI sec. .
Il riesame che Gatto ci ripropone infatti è un’analisi accurata e fedele anche nella loro cronologia delle lettere che l’Ariosto scrive durante la sua permanenza e il suo incarico di governatore in Garfagnana al duca d’Este Alfonso I e ai vari organi di governo e di giustizia dei territori limitrofi( in particolare a quello di Lucca e spesso anche a quello di Firenze). E proprio questo sguardo dall’interno permette a Gatto di attraversare e riguardare da vicino la vita e gli affanni quotidiani dell’autore del Furioso e di vedere concretamente momenti e qualità e difficoltà del suo agire che arricchiscono il quadro biografico del poeta e narratore ferrarese.
Questa ricca e preziosa disamina quindi consente di fare innanzi tutto alcune considerazioni sulla personalità dell’Ariosto e sul modo in cui egli svolge la sua attività di governatore: attenzione ai diritti dei più deboli, vigile contro i soprusi dei violenti, pronto alla denuncia e a perseguire i delitti e gli assassini, fortemente preoccupato per il pericolo di diffusione della peste, o per il rischio di carestia. Scrive Gatto: “... l’alta coscienza del compito affidatogli, la rigorosa osservanza della legge in ogni suo provvedimento, il senso di umanità che costantemente lo colloca a fianco degli umili e degli offesi- “i poveromini”- ai quali mai viene resa giustizia…” (pag. 83)
Purtroppo però il governatore è in difficoltà per le scarse forze di cui dispone e da qui le richieste di aiuto al duca Alfonso che non sembra dargli molto ascolto, e solo alla fine del suo mandato si decide ad inviare rinforzi al suo governatore; e da qui la ripetuta richiesta di azioni concertate con le autorità dei territori confinanti, Lucca e Firenze in particolare, nell’intento e nella speranza di perseguire con maggiore efficacia i malfattori, tentativi che però per molto tempo non sembrano sortire grandi risultati.
Emerge quindi da queste lettere e dalla disamina attenta che fa Gatto un aspetto che va oltre la vicenda personale e di governo dello stesso Ariosto e che lui stesso ci racconta , e cioè che questa situazione di delinquenza diffusa, accanto alla frammentazione politica e giuridica del territorio, permette ai banditi di spostarsi ed emigrare tra un confine ed un altro trovando rifugio, mentre le varie autorità di governo –divise tra Ferrara, Lucca, Firenze e anche la Roma papalina/medicea- sono indecise se non incapaci di un vero intervento per risanare quel territorio, quando non addirittura complici con i delinquenti anche per oscure convenienze politiche.
E questa situazione porta conseguenze pesanti per il commercio, a partire da quello del sale che già aggravato dal pagamento dei dazi tra le varie dogane è ora messo in pericolo a causa delle rapine dei banditi, o da quello delle castagne e delle merci in generale, e diffonde, rende possibili ruberie a danno della proprietà privata, furti della legna negli appezzamenti privati o degli importantissimi animali da soma e da trasporto, ruberie dei beni personali quando non l’assassinio dei proprietari, e varie attività di natura delinquenziale che rimangono spesso impunite, rendendo quanto mai difficile la distribuzione e la diffusione delle merci in generale, e vieppiù insicura la vita i commerci il lavoro della gente perbene .
Insomma questo esemplare lavoro di Gatto ha il merito di riproporre alla nostra attenzione questo libro di testimonianze del grande Ludovico e di cogliere quindi di più e meglio la sua personalità, il suo modo di agire, il suo sguardo sul mondo tanto disincantato nel Furioso quanto attento, tenace, imparziale e severo quando si fa giudice e governatore. Ma oltre a ciò ha un secondo merito “indiretto” potremmo dire: ci testimonia e ci permette di capire una volta di più come nel Bel paese le divisioni territoriali, esistenti sin da quando il poeta scrive queste lettere, e persistenti per secoli a venire, con tanto di dazi per il commercio e con tante rivalità di natura politica tra i vari governanti della penisola divisi anche nelle alleanze interne e con le potenze straniere( tra il partito italiano e quello filo francese), e la mancanza quindi di un governo unitario e di un mercato nazionale unico abbiano ritardato la formazione di una classe dirigente e di una nascente borghesia capace di promuovere un vero sviluppo capitalistico, così come avveniva nelle nazioni vicine a cominciare dalla Francia.
