Premettiamo che non è certo un tema che toglie il sonno agli italiani: ma le regole elettorali hanno una loro maledetta importanza. Utilizzando i dati delle regionali, lo osservava Salvi sull’Unità del 26 maggio, B. e B. non avrebbero la maggioranza in Parlamento. A condizione che si voti con il sistema tedesco.
Il Pd, invece, sceglie di puntare sui collegi uninominali. Nel documento approvato all’Assemblea nazionale si propone il doppio turno che, presumiamo, implichi l’adesione al modello elettorale francese. A parte gli scarsi consensi che da sempre riscontra tra le forze politiche, è difficile spiegare perché il Pd prediliga un sistema elettorale che lo svantaggia, con Lega e Pdl a fare il pieno nei collegi lombardi e veneti. Forse è un retaggio della retorica referendaria in voga nei primi anni ‘90, quando il Pds occhettiano diede un’entusiastica quanto controproducente adesione all’uninominale maggioritario: sconfitta secca nel ‘94, maggioranza condizionata da Rifondazione nel ‘96. Fu allora che si consolidò a sinistra il pregiudizio nei confronti del sistema tedesco, visto come modello privilegiato dalla partitocrazia. Come sia andata a finire lo dimostra la faticosa ripresa dalle macerie dell’era Prodi che ancora oggi affligge i riformisti.
Il doppio turno porta con sé il semi-presidenzialismo e viceversa. Il primo non è gradito alla destra, il secondo a buona parte della sinistra. E infatti il Pd vuole legare il doppio turno al modello Westminster. Una combinazione che non ha precedenti in alcun sistema politico. Ma, si sa, alla fantasia (e alla confusione ?) non ci sono limiti. Se poi si confida nella scarsa disponibilità degli elettori del centrodestra a recarsi alle urne in una competizione a doppio turno, si rischia di sottovalutare la coesione di quel blocco sociale e culturale. Come hanno dimostrato le regionali laziali.
Il punto è che né l’uninominale maggioritario, né i premi di maggioranza sembrano fare al caso del nuovo Ulivo che, volenti o nolenti, si dovrà rimettere in piedi per il 2013. Visto che con Bersani la partita la si vuole giocare.
P.A.