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giovedì 30 settembre 2010

Ed, David e l'italia

Ed Miliband ha 41 anni ed è il nuovo leader del Labour party. E’ stato scelto con primarie alle quali si può partecipare solo con il supporto di almeno 33 parlamentari perché in Inghilterra l’opposizione si fa in parlamento più che sui giornali. Quando era una giovane promessa non ha mai fatto numeri alla Renzi o alla Serracchiani la quale pochi giorni fa, con sprezzo del ridicolo, si è proposta in un futuro ticket con Vendola.

Il fratello sconfitto, David (45), ha inviato una lettera alla sua constituency di South Shileds nella quale annuncia la volontà di non assumere incarichi nel governo ombra. David d’ora in poi si dedicherà allo studio della politica internazionale e alla rappresentanza del suo collegio elettorale. David si è messo disciplinatamente al servizio del suo partito, né sembra voglia fondare fondazioni o organizzare correnti. Il confronto con i nostri leader è ingeneroso e forse inutile. Ma poiché gli esseri umani hanno gli stessi pregi e difetti a tutte le latitudini, c’è da ritenere che la ragione della differenza tra italiani ed inglesi sia da ricercare nella politica più che nell’antropologia.

Finché non avremo un sistema istituzionale (primarie, collegi elettorali, governo ombra nella versione inglese, ma funziona anche il pacchetto tedesco) efficiente che funga da tagliola nei riguardi degli sconfitti, dovremo rassegnarci al trionfo dei personalismi. Insomma, ci dovremo abituare a leader sconfitti che pretendono di dare la linea a chi ha vinto su di loro o ad auto candidature noncuranti delle poche regole che ci sono (lo statuto del Pd esclude Chiamparino dalla gara).

Da noi nessuno può pronunciare parole come queste di David: “Any new leader needs time and space to set his or her own direction, priorities and policies.Ed needs a free hand but also an open field”. Semplicemente perché non vi è nessuna buona ragione che gli suggerisca di pronunciarle.
p.a.

Nel video una dichiarazione di David in cui sottolinea l'impegno per la scuola pubblica e il ruolo del governo ombra.

domenica 26 settembre 2010

La tranquilla normalità del Labour

Ed Miliband, 41 anni, è il nuovo leader del Labour party. Ha vinto d'un soffio sul fratello David. E' stato scelto con primarie alle quali si può partecipare solo con il supporto di almeno 33 parlamentari. Non ha insultato nessuno, né fatto numeri alla Renzi. Ha dichiarato: «Dobbiamo ridurre il deficit ma fare molto di più. Questo Paese è troppo iniquo e la differenza tra ricchi e poveri non danneggia solo i poveri, ma tutti. Sono convinto che ci sono troppe persone escluse dalle opportunità e questo deve cambiare». In questa intervista alla BBC espone le sue idee.

lunedì 20 settembre 2010

Oltre lo schermo

Mentre il Pd si avvita nelle sue abituali polemiche e nei personalismi, vi sono dei luoghi privilegiati dove è possibile seguire il dibattito politico come se fossimo in un paese normale. Posti dove si parla di temi astrali quali la possibilità di rilanciare un’identità ideale e programmatica del socialismo riformista. Siti web, blog, e due preziose riviste, Le nuove ragioni del socialismo e Mondoperaio, consentono un’alternativa a chi sia stanco del solito birignao condito di primarie, leader da sostituire, interviste a Cacciari o, peggio, a Renzi.

Entrambe nel loro ultimo numero hanno parlato di un seminario svoltosi a Roma nel giugno scorso ed avente ad oggetto il modo in cui il socialismo europeo può pensare di dare una risposta alla crisi economica internazionale e da lì provare a rialzare la testa. Da segnalare la relazione introduttiva di Salvatore Biasco imperniata sul ritorno ad incisive politiche pubbliche nel segno del superamento dei dogmi neoliberisti da cui la sinistra europea vincente nello scorso decennio si sarebbe fatta ammaliare. Biasco, e con lui altri relatori, propone un nuovo interventismo pubblico nel segno del primato della politica da svilupparsi entro un rinnovato contesto europeo. La premessa è individuata nell’estensione della costruzione europea dal livello economico a quello politico.