Per questo, ancora, per quella frammentazione territoriale e per quelle divisioni politiche tra gli “Stati italiani” di cui “Le lettere” sono esemplare testimonianza e anche denuncia, i destini di una patria nazionale(o qualcosa del genere) vengono rinviati e ritardati alla seconda metà dell’ottocento lasciando per secoli le genti d’Italia sotto il dominio straniero o sotto odiosi nazionali governi tirannici.
F.S.
Con questa sua esemplare fatica letteraria il professor Gatto ricostruisce con la sua “Introduzione” alle “Lettere ” la vita trascorsa da Ludovico Ariosto nella Garfagnana dal 1522 al 1525. Questo lavoro ha il merito di riproporre e di riconsegnare alla nostra attenzione una produzione epistolare che è documento prezioso per conoscere l’Ariosto nella sua vita e nel suo agire quotidiano ma anche quello di fornirci un materiale, un documento che ricostruisce il piccolo mondo in cui deve agire il poeta, lontano in tutti i sensi dai palazzi del potere ma testimone e protagonista delle vicende di un piccolo territorio italiano nella prima metà del XVI sec. .
Il riesame che Gatto ci ripropone infatti è un’analisi accurata e fedele anche nella loro cronologia delle lettere che l’Ariosto scrive durante la sua permanenza e il suo incarico di governatore in Garfagnana al duca d’Este Alfonso I e ai vari organi di governo e di giustizia dei territori limitrofi( in particolare a quello di Lucca e spesso anche a quello di Firenze). E proprio questo sguardo dall’interno permette a Gatto di attraversare e riguardare da vicino la vita e gli affanni quotidiani dell’autore del Furioso e di vedere concretamente momenti e qualità e difficoltà del suo agire che arricchiscono il quadro biografico del poeta e narratore ferrarese.
Questa ricca e preziosa disamina quindi consente di fare innanzi tutto alcune considerazioni sulla personalità dell’Ariosto e sul modo in cui egli svolge la sua attività di governatore: attenzione ai diritti dei più deboli, vigile contro i soprusi dei violenti, pronto alla denuncia e a perseguire i delitti e gli assassini, fortemente preoccupato per il pericolo di diffusione della peste, o per il rischio di carestia. Scrive Gatto: “... l’alta coscienza del compito affidatogli, la rigorosa osservanza della legge in ogni suo provvedimento, il senso di umanità che costantemente lo colloca a fianco degli umili e degli offesi- “i poveromini”- ai quali mai viene resa giustizia…” (pag. 83)
Purtroppo però il governatore è in difficoltà per le scarse forze di cui dispone e da qui le richieste di aiuto al duca Alfonso che non sembra dargli molto ascolto, e solo alla fine del suo mandato si decide ad inviare rinforzi al suo governatore; e da qui la ripetuta richiesta di azioni concertate con le autorità dei territori confinanti, Lucca e Firenze in particolare, nell’intento e nella speranza di perseguire con maggiore efficacia i malfattori, tentativi che però per molto tempo non sembrano sortire grandi risultati.
Emerge quindi da queste lettere e dalla disamina attenta che fa Gatto un aspetto che va oltre la vicenda personale e di governo dello stesso Ariosto e che lui stesso ci racconta , e cioè che questa situazione di delinquenza diffusa, accanto alla frammentazione politica e giuridica del territorio, permette ai banditi di spostarsi ed emigrare tra un confine ed un altro trovando rifugio, mentre le varie autorità di governo –divise tra Ferrara, Lucca, Firenze e anche la Roma papalina/medicea- sono indecise se non incapaci di un vero intervento per risanare quel territorio, quando non addirittura complici con i delinquenti anche per oscure convenienze politiche.
