Leggete Annie Ernoux. Scrive romanzi scaturiti dalla memoria che, però, diviene anche la nostra. In una dinamica di allusioni alla vita di tutti noi che ne fa una sorta di voce collettiva. Non solo ne Gli anni, il suo romanzo più importante, ma anche in testi come L'altra figlia o Il posto in cui tratta degli affetti più intimi, di vicende familiari. Proust ricorre alla memoria perché è il solo modo per riassaporare il piacere, come fa il suo alter ego Swann con l'arte.
Ernoux, al contrario, ricorda perché è ben ancorata alla vita e pensa che la partita sia tutt'altro che chiusa, per cui non è tempo di chiudersi nella stanza foderata di sughero. Ma per tenerla ancora viva è necessario fare i conti con il passato che è sempre reso entro una fitta trama di eventi nei quali la voce che narra non è mai unica o irripetibile. Né vive una vita che non sia scambiabile con quella di tante altre vite. Dalla famiglia di piccoli commercianti normanni, alla scrittura, alla politica, al femminismo, alla perdita della dimensione collettiva, al divorzio, al rapporto con i figli non vi è nulla di eccezionale: solo la vicenda di una donna che prova a dare forma al suo essere nel mondo consapevole della sua natura comune (Cfr., P. Godani, La vita comune, Derive e approdi, uno dei più bei libri di filosofia usciti negli ultimi tempi) La storia individuale è dentro quella di tutti. Come in Proust il racconto di una vita non può che passare dal racconto degli altri perché lì siamo noi anche se quegli eventi non li abbiamo vissuti.