Ho l'impressione che nelle analisi della crisi manchi
la consapevolezza di un dato sociale fondamentale: la paura.
Per rilanciare un'economia ci vorrebbe entusiasmo,
pulsione creativa verso il futuro. E' la sola condizione perché tanti
accettino il rischio di intraprendere, quindi creare lavoro, sviluppo, crescita.
Ma non accade. Nonostante i finanziamenti di ogni tipo si chiudono le imprese
esistenti e non se ne aprono di nuove. Le condizioni in Italia sono difficili, è
vero, chi ha voglia di fare è martoriato da burocrazia, professionisti,
fisico. Ma è sempre stato così e nonostante ciò le imprese si facevano.
Oggi c'è qualcosa di più, c'è la paura. Ed è comprensibile, infatti, l'età
media degli abitanti aumenta, le incertezze aumentano, la diffidenza aumenta, la
stanchezza aumenta.
Sono dominate dalla paura tutte le categorie
sociali, gli occupati, i pensionati, i professionisti, i politici, gli
imprenditori assistiti, tutti terrorizzati dal perdere le piccole o grandi
sicurezze che hanno.
Il nostro, come forse anche altri, è, di
conseguenza, un paese in stato di paralisi emotiva e culturale, e non sono
le sfumature di una o dell'altra politica che potranno sovvertire questo dato.
Infatti per la tanto invocata crescita il problema non è più il come, ma il
chi.
Come ho detto in altre occasioni, per superare
questa condizione è necessario prenderne atto. Solo sapendo da dove parte
qualcuno potrà avere il coraggio di ricominciare.
f.p.