E questa situazione porta conseguenze pesanti per il commercio, a partire da quello del sale che già aggravato dal pagamento dei dazi tra le varie dogane è ora messo in pericolo a causa delle rapine dei banditi, o da quello delle castagne e delle merci in generale, e diffonde, rende possibili ruberie a danno della proprietà privata, furti della legna negli appezzamenti privati o degli importantissimi animali da soma e da trasporto, ruberie dei beni personali quando non l’assassinio dei proprietari, e varie attività di natura delinquenziale che rimangono spesso impunite, rendendo quanto mai difficile la distribuzione e la diffusione delle merci in generale, e vieppiù insicura la vita i commerci il lavoro della gente perbene .
Insomma questo esemplare lavoro di Gatto ha il merito di riproporre alla nostra attenzione questo libro di testimonianze del grande Ludovico e di cogliere quindi di più e meglio la sua personalità, il suo modo di agire, il suo sguardo sul mondo tanto disincantato nel Furioso quanto attento, tenace, imparziale e severo quando si fa giudice e governatore. Ma oltre a ciò ha un secondo merito “indiretto” potremmo dire: ci testimonia e ci permette di capire una volta di più come nel Bel paese le divisioni territoriali, esistenti sin da quando il poeta scrive queste lettere, e persistenti per secoli a venire, con tanto di dazi per il commercio e con tante rivalità di natura politica tra i vari governanti della penisola divisi anche nelle alleanze interne e con le potenze straniere( tra il partito italiano e quello filo francese), e la mancanza quindi di un governo unitario e di un mercato nazionale unico abbiano ritardato la formazione di una classe dirigente e di una nascente borghesia capace di promuovere un vero sviluppo capitalistico, così come avveniva nelle nazioni vicine a cominciare dalla Francia.
Per questo, ancora, per quella frammentazione territoriale e per quelle divisioni politiche tra gli “Stati italiani” di cui “Le lettere” sono esemplare testimonianza e anche denuncia, i destini di una patria nazionale(o qualcosa del genere) vengono rinviati e ritardati alla seconda metà dell’ottocento lasciando per secoli le genti d’Italia sotto il dominio straniero o sotto odiosi nazionali governi tirannici.
F.S.
domenica 17 ottobre 2010
PD e classe operaia
La manifestazione Fiom di sabato 16 è stata un successo. Molta rabbia e richiami alla resistenza. Però non si è colta, pur all'interno di una grande prova di forza sostenuta, la possibilità di una politica. Perché riproporre le ricette novecentesche della sinistra proprio non si può e il solo richiamo alle vecchie bandiere riempie le piazze, ma condanna alla sconfitta. E' necessario per ciò che quella piazza e i riformisti dialoghino e costruiscano insieme un programma di governo. Il PD non può fare a meno degli operai che hanno sfilato ieri a Roma perché il riformismo senza popolo semplicemente non è, la Fiom non può permettersi di disperdere il consenso che ha in una mera battaglia identitaria. Le interviste di seguito, anche nell'asprezza dei toni, confermano quanto questo dialogo sia urgente.
(1)
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domenica 10 ottobre 2010
Un nuovo Walter all'orizzonte ?
Una breve riflessione sul Pd, con un video a seguire tratto da una relazione di Pietro Ichino sulla flexsecurity. L'articolo è stato pubblicato anche su thefrontpage.it
E se Veltroni si avviasse ad essere un po' meno Veltroni, dando così un utile contributo al Pd ? Lo lasciano sperare le mosse delle ultime settimane, almeno dopo l'efficace disinnesco della lettera dei 75 operato da Bersani. Le uscite sul papa straniero e l'assenza di leadership sembrano ormai in archivio per essere sostituite da un'inedita attenzione a questioni programmatiche irrisolte. Qualche esempio: se i veltroniani rilanciano l'elaborazione di Ichino sul contratto unico e sulla decentralizzazione della contrattazione, se scelgono di puntare su una proposta indigesta al vocabolario tradizionale della sinistra come la politica migratoria selettiva, se sulla scuola evitano di andare a rimorchio delle giaculatorie sui tagli per porre l'accento sulla misurazione esterna della qualità del servizio offerto dai singoli istituti, se di fronte al rituale autunno caldo di scuole e università, si richiama il Pd alla sua dimensione di partito riformista non timoroso di essere scavalcato a sinistra, allora il quadro cambia.