Chi scrive ha più di una perplessità sulla validità di questa ricetta, di cui non si capisce l’effettiva distanza dal tradizionale tassa e spendi della sinistra pre Blair; oppure sulla sua utilità nel superare l’annoso problema italiano di un costo del lavoro per le imprese quasi pari a quello tedesco con salari inferiori del 40%. Per non parlare del peso delle tante corporazioni. Ma non è questo il punto.

Sull’ultimo Mondoperaio vi sono articoli puntuali e documentati sul Mitbestimmung, il modello tedesco di partecipazione dei sindacati nei consigli di sorveglianza delle aziende, sulle proposte Ichino-Boeri riguardanti il contratto unico e, udite udite, sulla retorica anti urbana di certo ambientalismo (in un pezzo di Guido Martinotti).


Tutt’altro che chiacchiere. Temi difficili, si dirà, poco adatti al chiacchiericcio di Porta a Porta o Ballarò (Santoro è un’altra cosa), ma di cui il leader di un partito riformista come il Pd non può non parlare. Perché se si trova il tempo per commentare l’ultima boutade di Veltroni, bisogna trovarne il doppio per parlare di cosa si vuole fare una volta al governo. Che si aguzzino gli ingegni, magari escogitando qualche inedita forma di comunicazione. Ci sono tanti
professionisti del settore che potrebbero essere d’aiuto. Bersani potrebbe iniziare a non rispondere più quando lo interpellano sulle solite banalità ed andare a ruota libera con dati e proposte di governo. Forse all’inizio lo prenderebbero per matto, ma poi potrebbe comunicare a chi lo ascolta un vago senso di soddisfazione, se non di piacere, assente nelle sue ultime, cupe perfomance televisive.
p.a.

La città è più verde della campagna

Segnaliamo la pubblicazione anche in Italia del bel libro di David Owen, Green metropolis (Egea, università Bocconi). Dimostra con dovizia di dati ed esempi la maggiore sostenibilità ambientale di un cittadino di New York city rispetto ad uno che vive in campagna: "l'82% degli abitanti di NYC va al lavoro a piedi, con i mezzi pubblici o in bici(...)nel bucolico Vermont, gli abitanti consumano più acqua dei newyorkesi… più del triplo della benzina… più del quadruplo dell’elettricità". A seguire il video di una conferenza tenuta dall'autore a Londra.

York city che in campagna.

lunedì 13 settembre 2010

Due letture di "Canale Mussolini"

Pubblichiamo di seguito 2 testi sul romanzo di Pennacchi. Il primo, già pubblicato, è di Paolo Allegrezza ed ha suscitato la replica contenuta nel secondo, il cui autore è Franco Scarnati. Le successive controrepliche sono in forma di commento. Il tutto preceduto da un'intervista all'autore.




Canale Mussolini, il romanzo di Antonio Pennacchi vincitore del premio Strega, è un libro che affonda le radici nella storia italiana. Racconta la vicenda di una famiglia di coloni padani dall’inizio del secolo al secondo dopoguerra e della loro granitica, irriducibile adesione al fascismo. E’ questo il punto forte della narrazione. La descrizione dal di dentro di come il fascismo fosse compenetrato alla dimensione materiale della piccola borghesia padana (i Peruzzi sono mezzadri). Secondo Pennacchi i Peruzzi, combattenti tra gli arditi nella prima guerra mondiale e successivamente vittime dei patti “vessatori” imposti dalle leghe agrarie socialiste ai mezzadri, non potevano non dirsi fascisti. Un’adesione istintiva, come quella di tanti italiani, che gli permise di trovare nel regime la risposta semplificante e comoda ad una realtà che ai loro occhi si andava ingarbugliando troppo.