Anche sulla politica fiscale si può rilanciare la proposta di riduzione dell'Irpef, su cui sta insistendo Bersani da mesi, da accompagnare però con una corrispondente riduzione della spesa pubblica. Tema quest'ultimo decisamente meno frequentato dal segretario democratico. Tutto ciò rimanda ad un profilo politico molto lontano dal volto suadente ed ecumenico proposto in questi anni da Veltroni e ancor di più dai "comizi d'amore" del vate pugliese, almeno quando indossa le vesti di candidato alla leadership del centro - sinistra. Perché il bilancio del Vendola pugliese è ben più sostanzioso e appetibile della "narrazione" piuttosto melensa offerta nella versione nazionale. Veltroni potrebbe continuare in questo percorso di allontanamento da se stesso sparigliando così il tradizionale gioco delle fazioni interne al PD che vede oscillare periodicamente il pendolo tra richiamo alla “responsabilità” da parte dei dalemiani e confusi richiami al nuovismo. Sarà pure una speranza mal riposta, ma si rimane sconsolati di fronte ad alcune uscite delle nuove leve. Che dire dell'ennesima boutade demagogica, questa volta di Civati, che all'assemblea di Busto Arsizio ha presentato un ordine del giorno per la rottamazione dei dirigenti di lungo corso ? E allora se nasce un “nuovo” Walter coraggiosamente riformista, anche sotto le sembianze di una corrente alla luce del sole che a lui fa riferimento, può essere una buona notizia per il Pd e per i soliti quattro gatti lib – lab della sinistra.
p.a.
E se Veltroni si avviasse ad essere un po' meno Veltroni, dando così un utile contributo al Pd ? Lo lasciano sperare le mosse delle ultime settimane, almeno dopo l'efficace disinnesco della lettera dei 75 operato da Bersani. Le uscite sul papa straniero e l'assenza di leadership sembrano ormai in archivio per essere sostituite da un'inedita attenzione a questioni programmatiche irrisolte. Qualche esempio: se i veltroniani rilanciano l'elaborazione di Ichino sul contratto unico e sulla decentralizzazione della contrattazione, se scelgono di puntare su una proposta indigesta al vocabolario tradizionale della sinistra come la politica migratoria selettiva, se sulla scuola evitano di andare a rimorchio delle giaculatorie sui tagli per porre l'accento sulla misurazione esterna della qualità del servizio offerto dai singoli istituti, se di fronte al rituale autunno caldo di scuole e università, si richiama il Pd alla sua dimensione di partito riformista non timoroso di essere scavalcato a sinistra, allora il quadro cambia.
Anche sulla politica fiscale si può rilanciare la proposta di riduzione dell'Irpef, su cui sta insistendo Bersani da mesi, da accompagnare però con una corrispondente riduzione della spesa pubblica. Tema quest'ultimo decisamente meno frequentato dal segretario democratico. Tutto ciò rimanda ad un profilo politico molto lontano dal volto suadente ed ecumenico proposto in questi anni da Veltroni e ancor di più dai "comizi d'amore" del vate pugliese, almeno quando indossa le vesti di candidato alla leadership del centro - sinistra. Perché il bilancio del Vendola pugliese è ben più sostanzioso e appetibile della "narrazione" piuttosto melensa offerta nella versione nazionale. Veltroni potrebbe continuare in questo percorso di allontanamento da se stesso sparigliando così il tradizionale gioco delle fazioni interne al PD che vede oscillare periodicamente il pendolo tra richiamo alla “responsabilità” da parte dei dalemiani e confusi richiami al nuovismo. Sarà pure una speranza mal riposta, ma si rimane sconsolati di fronte ad alcune uscite delle nuove leve. Che dire dell'ennesima boutade demagogica, questa volta di Civati, che all'assemblea di Busto Arsizio ha presentato un ordine del giorno per la rottamazione dei dirigenti di lungo corso ? E allora se nasce un “nuovo” Walter coraggiosamente riformista, anche sotto le sembianze di una corrente alla luce del sole che a lui fa riferimento, può essere una buona notizia per il Pd e per i soliti quattro gatti lib – lab della sinistra.
p.a.
mercoledì 6 ottobre 2010
Dalla creazione allo Ior
La secolarizzazione galoppante della Chiesa si può conciliare con la missione planetaria di aggregazione dell'Uno ? Un intervento di Franco Paolinelli preceduto da una certa sequenza.
Le Scritture descrivono piuttosto bene la prima fase di sviluppo della materia che si organizza in modo sempre più complesso, dando luogo ad un insieme di forme possibili, inorganiche ed organiche, senza una vera soluzione di continuità. Le “giornate bibliche” possono essere lette, infatti, come fasi dell’evoluzione, al culmine delle quali, secondo le Scritture, appare l’Uomo.
Questi è tale, e non più animale, in quanto ha “coscienza”. Il suo effetto è di spingere l’Uomo ad organizzare le sue comunità, non accetta più la condizione animale e crea nuovi mezzi e nuove forme sociali per difendersi e crescere.
Ma, questo processo, fin dal suo inizio, inverte la polarità dell’evoluzione: dalla diversificazione all’integrazione. Appena apparso, infatti, l’Uomo avvia la crescita numerica delle sue comunità, procede con l’addomesticazione di piante ed animali e costruisce i suoi villaggi utilizzando quanto la Natura gli mette a disposizione. Con questi mezzi è andato, finora, organizzando società sempre più complesse.
Oggi la dinamica del processo inizia a manifestarsi alla scala planetaria. Infatti, è andata crescendo la velocità con la quale si sviluppa l’integrazione, è aumentata esponenzialmente la complessità delle comunità umane, si è proporzionalmente ridotto il numero delle sue unità geo-politiche, è andato crescendo il numero di elementi della Natura integrati nelle comunità a guida umana.
Sembra quindi evidenziarsi un fine teleologico del processo: l’integrazione dell’esistente in un Uno di scala superiore.
Questi, che si vada sviluppando da un’inseminazione primigenia del pianeta o che emerga dal moto proprio della materia potrebbe essere il risultato atteso della Creazione. Se questa è promossa da colui chi in molti chiamano Dio, l’Uno è suo figlio, eventualmente Lui stesso che si riproduce.
Quindi, che sia quello dell’una o dell’altra religione l’Uno di scala superiore potrebbe essere il risultato del processo nelle sue due fasi: incremento di diversità nella prima e reintegrazione nella stessa nell’Uno nella seconda. In altre parole, la prima fase l’evoluzione produce le componenti per l’edificazione dell’Uno stesso.
Non sappiamo, però, qual è la scala dell’Uno figlio di DIO, se sia il pianeta, una volta integrato a singola forma di vita, eventualmente pronta a colonizzare le galassie, ovvero se sia quella delle stelle stesse.
Comunque, nella consapevolezza del processo, le Chiese si sono fatte carico di guidare le comunità per garantire che lo sviluppo dell’organizzazione dell’UNO proceda in modo omogeneo e sostenibile, senza scarti tali che possano arrestarla, quindi attendendo che l’adattamento della specie uomo continui senza salti nel futuro di complessità non ancora raggiunte ma anche senza ritorni a livelli di complessità inferiori, non più idonei alle comunità.
Peraltro, le aperture già avviate per arrivare alla riunione delle Chiese d’origine cristiana ed il dialogo avviato con le altre Religioni monoteiste e non solo, indicano come la Chiesa globale sia già in corso di definizione.