Di qui l’incondizionata fiducia dei Peruzzi nel Duce e nel loro mentore e conterraneo, Edmondo Rossoni. Il gerarca ferrarese dà loro la terra e gli offre l’opportunità di emigrare nell’Agro pontino, appena bonificato. Come novelli puritani chiamati a colonizzare territori selvaggi, i contadini venuti dal nord ingaggiano una dura competizione contro “i marocchini”, gli autoctoni ostili, oppressi quanto e più di loro da una fame secolare.

Ma dovranno lottare anche contro la malaria, le alluvioni, gli investimenti sbagliati, le storture della burocrazia di regime. Il punto è che i Peruzzi sono fascisti in carne ed ossa e persino simpatici, con i quali è impossibile non solidarizzare. Il fascista che non ti aspetti. Viene in mente, come loro opposto, il personaggio dello squadrista rampante impersonato da Donald Sutherland in Novecento di Bertolucci, un piccolo borghese perverso e disumanizzato che è facile odiare.

Anche Pericle Peruzzi, il giovane maschio capobranco, durante una spedizione punitiva uccide un prete in quel di Comacchio. Ma lo fa senza pensarci troppo, rispondendo a quella legge della violenza che regola i rapporti umani di cui lui per primo è vittima. Quell’atto non avrà grandi conseguenze, Pericle continuerà ad essere convintamente fascista ed, anzi, ad ottenere per quei suoi antichi servigi un trattamento di favore per sé e la sua famiglia quando si dovranno assegnare le terre in Agro pontino.

E’ qui che il romanzo si dimostra in grado di raccontare una sua “verità” che fa della storia dei Peruzzi la storia di un clan abbarbicato nella difesa del suo interesse. Il contrario di una dimensione epica. In fondo, i Peruzzi sono ben calati nei secoli di storia italiana con i
loro pregi e non pochi difetti. E in loro non difetta certo l’opportunismo.

Appaiono più vicini agli italiani descritti in film come La grande guerra o Tutti a casa, piuttosto che all’epos, quello sì, di Roma città aperta o de La terra trema, con quella forte scommessa sul ‘noi’. Il che nulla toglie al romanzo di Pennacchi che può essere letto come
un capitolo di storia degli italiani dal punto di vista di chi (almeno politicamente) ha perso.
p.a.


Caro Paolo,
la tua recensione su "Canale Mussolini" non mi ha convinto. E'- il libro dal mio pdv- una rivisitazione del ventennio del fascio e del mito dei fascistissimi, della guerra coloniale, della bonifica per una rivalutazione e riabilitazione del periodo e dei suoi protagonisti, tutti contadini "spontanei", tutto condito in una epopea contadina col/nel mito sacrale della terra e della terra coltivata, pascolata, trainata dalla fatica industriosa della famiglia Peruzzi, nonna e nonnino compreso. Solo che l'eroe della narrazione è lo zio Pericle, riconosciuto stimato e considerato dal fascio locale e non, per meriti acquisiti sul campo, e cioè perchè spara sulle case del popolo, ammazza a bastonate il parroco dissidente,( per ordine del fascio, e non solo di quello locale ma per suggerimento dall'alto, che confessa piangente il delitto alla fanciulla che l'aveva sempre respinto e quindi il delitto si colora di rosa e di confetti) ed è pronto a tirar fuori il coltello nelle risse tra poveri. E la voce narrante, un nipote della flamiglia, te lo propone con simpatia, come un sano ed energico contadino, buon lavoratore eccetera eccetera, che infila in vicende certo un pò burrascose e movimentate, forse anche deprecabili, ma piene di avventura ed appassionanti, alla fine perchè no eroiche (magari con qualche contaddizione che per decenza viene velocemente infilata in commento). E il linguaggio della voce narrante è quello che tiene il tutto, perchè è altrettanto "spontaneo", ingenuo, semplice, immediato, direi proprio parlato con frequenti usi dialettali che rendono le vicende e il protagonista e i protagonistii- compreso lo zio Adelchi eroe d'Africa- tutto vero autentico condivisibile "simpatico". E questa è l'abilità vera dell'Autore: siamo di fronte a testimonianze vere e proprie che raccontano loro, con la loro voce, la loro appasionante e bella storia fatta di fascio e di terra . E così tutto il famigerato "ventennio" viene impacchettato in una autentica rivalutazione, comprese le migliaia di morti delle paludi pontine che vengono citati più che ricordati come "effetti collaterali" della magnifica bonifica fatta dal Duce, altro mito riprodotto a fianco della famiglia Peruzzi. Insomma, il libro e la sua premiazione mi sembrano un'abile operazione culturale e politica della Mondadori. Finito questo "pippardone" devo però precisare che quello che ti scrivo sin qui l'ho ricavato dalle prime trecento pagine, perchè il libro non l'ho ancora finito. Il seguito a prestissimo. Inoltre, ti devo aggiungere che la rivista "Left", in una sua recensione del 27 Agosto N.3 dal titolo "L'epos verace di Pennacchi" pag. 59, condivide in sostanza il tuo punto di vista.
F.S.