Data la vastità del compito c’è da chiedersi se l’Istituto per le Opere di Religione ne sia uno strumento indispensabile o meno.
F.P.
Le Scritture descrivono piuttosto bene la prima fase di sviluppo della materia che si organizza in modo sempre più complesso, dando luogo ad un insieme di forme possibili, inorganiche ed organiche, senza una vera soluzione di continuità. Le “giornate bibliche” possono essere lette, infatti, come fasi dell’evoluzione, al culmine delle quali, secondo le Scritture, appare l’Uomo.
Questi è tale, e non più animale, in quanto ha “coscienza”. Il suo effetto è di spingere l’Uomo ad organizzare le sue comunità, non accetta più la condizione animale e crea nuovi mezzi e nuove forme sociali per difendersi e crescere.
Ma, questo processo, fin dal suo inizio, inverte la polarità dell’evoluzione: dalla diversificazione all’integrazione. Appena apparso, infatti, l’Uomo avvia la crescita numerica delle sue comunità, procede con l’addomesticazione di piante ed animali e costruisce i suoi villaggi utilizzando quanto la Natura gli mette a disposizione. Con questi mezzi è andato, finora, organizzando società sempre più complesse.
Oggi la dinamica del processo inizia a manifestarsi alla scala planetaria. Infatti, è andata crescendo la velocità con la quale si sviluppa l’integrazione, è aumentata esponenzialmente la complessità delle comunità umane, si è proporzionalmente ridotto il numero delle sue unità geo-politiche, è andato crescendo il numero di elementi della Natura integrati nelle comunità a guida umana.
Sembra quindi evidenziarsi un fine teleologico del processo: l’integrazione dell’esistente in un Uno di scala superiore.
Questi, che si vada sviluppando da un’inseminazione primigenia del pianeta o che emerga dal moto proprio della materia potrebbe essere il risultato atteso della Creazione. Se questa è promossa da colui chi in molti chiamano Dio, l’Uno è suo figlio, eventualmente Lui stesso che si riproduce.
Quindi, che sia quello dell’una o dell’altra religione l’Uno di scala superiore potrebbe essere il risultato del processo nelle sue due fasi: incremento di diversità nella prima e reintegrazione nella stessa nell’Uno nella seconda. In altre parole, la prima fase l’evoluzione produce le componenti per l’edificazione dell’Uno stesso.
Non sappiamo, però, qual è la scala dell’Uno figlio di DIO, se sia il pianeta, una volta integrato a singola forma di vita, eventualmente pronta a colonizzare le galassie, ovvero se sia quella delle stelle stesse.
Comunque, nella consapevolezza del processo, le Chiese si sono fatte carico di guidare le comunità per garantire che lo sviluppo dell’organizzazione dell’UNO proceda in modo omogeneo e sostenibile, senza scarti tali che possano arrestarla, quindi attendendo che l’adattamento della specie uomo continui senza salti nel futuro di complessità non ancora raggiunte ma anche senza ritorni a livelli di complessità inferiori, non più idonei alle comunità.
Peraltro, le aperture già avviate per arrivare alla riunione delle Chiese d’origine cristiana ed il dialogo avviato con le altre Religioni monoteiste e non solo, indicano come la Chiesa globale sia già in corso di definizione.
Data la vastità del compito c’è da chiedersi se l’Istituto per le Opere di Religione ne sia uno strumento indispensabile o meno.
F.P.
domenica 3 ottobre 2010
Sinistra ed identità n. 2
Riceviamo e volentieri pubblichiamo un secondo contributo di Franco Paolinelli sulla difficoltà di definire un'identità di sinistra oggi. Segue il trailer de "La passione", il bel film di Mazzacurati che, a suo modo, entra nell'argomento.
Le comunità, finché non interviene una catastrofe, vivono un processo dinamico di ampliamento che implica crescita numerica delle loco componenti, sviluppo tecnologico, adattamento umano, incremento di organizzazione, inclusione, migliore distribuzione del benessere. Questa dinamica è stata chiamata progresso.
Il cuore dell’essere sociologicamente di sinistra è nel saper vedere le esigenze della comunità oltre le proprie, quindi nel sostenerne il progresso e nel partecipare, responsabilmente, all’edificazione di un assetto sociale che valorizzi le opportunità tecnologiche e culturali disponibili.
Oggi quanto detto, tra gli altri aspetti, implica il sostegno alle tecnologie che non comportano rischi per le comunità, alla creazione delle stesse alle scale coerenti con i mezzi di comunicazione disponibili, quindi all’inclusione delle realtà ambientali, dei popoli, delle culture e delle nazioni che i mercati mettono in relazione e coinvolgono nello sviluppo….. ed alla gestione responsabile delle dinamiche commerciali, sociali, culturali e politiche, che il processo stesso determina.
Nella fase evolutiva in atto questa posizione non è facile.
Infatti, in primo luogo, la scala e l’idea stessa di assetto sociale possibile non sono evidenti: la società utopica è difficile da immaginare. Non è affatto chiara la sua fisionomia, ne in termini tecnologici, ne culturali, sociali e politici.
Inoltre, la scala della lotta politica è ancora nazionale, mentre l’assetto possibile e necessario è globale. L’insieme delle forze umane che dovrebbero crearlo è però, ancora frammentato nelle molteplici realtà locali.
Peraltro, alle scale nazionali, molte delle realtà sociali la cui inclusione era il fine dei progressisti di ieri, oggi difendono interessi consolidati e questo chiedono di fare ai loro rappresentanti.
Le loro organizzazioni tradizionali si trovano, quindi, nella difficile condizione di richiamarsi a valori progressisti e difendere al contempo interessi conservativi, spesso corporativi.
Inoltre, non può essere progressista chi vive ubriaco delle aspettative di consumo sollecitate dai media, né, quindi, chi vive nella paura di non avere identità, di non avere lo status auspicato, né chi si sente minacciato da ogni “altro”, che sia umano o non.
Gli interessi d’inclusione potrebbero essere espressi dagli immigrati, ma questi ancora non hanno capacità di dialogo con le forze politiche, ne queste sanno ancora rapportarsi con le loro comunità.
Tanto meno possono esprimere consenso le realtà ambientali che l’espansione incontrollata coinvolge nello sviluppo delle comunità umane.
Inoltre, la lungimiranza necessaria a vedere l’evolvere fisiologico del processo di costruzione dell’assetto possibile, quindi, la tenacia e la pazienza necessarie a sopportarne i tempi, conservando l’impegno della sua edificazione, non sono facili da mettere in atto.
Coerentemente l’immagine del progressista non va di moda quanto è andata in decenni addietro, non paga, quindi, non interessa a chi sposa determinati comportamenti solo se gli offrono un profitto d’identità e di opportunità.
Quindi, la confusione di modelli e la difficoltà a proporre alle categorie sociali un progetto d’inclusione aperto alla scala necessaria rendono oggi le “azioni” delle forze tradizionalmente progressiste poco appetibili.
Per tutto quanto detto fare questa politica oggi non è affatto facile, indipendentemente dall’abilità di rappresentanza messa in atto dai conduttori delle forze stesse.
Sono, però, dell’opinione che inseguire gli elettori nelle istanze populiste cui oggi gran parte degli elettori è più sensibile sia per le forze tradizionalmente “di sinistra” una politica suicida, infatti non solo quest’atteggiamento contraddice l’identità stessa progressista, ma c’è inoltre chi lo sa fare meglio, senza mali di pancia.
Penso, invece, che la crescita di consapevolezza della difficoltà stessa della politica e dell’identità progressista possa essere d’aiuto nel coinvolgere chi può vedere i processi e contribuire all’edificazione del progresso possibile.
F.P.