martedì 7 settembre 2010

Provincellum ? No grazie

Il vento della legge elettorale ha fatto il suo giro. E ora è tornato a soffiare. L'ultima proposta viene da Casini e riguarda la legge elettorale in vigore nelle province. Il sistema prevede l'elezione diretta del presidente della provincia a doppio turno con l'attribuzione di un premio di maggioranza in grado di garantire il 60% dei seggi al vincitore. I seggi in consiglio sono attribuiti sulla base di un collegio uninominale con possibilità di scelta del candidato all'interno di una rosa ristretta. Ogni lista è collegata ad un presidente candidato, con esclusione della possibilità di voto disgiunto. Uninominale sì, ma non maggioritario visto che l'attribuzione dei seggi avviene con il sistema proporzionale (metodo d' Hondt). I seggi da assegnare al gruppo o coalizione di gruppi sono individuati dividendo il numero dei voti validi ottenuti da tutti i candidati per 1,2,3,4, fino al numero totale dei seggi da assegnare nel collegio. Ne scaturisce una graduatoria di quozienti che avvantaggia i partiti più grandi. L'elezione non dipende tanto dalla forza del candidato, come nell'uninominale maggioritario, ma da quella della lista nella quale è inserito.
E allora dove sarebbe il vantaggio rispetto alla legge attuale ? Nella possibilità per l'elettore di assegnare la preferenza, seppure con una scelta limitata ad un numero ridotto di nomi, il che spingerebbe i partiti a candidature radicate sul territorio superando la “nomina” implicita nella lista bloccata. Un sistema percepito come vantaggioso dall'Udc che potrebbe sfruttare il radicamento territoriale che alcuni suoi notabili vantano nelle regioni meridionali. Ma tutt'altro che convincente. Innanzitutto, perché manterrebbe in vita il premio di maggioranza che, applicato sul piano nazionale, è un formidabile incoraggiamento per le coalizioni arlecchino.
Inoltre, per l'ennesima volta si ricorrerebbe ad un ibrido privo di qualsiasi coerenza istituzionale. Si prenderebbe un pezzo di un sistema, rigettando ciò che non piace: l'elezione diretta dell'esecutivo, da sempre giustamente osteggiata dall'Udc e sconosciuta ad ogni democrazia evoluta. Altre sono le esperienze da prendere in considerazione: tedesco o uninominale maggioritario nelle due versioni inglese o francese. E partendo da queste opzioni costruire un sistema istituzionale coerente. In materia elettorale Casini e il suo partito hanno già qualcosa da farsi perdonare. Si chiama porcellum.

p.a.

giovedì 2 settembre 2010

Voci dalla Chiesa italiana

Intervista a Mons. Alessandro Plotti, già vescovo di Pisa, su alcune questioni cruciali che stanno attraversando il pontificato di Benedetto XVI. Nuovo Concilio, celibato ecclesiastico, ruolo delle parrocchie, movimenti, questione sociale, simonia.
Introduce un breve dialogo tra Paolo Allegrezza e l'autore dell'intervista, Paolo E. Cretoni.

1a parte - nuovo concilio