Le comunità, finché non interviene una catastrofe, vivono un processo dinamico di ampliamento che implica crescita numerica delle loco componenti, sviluppo tecnologico, adattamento umano, incremento di organizzazione, inclusione, migliore distribuzione del benessere. Questa dinamica è stata chiamata progresso.
Il cuore dell’essere sociologicamente di sinistra è nel saper vedere le esigenze della comunità oltre le proprie, quindi nel sostenerne il progresso e nel partecipare, responsabilmente, all’edificazione di un assetto sociale che valorizzi le opportunità tecnologiche e culturali disponibili.
Oggi quanto detto, tra gli altri aspetti, implica il sostegno alle tecnologie che non comportano rischi per le comunità, alla creazione delle stesse alle scale coerenti con i mezzi di comunicazione disponibili, quindi all’inclusione delle realtà ambientali, dei popoli, delle culture e delle nazioni che i mercati mettono in relazione e coinvolgono nello sviluppo….. ed alla gestione responsabile delle dinamiche commerciali, sociali, culturali e politiche, che il processo stesso determina.
Nella fase evolutiva in atto questa posizione non è facile.
Infatti, in primo luogo, la scala e l’idea stessa di assetto sociale possibile non sono evidenti: la società utopica è difficile da immaginare. Non è affatto chiara la sua fisionomia, ne in termini tecnologici, ne culturali, sociali e politici.
Inoltre, la scala della lotta politica è ancora nazionale, mentre l’assetto possibile e necessario è globale. L’insieme delle forze umane che dovrebbero crearlo è però, ancora frammentato nelle molteplici realtà locali.
Peraltro, alle scale nazionali, molte delle realtà sociali la cui inclusione era il fine dei progressisti di ieri, oggi difendono interessi consolidati e questo chiedono di fare ai loro rappresentanti.
Le loro organizzazioni tradizionali si trovano, quindi, nella difficile condizione di richiamarsi a valori progressisti e difendere al contempo interessi conservativi, spesso corporativi.
Inoltre, non può essere progressista chi vive ubriaco delle aspettative di consumo sollecitate dai media, né, quindi, chi vive nella paura di non avere identità, di non avere lo status auspicato, né chi si sente minacciato da ogni “altro”, che sia umano o non.
Gli interessi d’inclusione potrebbero essere espressi dagli immigrati, ma questi ancora non hanno capacità di dialogo con le forze politiche, ne queste sanno ancora rapportarsi con le loro comunità.
Tanto meno possono esprimere consenso le realtà ambientali che l’espansione incontrollata coinvolge nello sviluppo delle comunità umane.
Inoltre, la lungimiranza necessaria a vedere l’evolvere fisiologico del processo di costruzione dell’assetto possibile, quindi, la tenacia e la pazienza necessarie a sopportarne i tempi, conservando l’impegno della sua edificazione, non sono facili da mettere in atto.
Coerentemente l’immagine del progressista non va di moda quanto è andata in decenni addietro, non paga, quindi, non interessa a chi sposa determinati comportamenti solo se gli offrono un profitto d’identità e di opportunità.
Quindi, la confusione di modelli e la difficoltà a proporre alle categorie sociali un progetto d’inclusione aperto alla scala necessaria rendono oggi le “azioni” delle forze tradizionalmente progressiste poco appetibili.
Per tutto quanto detto fare questa politica oggi non è affatto facile, indipendentemente dall’abilità di rappresentanza messa in atto dai conduttori delle forze stesse.
Sono, però, dell’opinione che inseguire gli elettori nelle istanze populiste cui oggi gran parte degli elettori è più sensibile sia per le forze tradizionalmente “di sinistra” una politica suicida, infatti non solo quest’atteggiamento contraddice l’identità stessa progressista, ma c’è inoltre chi lo sa fare meglio, senza mali di pancia.
Penso, invece, che la crescita di consapevolezza della difficoltà stessa della politica e dell’identità progressista possa essere d’aiuto nel coinvolgere chi può vedere i processi e contribuire all’edificazione del progresso possibile.
F.P.
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